In questo tempo nel quale urge la riscoperta dell’Io superiore dell’uomo, dell’esperienza di uno Spirituale che non sia piú semplicemente immaginato, o sognato, o recitato in giaculatorie, appare forse utile esercizio esaminare comparativamente – ponendole immaginativamente le une accanto alle altre – le frasi del Vangelo di Tommaso(1) con passi tratti da opere di Rudolf Steiner e Massimo Scaligero.
Noi non sappiamo con certezza se il Vangelo, composto quasi esclusivamente di loghia ossia di frasi dette da Gesú, sia il suo vero Vangelo. Studi approfonditi e confronti fra il testo ritrovato a Nag Hammadi e altri testi scampati alla furia distruttiva di una religione sempre piú rivolta al sensibile (e che voleva condannare alla damnatio memoriae tutti i riferimenti ad uno spirituale immediato e piú puro nella sua espressione), mostrerebbero tuttavia notevoli punti di contatto con il Vangelo di cui parlano le fonti piú antiche della patristica.
Il suo è un Vangelo “gnostico”, ossia della conoscenza. In realtà, quella conoscenza di cui parlano i testi antichi non è riproducibile, sic et simpliciter senza l’opera di un’ascesi interiore possibile solo all’uomo di questo tempo.
Tuttavia, i significati dei racconti spirituali – quando sono effettivamente tali – sono veri per sempre, ed ecco che quindi la lettura di tali antichi testi appare affascinante, anche nella sua apparente problematicità. I significati di molte frasi sembrano infatti oscure, ma esse si chiariscono facilmente se si possono interpretare alla Luce della Scienza dello Spirito.
Ma iniziamo ora a leggere il Vangelo di Tommaso:
Gesú disse: «Se coloro che vi guidano vi dicono: “Ecco, il regno è in cielo!” allora gli uccelli del cielo vi precederanno. Se vi dicono: “È nel mare!” allora i pesci del mare vi precederanno. Il Regno è invece dentro di voi e fuori di voi. Quando vi conoscerete, allora sarete riconosciuti, e saprete che voi siete i figli del Padre che vive. Ma se voi non vi conoscerete, allora dimorerete nella povertà e sarete la povertà». (log. 3)
«Oggi sono destinati ad accedere al regno dei cieli proprio coloro che sono divenuti mendicanti dello spirito. Ora possono accostarsi a Dio, possono diventare beati, solo coloro che sono mendicanti di spirito. I poveri di spirito accoglieranno dentro di sé il regno dei cieli.
Beati o vicini a Dio diverranno, accogliendo l’impulso-Cristo, anche i sofferenti. Se cercheranno nel proprio Io il legame con il mondo spirituale, otterranno la guarigione. Chi un tempo era reso furioso dalle proprie sofferenze, poteva venir acquietato se si spiritualizzava mediante l’estasi. Le sofferenze imperversanti, gli impulsi selvaggi, debbono adesso venir placati ritrovando in sé, nell’Io, il legame col Cristo. Il senso della missione terrena è colto da coloro che leniscono le proprie sofferenze mediante l’Io. I sofferenti si libereranno del proprio dolore, accogliendo il Cristo nell’Io; chi accoglie il Cristo nell’Io potrà divenire imperturbabile e dominerà la terra»(2).
Io sono la luce che sovrasta tutti loro. Io sono il tutto. Il tutto promanò da me. Spaccate il legno, Io sono lí dentro. Alzate la pietra e lí mi troverete. (log. 77)
«Il compito iniziale consiste nel rettificare il pensare: nel renderlo autonomo, liberandolo da influssi psichici e da ogni vincolo con il mondo corporeo, sino a che fluisca secondo la sua essenza. Tale disciplina comporta, senza determinazione diretta, l’azione di un puro volere. Si vuole fuori della propria natura, per il fatto che si vuole nel pensare. Occorrono una decisa insistenza ed una calma capacità di attesa, che possono derivare solo da dedizione assoluta. Il pensiero giunge a manifestare la sua forza oggettiva, se si fa da prima convergere mediante attenzione pura (concentrazione) su un oggetto o un tema: in un secondo tempo si giunge a percepire tale forza oggettiva nel concetto vivificato, con la stessa ricettività con cui i sensi percepiscono il mondo fisico.
Il mondo fisico trasmuta dinanzi all’essere interiore che sorge come contemplatore del pensiero. La forza di un ideare di tipo magico viene ad assumere la funzione che normalmente ha l’intelletto giudicante, se si lascia che l’oggetto interiore sorga per forza propria nel pensare: esso rivela nell’anima il proprio principio»(3).
Colui che conosce il tutto, ma è privo della conoscenza di se stesso, è privo di tutto. (log. 67)
«Solo in se stesso l’Io può trovare la comprensione, la connessione con il regno dei cieli. Non potete piú trovare ciò al di là del vostro Io terrestre, poiché il Cielo è disceso sino al vostro Io. “Beati coloro che sono mendicanti di spirito”, sono parole che si riferiscono a quanto abbiamo appena detto. Prima lo spirito era donato loro, ma ora gli uomini sono diventati poveri. Adesso possono trovare lo spirito solo nel proprio Io»(4).
Questo era Rudolf Steiner. Ma lo stesso tema è svolto da Massimo Scaligero:
«È decisivo per l’uomo di questo tempo rivolgere al pensare la capacità di osservazione sviluppata per l’indagine fisica. Una caratteristica del pensare è che esso normalmente non possa essere osservato come un ente dello scenario esteriore o come un moto della vita psichica: comunemente, allorché si considera un oggetto, questo impegna la coscienza pensante, cosí che si può sapere del proprio pensare – qualora ciò sia voluto – soltanto in un secondo tempo, quando sia stato distolto dall’oggetto.
Occorre che sorgano pensieri, perché si possano osservare. Ma questa osservazione è produttiva soltanto, se si riesce ad avere innanzi a sé “sintesi” di pensieri. Un vero pensiero è sempre sintesi: è idea. L’esperienza di tale sintesi, dà modo di conoscere le entità sovrasensibili che vivono nei pensieri.
Allorché si rivolge il pensare a un oggetto – e ora l’oggetto è “sintesi” di pensieri – non si può pensare a se stessi. Essendo, peraltro, tale sintesi voluta, il non poter pensare a se stessi, è inizio della indipendenza interiore. In effetto, indipendente è l’Io che comincia a sorgere, in quanto tace l’Io ordinario.
I sentimenti e gli impulsi riguardano l’individuo, in quanto soggetto chiuso entro i limiti egoici, non il mondo. Il dolore o il piacere nascono dalla soggettività, e questa di continuo viene proiettata sul mondo, sugli esseri, sugli eventi. Ciò impedisce di conoscere veramente il mondo, di farlo vivere in sé, di ritrovarsi nel suo fondamento, che è il segreto dell’Io.
Si dimentica se stessi pensando, in quanto, normalmente, solo nel pensare è data la possibilità di essere fuori del limite soggettivo, di non preoccuparsi di sé, di immergersi nell’“altro”. Ma poiché questo dimenticarsi è voluto, il testimone silenzioso del dimenticare affiora.
“Il veggente non veduto, l’uditore non udito, il pensante non pensato, il conoscente non conosciuto: fuori di lui non esiste altro veggente, altro uditore, altro pensante, altro conoscente: è il tuo âtman, l’immortale, eterno reggitore ” (Brhadâranyaka-upanishad)»(5).
Gesú disse: «Misero il corpo che dipende da un corpo, e misera è l’anima che dipende da entrambi». (log. 87)
Come deve affrontare il discepolo moderno il suo rapporto con il corpo, di cui normalmente l’anima subisce gli istinti e le passioni? Ce lo spiega magistralmente Scaligero:
«Una calma superiore è possibile allo sperimentatore moderno, non come conseguenza di una inerte contemplazione, ma come clima proprio alla conoscenza, come sfondo immancabile alla ricerca interiore: la quale ha le sue tensioni, le sue prove, i suoi aspri sentieri, indubbiamente in una misura particolarmente profonda, ma di un genere “catartico”, nel senso che essi convergono sempre verso la trasparenza delle forze impegnate nel loro processo. Il dolore, l’angoscia, l’ira non si presentano piú come tali: il loro moto – che del resto si riferisce, ora, ad altro oggetto – è immediatamente conosciuto. Se, pertanto, si può essere attivi attraverso essi con la stessa sottile relazione di alterità che si è potuta stabilire con i moti del pensiero, quel moto risorge come forza dell’anima purificata: la calma deriva appunto da questa possibilità di distacco e di trasmutazione.
Ogni passione, ogni emozione, ogni istinto, si rivela come alienazione dell’“essere centrale” nelle azioni e reazioni di una natura egoizzata e privata di fondamento metafisico, mancante quindi anche dell’antica retta spontaneità: anzi, il loro essere residuo dell’antica spontaneità conferisce ad essi la potenza della impulsività capace di ostacolare l’espressione attuale dell’Io. Nel manifestarsi di passioni emozioni istinti, è presente una possibilità per l’Io di raccogliersi in sé, distanziandosi dal moto per il quale prima era portato irresistibilmente a sentirsi e ad alterarsi nella soggettiva impressione di dolore o di piacere. Esso può ora distanziarsi convergendo in sé, per la volontà di essere lo “sperimentatore” e non lo “sperimentato”, colui che conosce e non colui che si smarrisce: per questo ricorrendo all’attitudine del disinteressato esercizio della osservazione pura»(6).
Non sarà inutile, poi, rileggere quanto scriveva Henri-Charles Puech, uno dei maggiori studiosi di cristianesimo antico del XX secolo, a proposito della concezione dell’Io presso gnostici e manichei. Puech, che aveva conosciuto in qualche modo l’Antroposofia per il tramite di Déodat Roché (per come egli stesso riferisce alla fine di un suo libro dedicato al manicheismo) parla approfonditamente della tricotomia corpo-anima-spirito come di una concezione ben conosciuta nell’antichità. Noi sappiamo (e Rudolf Steiner ce lo ricorda) come il concilio di Costantinopoli dell’864 abbia di fatto eliminato lo Spirito, e tentato di ridurre la coscienza dell’uomo alla sola anima dotata di qualche facoltà spirituale. È importante verificare che anche i piú accreditati e seri studiosi ufficiali ne vadano riscoprendo il senso nel passato.
«…L’asserzione: “Io mi conosco in me stesso” non manca di essere ambigua. Tale conoscenza, infatti, piú che all’interno di me stesso, del mio Io quale mi è immediatamente e presentemente offerto entro questo mondo inferiore, la prendo “in” e “attraverso” quell’Io superiore, essenziale, che mi rappresenta in totale oggettività e costituisce ciò che io sono nella verità intima, profonda, assoluta del mio essere. L’identificazione di questi due Io, dell’Io e del me, operata dalla conoscenza di se stessi, presuppone quindi un passaggio dall’uno all’altro, cioè, o un abbandono dell’io soggettivo a beneficio dell’Io oggettivo, o la trasformazione di quello in questo. Che lo gnostico abbia la tendenza a oggettivare il suo Io sembra, del resto, cosa sufficientemente provata dal fatto che egli arriva a concepirlo come una cosa o un essere esistente in sé, sotto forma di un’immagine o di un “vestito” di origine celeste, o di un “angelo”, o di un “uomo di luce” interno a se stesso»(7).
In un’altra opera riferita alla Concezione della Salvezza presso i manichei, lo stesso Puech afferma che «La salvezza consiste [per il manicheo] essenzialmente in una rinnovata coscienza di se stesso …di operare al proprio interno quella apokatastasis, quella restaurazione, che per il mondo e l’umanità salvata sarà definitiva. …Questa “trasformazione” o “rigenerazione” consisterà nel recupero di uno stato sostanziale che è sempre presente nella “mescolanza” [si riferisce alla promiscuità delle particelle originarie di Luce con la hylé, la materia bramosa e oscura, da cui nasce la falsa coscienza del “sé” egoico; mescolanza è dunque l’anima, con cui tutti, ordinariamente ci identifichiamo nella nostra abituale coscienza, continuamente oscillante fra desideri e paure] stato sostanziale che è la nostra vera essenza, il nostro vero Io»(8).
I concetti esposti da Puech sulle concezioni della salvezza gnostiche e manichee acquistano un significato ancora piú intenso e vengono definitivamente chiariti alla luce del seguente passo di Massimo Scaligero:
«L’influenza luciferica ha fatto dell’uomo un essere dotato di autodecisione, che ha sviluppato in sé prematuramente forze di autoconoscenza, le quali perciò non si sono presentate nel loro aspetto regolare, bensí nella loro deformazione. La Scienza dello Spirito insegna come il kali-yuga sia quell’“età oscura” in cui si manifestano le conseguenze ultime del “peccato originale”, del quale pertanto l’uomo è stato liberato dal Cristo: sta all’uomo avvedersi come questa liberazione sia già in atto e come una potenza nuova sia in lui ed egli ormai possa con l’Io, ciò per la cui attuazione sinora si è rivolto alla mistica, allo yoga, alle religioni: la forza che prima chiedeva ad “altro”, ora può chiederla al centro di sé, non all’anima, ma allo Spirito. Con l’Io, prima che con l’anima, egli si deve aprire al Logos»(9).
Gli gnostici – seguaci di Paolo piú che di Pietro – ritenevano che la salvezza giungesse dalla conoscenza; ma tale conoscenza era mitica cioè un retaggio del passato, un’antica visione, ultimo residuo di passata chiaroveggenza, come giustamente sottolinea Steiner in piú di una conferenza.
La nuova strada per raggiungere la medesima Luce viene indicata dal Maestro dei Nuovi Tempi e magnificamente sintetizzata dal Maestro d’Occidente in questo passo:
«Mediante la concentrazione l’asceta tende a separare il pensiero dalla corporeità, cosí che esso si presenti quale è prima dello spegnersi della sua luce.
Non sono le forze vitali del cervello che debbono diventare pensiero: perché il loro compito è escludere il pensiero o lasciarsi escludere dal pensiero. Esse infatti dominano il capo durante il sonno, e vengono eliminate dal pensiero durante la veglia. …In sostanza, praticando la retta meditazione, si cessa di pensare con l’organo eterico-fisico, non si ricorre al sistema nervoso, dal cui moto vitale procede il solito pensiero, ma si tende ad elevarsi al livello delle forze che hanno costruito il sistema nervoso. Ci si comincia a muovere nelle originarie forze dell’Io, mediante il pensiero»(10).

Grifo

(1) Testo gnostico perduto di cui si favoleggiò per quasi 1.800 anni, poi ritrovato nel 1945 a Nag-Hammadi, in Egitto.
(2) R. Steiner, Sulla via di DamascoIl nuovo avvento, Tilopa, Roma 1990, pag. 66.
(3) M. Scaligero, L’Uomo interiore, Edizioni Mediterranee, Roma 1976, pag. 182.
(4) R. Steiner, op.cit., pag. 67.
(5) M. Scaligero, op.cit., pagg. 182-183.
(6) M. Scaligero, op.cit., pag. 158.
(7) H.C. Puech, Sulla via della Gnosi, Adelphi, Milano 2000, pag. 450.
(8) H.C. Puech, Sul manicheismo, Einaudi, Torino 1995, pag.57.
(9) M. Scaligero, op.cit., pag. 174.
(10) M. Scaligero, La Luce – Introduzione all’Imaginazione creatrice, Tilopa, Roma 1964, pagg. 73-74.

Immagine: «Spirito Santo sul Bêma» Chiesa della Madre di Dio, Monastero di Gelati, Georgia, Russia

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