Per tutto il giorno teorie di viandanti avevano percorso la strada che seguiva il fiume a valle. Chi a piedi, chi cavalcando asini o cammelli. Una gran polvere, tanto sudore e storie incredibili che quella gente raccontava. Provenivano da ogni parte della Palestina, e anche da piú lontano.
L’imperatore Augusto aveva indetto il censimento dei sudditi di quella regione sottomessa a Roma. A quei pellegrini affaticati, i pastori avevano venduto formaggio e latte, ascoltando i loro racconti.
Sul far della sera, il traffico di uomini e animali si era fermato. Fuochi si erano accesi lungo il sentiero, sui poggi e negli avvallamenti che preludevano al monte Ofel su cui sorgeva, maestosa e turrita, Gerusalemme. Riunito il gregge nello stazzo, i pastori, dopo aver scambiato commenti sui forestieri e su quello straordinario evento che avrebbe contato il numero di tutti gli abitanti del paese, si erano sistemati alla meglio per trascorrere la notte.
Passarono le ore, e uno dopo l’altro i fuochi dei bivacchi di fortuna si spensero. A contrastare il buio turchino della notte senza luna restarono soltanto i falò delle torri di guardia, piú visibili quelli della vicina Betlemme, e in lontananza, segnalati solo da pallidi barlumi, quelli sulla cinta muraria della città di Giuda.
Anche la fiamma dell’accampamento dei pastori si era spenta, ma la brace ancora emanava calore intorno, vincendo l’umidità della notte. Il vecchio Safed si avvicinò con calma al focolaio contornato da pietre scabrose, immerse un tizzo spento nel vivo che covava sotto la cenere, lo smosse: ne guizzarono scintille seguite da schiocchi leggeri. Dopo quel ravvivarsi di luce e il crepitare delle faville, di nuovo calarono silenzio e buio sullo spiazzo dove s’erano sistemati i pastori, posto al riparo di una profonda nicchia incavata nella parete rocciosa. Il gregge, immerso nel sonno, gremiva il recinto poco distante dalla grotta: una macchia biancastra che si notava appena nell’oscurità. Non un rumore si levava dalla massa degli animali addossati gli uni agli altri.
Notte illune, notte arcana. La geometria delle stelle disegnava le vaghe figurazioni nelle quali gli uomini cercavano di leggere il proprio destino. Safed le aveva seguite in mille transumanze per quella terra aspra, chiedendo la chiave di tanti misteri. E ora avvertiva che uno di quei disegni stava per rivelarsi agli uomini, a tutti, e non solo a lui, umile pastore. Il bagliore suscitato dal fuoco rimosso aveva illuminato per un attimo il volto dei figli che si erano anch’essi arresi al sonno. Li osservò con tenerezza. Sarebbero stati pastori per la vita, come lui, e come prima di lui intere generazioni. I loro piedi avrebbero conosciuto tutte le pietre aguzze di quella terra severa. Ma intanto sognavano tutti di cambiare vita, di imbarcarsi a Tiro per vedere Cipro, Creta, il mondo. E il piú grande, già sposato e con figli, smaniava di diventare mercante, con un fondaco a Betlemme e magari nella stessa Gerusalemme.
Sogni, speranze, anche lui ne aveva avuti in gioventú. Ma ora guardava la vita dal di fuori, e vedeva cose che gli altri non vedevano, nutriva diverse speranze. Leggeva segnali persino nei semplici avvenimenti del quotidiano, avvisi straordinari che ai piú sfuggivano, presi com’erano dalle passioni e dalle necessità. Il tempo che stavano vivendo ne era colmo.
Si era accorto, ad esempio, che certi arbusti che abitualmente gemmavano in quell’epoca avevano già messo le foglie e persino accennavano a fiorire. I viandanti che provenivano dalle terre fertili di Samaria e Galilea riferivano anch’essi di avvenimenti miracolosi, di inspiegabili fenomeni. Molte vigne fiorivano e alcune mettevano grappoli, le sorgenti odoravano di terebinto e miele, le palme si flettevano sotto il peso di frutti inusitati per grandezza e colore. Chi proveniva dalla costa fenicia asseriva di aver veduto gli idoli di Baal e Astarte incrinarsi e spezzarsi senza alcuna causa apparente. E non da meno erano i segni nel cielo: c’era chi diceva che il sole si era diviso formando tre lucenti sfere, che avevano riverberato a lungo prima di ricomporsi in un unico corpo celeste. Nuvole dalle forme strane, riproducenti angeli o volti di profeti, aquile e leoni, avevano solcato veloci il cielo di giorno, e luci fosforescenti, scie fiammeggianti d’infinite iridi durante la notte, superando l’oscurità. Lui stesso, Safed, aveva potuto notare al tramonto una grande stella brillare, vivida e vicina, pulsando sulla cima delle montagne verso Occidente.
C’era come un’attesa nell’aria, qualcosa che Safed non aveva mai provato nei tanti anni della sua vita di pastore. Anche gli animali da giorni si comportavano stranamente: piú mansueti e silenziosi del solito. I cani, al contrario, latravano e si agitavano in maniera ossessiva e ininterrotta. Tutti quei segni sembravano annunciare un tempo nuovo.
A metà della notte si levò un vento che agitò gli arbusti della montagna. Una luce vibrante, immensa, illuminò lo stazzo. I dormienti si sollevarono allarmati dai giacigli, ma Safed si volse senza timore verso quella fonte luminosa ove parve delinearsi un’evanescente figura librata sulle rocce, che pronunciò un’esortazione:
«Andate, cercate un bambino in una mangiatoia. È il Messia, il Cristo venuto a salvare il mondo».
La luce allora divenne canto. Una musica altissima. Un coro fatto di mille e piú voci. A quel richiamo, come rapiti in estasi, quegli uomini si alzarono incamminandosi.
Non seppero mai, anche dopo molto tempo da quella notte, quale forza li spingesse a scendere dal monte, a unirsi a tanti altri che camminavano muti, guidati dalla luce del magico astro, fino a trovare la stalla disadorna dove un bambino appena nato giaceva nella mangiatoia, vegliato da una donna risplendente di bellezza e candore e da un uomo santo, e che due tra gli animali piú miti, un asino e un bue, riscaldavano con il loro fiato.
Non capirono perché tutto ciò stesse accadendo a loro e che significato avesse, ma il loro cuore, che sapeva, li fece prostrare, adorare quel neonato circonfuso di angelica luce.
E il vecchio pastore Safed, che piú degli altri si chiedeva il perché delle cose e nutriva diverse speranze, ebbe la certezza che il Cristo annunciato dalle Scritture era disceso fra gli uomini e che li avrebbe consolati e riscattati per sempre.
Ritornarono in pace agli stazzi, e non erano piú gli stessi pastori. La terra di pietre e rovi, non piú la stessa, ora esultava sotto il cielo pervaso dal chiarore dell’alba.

Leonida I. Elliot

Immagine: Fratelli Limbourg «Annuncio ai pastori» da Les très riches heures du Duc de Berry
secolo XV, Museo Condé, Chantilly, Francia

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