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In un lontano paese d’Oriente
abitava una principessa. Il suo nome era Fior di Pesco, perché nel
giorno della sua nascita, d’inverno, un pesco del giardino reale era miracolosamente
fiorito. Quando uno dei giardinieri, all’alba di quel giorno straordinario,
lo aveva visto, carico di delicati fiori rosa che emanavano un profumo
dolce e sottile, era rimasto a dir poco stupito. Intorno le api, sfidando
il freddo per la fame, ronzavano, liete di potersi nutrire di nettare nel
mezzo dell’inverno.
Il giardiniere era corso a palazzo
e aveva parlato della miracolosa fioritura a tutti quelli che aveva incontrato,
fino a che la notizia era giunta alle orecchie del re e della regina, che
proprio quella mattina, all’alba, aveva dato alla luce una bambina.
La fioritura del pesco era sembrata
di buon auspicio per la loro figlioletta e, come si usava in Oriente, furono
chiamati astrologi e saggi per divinare l’avvenire della piccola principessa.
Essi confermarono l’ottimo auspicio e aggiunsero che la principessa avrebbe
avuto uno sposo molto saggio, che con lei avrebbe regnato, rendendo felici
i sudditi. Suggerirono, infine, di chiamarla Fior di Pesco.
La principessa crebbe e i genitori
vollero che fosse ben istruita, contrariamente alle abitudini del loro
paese, che volevano le donne ignoranti. Cosí alla giovinetta vennero
insegnati i sacri testi del buddhismo, che era la religione del regno.
A Fior di Pesco era stata narrata
la storia dell’albero fiorito fuori stagione nel giorno della sua nascita
e cosí, spesso, andava a giocare nei suoi pressi e a volte interrompeva
i giochi per contemplarlo incantata e se ne sentiva protetta.
Arrivò, infine, per Fior
di Pesco il momento di sposarsi e molti pretendenti si presentavano a corte,
attratti dalla fama di bellezza e di bontà che circondava la principessa,
ma tutti si ritiravano perché la fanciulla si dimostrava troppo
sapiente e non volevano una moglie che ne sapesse piú di loro. Perciò
il re e la regina cominciarono a disperare di trovare un marito adatto
alla loro figlia e quasi erano pentiti di averle dato un’istruzione cosí
profonda. Giunse infine un saggio che, interpellato, li tranquillizzò,
dicendo che lo sposo destinato alla principessa non si sarebbe spaventato
della sua sapienza, anzi l’avrebbe amata proprio per questo.
Intanto Fior di Pesco continuava
la vita di sempre e non si affliggeva perché il tempo passava. Nutriva
una grande devozione per il Buddha e i bodhisattva, esseri angelici che
– come le avevano insegnato – nascono per aiutare in tutti i modi possibili
le creature, anche a costo di sacrificare la vita. Passò il tempo
e si convinse che non avrebbe potuto amare che un bodhisattva. Tuttavia,
le avevano anche detto che non era facile incontrarne uno, perché
incontrare un bodhisattva era la piú grande fortuna della vita.
Per questo a volte era triste e allora andava presso l’albero di pesco
e il solo vederlo le dava coraggio, come se ogni ramo e ogni foglia, fiore
o frutto le dicessero: «Non temere».
Una notte la principessa sognò
un giardino invernale con gli alberi spogli e intirizziti: solo, nel centro,
un albero di pesco era in fiore e sentí una grande gioia. Vide avanzare
verso il pesco un giovane; non riusciva a distinguerne i lineamenti, ma
una luce dorata ne circondava la figura. Al mattino Fior di Pesco non parlò
a nessuno del sogno; preferiva custodirlo nel cuore in attesa che si realizzasse,
perché aveva capito che presto avrebbe incontrato lo sposo che gli
dèi le avevano destinato.
Un giorno giunse nel regno un
giovane principe che, dovunque passava, distribuiva denaro ai poveri, consolava
con sagge parole i malati e i moribondi e proteggeva i deboli dai prepotenti.
Il re e la regina ne furono molto incuriositi e aspettavano impazienti
che il giovane giungesse nella loro città. Finalmente giunse e i
sovrani inviarono il ciambellano per invitarlo a palazzo.
«Salute a te, coraggioso
principe – disse il ciambellano al vederlo – che cosa ti spinge nel nostro
regno?»
Il giovane dichiarò di
essersi messo in viaggio per il mondo per essere utile agli altri. Il ciambellano
rimase ammirato dalla risposta e lo invitò a corte, perché,
disse, i suoi sovrani desideravano conoscerlo. Il principe accettò
di buona grazia l’invito e, quando giunse il giorno stabilito, si avviò
verso il palazzo.
A un tratto, sulla via che doveva
percorrere, vide in lontananza delle fiamme e del fumo. Affrettò
il passo e giunse sul luogo dell’incendio, presso il quale si era radunata
una gran folla. Stava bruciando la casupola di una povera vedova, il cui
unico figlioletto era rimasto prigioniero tra le fiamme. La donna piangeva
disperatamente e si sarebbe gettata nell’incendio, se non l’avessero trattenuta
i vicini. Né qualcuno di loro osava sfidare il fuoco nel timore
di perdervi la vita. Il principe, al vedere il dolore di quella madre,
si sentí stringere il cuore da una morsa e capí che, se non
avesse fatto nulla, sarebbe vissuto con un eterno rimorso. Perciò,
prima che chiunque comprendesse che cosa voleva fare, si gettò tra
le fiamme, mentre la gente tratteneva inorridita il respiro, e poco dopo
ne usciva con il bambino tra le braccia. Erano entrambi illesi e il giovane
principe sembrava un Arcangelo. La povera madre, quando si vide restituire
il figlio sano e salvo, mutò il suo dolore in una grande gioia e
si gettò ai piedi del giovane per ringraziarlo di averle restituito
l’unico affetto della vita. Ma il principe, compassionevole, la sollevò
e le diede delle monete d’oro, perché potesse ricostruire la casetta.
Poi, seguíto dalla folla, proseguí, umile e sereno come sempre,
il suo cammino verso il palazzo.
La notizia del salvataggio,
intanto, lo aveva preceduto a corte e aveva colpito il cuore sensibile
della principessa. Quando si presentò davanti ai sovrani, essi lo
ringraziarono per quanto aveva fatto e alcuni saggi presenti si avvicinarono
per interrogarlo.
Gli chiese il primo saggio:
«Qual è il fine
della vita dell’uomo?»
E il giovane rispose:
«Portare quante piú
creature possibile alla salvezza».
E il secondo: «Come può
un uomo, cui sta a cuore la salvezza delle creature, fare di tutto per
salvarle?»
«Usando qualunque mezzo,
parola o gesto che sia adatto a salvarle».
«Come agisce quest’uomo
– chiese il terzo saggio – se la salvezza delle creature comporta grandi
sacrifici per lui?»
«Egli accetta questi sacrifici
con gioia e non se ne rammarica».
Fior di Pesco, seduta tra le
figlie dei nobili, udí queste risposte e il cuore, già colpito,
le diede un balzo: piú che la bellezza del giovane principe l’attraevano
la sua saggezza e la sua compassione.
Chiese allora ai genitori di
darglielo come sposo. Il re e la regina acconsentirono e il giovane accettò,
per nulla spaventato dalla fama di sapienza di Fior di Pesco.
La notte delle loro nozze, celebrate
in un giorno d’inverno, il pesco fiorí come tanti anni prima e la
mattina successiva gli sposi, passeggiando nel giardino reale, videro i
delicati fiori rosa, mentre tutt’intorno gli alberi spogli gli facevano
corona.
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