Quando Armin sconfiggendo Varo
nel 9 dopo Cristo nella selva di Teutoburgo segnò il limite dell’espansione
imperiale, i Germani cominciarono ad affluire piú numerosi a Roma.
Non come prede o trofei di un generale vittorioso, bensí come soldati
nelle Coorti pretoriane. Fu in particolare Nerone, che per certi suoi atteggiamenti
un po’ esuberanti aveva di che temere congiure e attentati, a circondarsi
di giovani guerrieri provenienti dalle selve del Nord, portatori di una
virtú che in Italia andava facendosi rara: la fedeltà. Una
fedeltà forte come forza di natura, che nei secoli sarebbe divenuta
tratto distintivo della stirpe: “deutsche Treue”.
Dall’età giulioclaudia
a quella flavia, l’afflusso di professionisti della guerra germanici diventava
sempre piú ingente. Su di essi e sui loro connazionali d’oltreconfine
si sarebbe posato lo sguardo indagatore del proconsole Tacito. La Germania
di Tacito, uno dei capolavori della letteratura latina, esprime una
preoccupazione mista a fascino. Preoccupato per il potenziale pericolo,
lo storico non poteva non ammirare la somiglianza di quei primitivi con
i Romani delle origini. Libertà, lealtà, senso del dovere,
sia pur nella rozzezza dei modi, risplendevano come l’oro nei gioielli
di foggia barbarica. E questo mentre a Roma si diffondevano i costumi della
decadenza.
Tacito era inorridito dall’afflusso
da Levante di individui spregiudicati, abili nell’adulazione e nella speculazione.
L’offuscamento delle libere istituzioni fatalmente favoriva quegli ingegni
che alla mancanza dello spirito di libertà sopperivano con una sagace
amministrazione delle virtú servili. Questa l’amara diagnosi, ma
qual era la terapia? Esprimendoci in termini moderni potremmo dire che
per Tacito era necessario «spostare l’asse geopolitico dell’Impero
verso Nord-Ovest»: 1) romanizzare i popoli celtogermanici; 2) accogliere
i rappresentanti di quelle genti occidentali nella classe dirigente romana;
3) rinnovare l’Ethos latino ponendolo al riparo dalla levantinizzazione
e dalla conseguente decadenza dell’Impero.
Noi tutti sappiamo come andò
a finire la storia antica. Dopo che Commodo per primo smise di rispondere
alle incursioni col ferro delle legioni e offrí l’oro dei tributi
in cambio della quiete, i Germani capirono che dietro le fortificazioni
non vi erano piú uomini. L’Impero diventava uno sconfinato pascolo,
un bottino immenso per clan di guerrieri poco piú che adolescenti.
Ma ci sia consentito di sostenere
che il programma di Tacito era tutt’altro che utopistico. Il vecchio conservatore
guardava lontano e in un certo senso intuiva le linee di sviluppo della
storia successiva.
Si apra un atlante storico. Scorrendo
le cartine relative alle varie epoche è possibile intuire una corrente
spirituale che segue il corso del Sole. Da Oriente a Occidente sbocciano
le grandi civiltà aryane(1), una
dopo l’altra. In particolare le civiltà mediterranee appaiono in
una intima successione: esse si compenetrano, i frutti delle loro culture
si riversano di popolo in popolo e si trasformano. L’antica sapienza astrologica
degli Egizi e dei Caldei sulle coste della Jonia si riversa nelle menti
dei filosofi greci e assume la forma di pensiero razionale umano. La cultura
greca si riversa nella Roma degli Scipioni generando quell’ampia, generosa
concezione della Humanitas che diverrà il valore fondante
della dominazione imperiale.
Il trapasso da una civiltà
all’altra è un fenomeno millenario; scorre come un fiume oceanico
sotto le increspature della cronaca. Tuttavia è possibile individuare
dei momenti storici culminanti, vibranti di mito, in cui un popolo succede
a un altro nella direzione spirituale del tempo: Alessandro, che dall’Oracolo
di Ammon-Râ è proclamato Faraone; Cesare, che ad Alessandria
d’Egitto si unisce a Cleopatra; Augusto, che dopo la vittoria sull’Oriente
invoca a Roma Apollo, il dio greco per eccellenza.
La corrente spirituale che da
Sud e da Est fluisce a Occidente – accompagnandosi ad un evento ancora
oggi difficile da interpretare: l’incarnarsi del Divino nella forma umana
– si incontra a partire dal II e III secolo con un’altra corrente che dal
Nord dell’Europa conduce i popoli Germanici oltre il limite della civilizzazione
antica. Il nodo di questo duplice flusso è nella nostra Nazione.
A Roma si concentra l’eredità delle antiche culture, su Roma marciano
Alarico e Teodorico, Alboino e poi Carlo. Si stabilisce allora nel Medio
Evo quella polarità quasi magnetica tra due nazioni dai tratti opposti
e per ciò stesso complementari. L’Italia riceve dal Nord germanico
il sangue di nuove aristocrazie che si sovrappongono alle antiche. Dante
ne decanta il volto quando nel Purgatorio ci parla di Manfredi: «Bello
era e biondo e di gentile aspetto»(2);
ma l’Italia stessa trasmette ai popoli barbari gli impulsi di una piú
alta cultura umana.
Nel rapporto col Divino i Germani
manifestano una peculiarità: mentre l’India completa il suo ciclo
di civiltà, e dall’inizio alla fine è sempre immersa nell’aura
del mito; mentre i Greci vivono ancora in comunione con i loro Dei quando
già fioriscono le città e maturano i frutti del pensiero
logico; i Germani sono presto orfani dei loro Dei. L’“apocalisse” degli
Dei nordici precede il loro avvento come protagonisti della storia europea.
Perciò, cresciute in un mondo sempre piú spogliato del Sacro,
le nazioni europee sorte dalle Wanderung si volgono alla conquista
della Terra e della dimensione fisico-materiale.
I Goti d’Occidente, creatori
dei regni di Spagna e Portogallo, conquistano il dominio dei mari con una
serie di audaci esplorazioni oceaniche. Le tribú degli Angli, Sassoni
e Normanni dalla Britannia verso Ovest sviluppano una cultura pratica fondata
sull’ingegno tecnologico, che oggi nel bene e nel male domina il mondo.
Nel cuore dell’Europa si sviluppano le scienze della natura ed un nuovo
pensiero filosofico si concentra sulla comprensione del divenire storico.
Ma in questa presa di possesso del mondo fisico-materiale si cela il pericolo
di una degenerazione.
Dalle audacie degli esploratori
alle violenze dei conquistadores il passo è breve. E facilmente
il genio tecnologico crea un’arida civiltà di macchine se la scienza
della natura diventa ideologia materialista. Quando Friedrich Nietzsche
annuncia che «Dio è morto» egli dimostra che l’uomo
europeo, nato per dominare sulla materia da signore, si è perso
nei meandri della materia stessa. Per correggere questa degenerazione,
proprio dall’Italia può sgorgare una corrente spirituale risanatrice.
Mondo mediterraneo e mondo nordico sono due poli di un immenso magnete
geopolitico; e la corrente dello Spirito circola tra i due estremi.
Dopo la conversione al cristianesimo,
percepito dai popoli nordici nel suo aspetto eroico e attivo(3),
dall’Italia è fluita alla Germania la concezione del Diritto e dell’Impero.
Dall’800 fino al 1918 i nomi fatidici di «Cesare» e «Augusto»
hanno designato i piú grandi condottieri: «Carolus Augustus»,
«Kaiser Wilhelm», «Kaiser Friedrich»,... come se
non vi fossero dubbi su quale fosse la fonte della piú alta legittimità
al governo. Ma nei Tedeschi è fluita, a partire dal Medio Evo, una
ricca corrente di vita spirituale greca: in particolare l’impulso platonico
che dalla monaca Roswitha a Goethe a Jünger si rivela nella capacità
di percepire gli archetipi nei fenomeni della natura: quegli archetipi
che la Psicologia della Forma chiama Gestalten, colti dalla mente
in ogni atto percettivo(4).
Vi è poi un rapporto diretto
tra il Rinascimento italiano e la Rivoluzione Scientifica
che fa sorgere le scienze della natura: Copernico, Keplero, Tycho Brahe,
Paracelso, ovvero i padri della moderna fisica, astronomia, chimica sono
imbevuti di platonismo ed ermetismo rinascimentale. Ottimo allievo dell’Accademia
platonica fiorentina, Keplero annuncia di aver riaperto «gli antichi
vasi della sapienza egizia», restaurando il culto del Sole e la contemplazione
dell’armonia delle sfere in virtú della sua scienza astronomico-matematica.
Ma questo non è tutto.
Nel Rinascimento italiano sono posti i germi anche della Scienza dello
Spirito; quando Rudolf Steiner nelle sue conferenze a Vienna, a Dornach,
a Oslo, a Berlino, a Monaco e nelle altre città tedesche parla di
una catena di civiltà che dalla Persia all’Egitto, alla Grecia prepara
l’avvento del Logos Solare sulla Terra, i grandi esponenti del Tradizionalismo
storcono il naso e si chiedono con ironia: dove mai avrà preso questa
idea cosí stravagante! Di grazia, vorremmo rispondere, non sono
stati i maestri del Rinascimento (da cui Reghini ed Evola traggono tutti
i loro testi operativi alchemici) a parlare di Zarathustra, Ermete e Orfeo
come di “profeti”?
Le immagini di questi tre grandi
ispiratori di civiltà scivolano nella parola di Steiner direttamente
dal colore di uno dei tesori piú grandi custoditi in Italia: l’affresco
della «Scuola di Atene» di Raffaello Sanzio.
E d’altra parte, se è
vero che il nome è un destino, cosa significa Anthropo-Sophia se
non Saggezza dell’Uomo, ovvero “Umanesimo”? Ecco perché Steiner
potrebbe apparire come l’ultimo e piú geniale “umanista” del Rinascimento.
La storia purtroppo è
fatta anche di contrasti e di (evitabili) lacerazioni: Riforma e Controriforma
e due guerre mondiali, assurde per come si sono svolte, hanno compromesso
l’azione del grande magnete geopolitico posto nel cuore dell’Europa. Oggi
tra i due poli non vi è piú stridente lacerazione, ma non
è ancora stata ricomposta l’armonia: ristabilire l’interazione tra
di essi diventa uno dei compiti storici del nostro tempo. Dall’Italia può
venire l’impulso alla rinascita delle nazioni nordico-germaniche, e da
queste può sorgere un contributo significativo all’evoluzione spirituale
dell’umanità intera(5). È
però importante precisare che l’alleanza geopolitica tra mondo mediterraneo
e Mitteleuropa non può piú essere concepita in base alla
comunanza di interessi nazionalistici o razziali. A partire dalla fine
dell’Ottocento sono maturate le condizioni storiche per il sorgere di un
movimento spirituale di carattere universalmente umano. Universale come
il Sole che irradia a tutta la Terra la luce e il calore. Il problema dell’Europa
è oggi quello di offrire al mondo una Scienza dello Spirito che
abbia carattere universale, che possa essere accolta, rielaborata creativamente
e perfezionata da tutti gli altri popoli.
L’antroposofia sarà in
futuro ciò che in passato sono stati il diritto “romano”, la filosofia
“greca”, il buddhismo “indiano”. Vale a dire, il dono di una civiltà
all’umanità.
(1) Utilizziamo il termine “aryano” in un’accezione
diversa da quella dei pensatori razzisti del XIX e XX secolo, considerando
pienamente aryane anche le civiltà della Mesopotamia e dell’Egitto,
sulla scorta di Rudolf Steiner.
(2) Nel Purgatorio Dante scaglia un’invettiva contro “Alberto
Tedesco”, l’imperatore della casa di Asburgo accusato di trascurare il
diretto governo dell’Italia, e pertanto profetizza per la dinastia asburgica
un duro castigo divino, che per noi posteri è piú comprensibile
di quanto lo fosse nel Trecento: la perdita simultanea del controllo dell’Italia
e della dignità imperiale sull’Europa, oltre che l’intristirsi del
sangue reale nelle vene degli ultimi infelici discendenti.
(3) Questo è il motivo per cui i cristiani della Germania
hanno l’Arcangelo Michele come Santo Patrono. Un condottiero di angeli
per un popolo di guerrieri, buon esempio di affinità elettiva. Ai
lettori di questa rivista sarà superfluo ricordare che Michael,
oltre ad essere il nome dell’eroe nazionale tedesco-italiano… Schumacher,
è anche l’ispiratore dell’azione della Società Antroposofica
Universale.
(4) Mentre l’anima dei tedeschi continentali tende a cogliere
le Forme ideali nella percezione sensibile (cosi come ripetutamente attestano
Goethe ed Hegel, Spengler e Jünger e molti altri pensatori), i popoli
anglosassoni, che pure derivano dal ceppo germanico, nel corso della loro
storia e della loro espansione verso Occidente hanno maturato una repulsione
istintiva verso tutto ciò che è Forma-Archetipo-Idea, creando
una concezione del mondo per cui esso è l’aggregato casuale o meccanico
di un pulviscolo di atomi. Questa concezione, che fa da sfondo al nominalismo
di Ockam come alla filosofia politica di Hobbes, alla psicologia dei comportamentisti
come all’evoluzionismo di Darwin, si è potenziata al massimo nell’estremo
Occidente, dove gli Anglo-Sassoni hanno creato la realtà statale
attualmente egemone: gli Stati Uniti d’America.
(5) Per completare il quadro bisognerebbe prendere in considerazione
anche un altro “magnete” geopolitico, ancora piú grande per le sue
implicazioni, quello di cui l’Europa e l’Estremo Oriente (il Giappone in
particolare) rappresentano le opposte polarità.
Immagini:
– Ernst v. Bandel (1838-1875) «Hermannsdenkmal» (Monumento
ad Arminio) alto 54 metri, eretto nella Selva di Teutoburgo presso Detmold,
Germania
– Raffaello: “Zarathustra”, particolare da «La Scuola di Atene»,
Stanze Vaticane, Roma
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