Dalla considerazione del
mondo dei fenomeni il pensiero fa sorgere due grandi categorie concettuali:
quella della causalità e quella della finalità. Il pensiero
esige che ogni fenomeno osservato sia determinato da una causa o sia volto
ad un fine; in altre parole, il pensiero vuole collegare ogni fenomeno
con il complesso di tutti gli altri fenomeni. Un fenomeno stante a sé,
isolato, senza nesso, è incomprensibile per il pensiero. Causa e
fine sono i due anelli di congiunzione che saldano il singolo fenomeno
con l’insieme degli avvenimenti universali. Si tratta di una saldatura
puramente concettuale che avviene nel campo della conoscenza umana; nulla
dimostra a priori che il mondo sia tenuto assieme da ciò che nell’intelletto
umano si rispecchia come concetto di causa e di fine. Potrebbe benissimo
darsi che nella realtà obiettiva l’unione delle cose universali
fosse determinata da un ordine di fatti che sfugge al pensiero. È
però certo che nella sfera del pensiero umano i concetti di causa
e di fine rappresentano l’unico modo possibile di congiungere un dato percepito
con un nesso logico. Causalità e finalità sono le rotaie
obbligatorie per le quali il pensiero passa da un contenuto concettuale
ad un altro contenuto concettuale. Causa e fine costituiscono la forma
necessaria del pensiero concettuale umano. Per il fatto che l’uomo pensa
in concetti non può unificare il contenuto della sua conoscenza
che con le due categorie concettuali piú generali che conosca: la
causalità e la finalità.
Causa e fine sono due concetti
cosí generali che afferrano e conformano ogni altro concetto. Non
vi è formulazione concettuale, non vi è legge fisica tradotta
in pensiero, non vi è definizione conoscitiva che non contenga palese
o sottintesa la categoria concettuale della causalità o della finalità.
Se la scienza mi dice che l’asse terrestre è inclinato, il mio pensiero
non s’appaga di questa semplice constatazione e si sforza di conoscere
ciò che ha determinato quella inclinazione e a quale scopo sia avvenuta.
Questa necessità conoscitiva di collegare ogni fenomeno con una
causa e un fine deriva dalla impossibilità del pensiero concettuale
di concepire una forma d’essere a sé. Facciamo l’ipotesi che solo
la Terra esista nello spazio cosmico. In questo caso, non potrei mai sapere
che il suo asse è inclinato e non mi sognerei di chiedere il perché
di tale fatto. Ciò che può essere concepito come solo, come
unico, non ha bisogno di una causa che ne spieghi l’esistenza e di un fine
che giustifichi il suo modo di essere. Ma nulla vi è nell’universo
che possa essere concepito a sé: ogni cosa si presenta come parte
di un tutto, come il singolo frammento di un grande insieme. Con i dati
sconnessi della percezione, con i minuscoli frammenti offerti dai sensi,
il pensiero si sforza di ricomporre l’immagine dell’insieme. E nel far
ciò, nel soddisfare il suo anelito di conoscenza, lega i pezzi distaccati
della percezione del mondo con il filo logico della causalità e
della finalità.
La causa ed il fine rappresentano
il massimo sforzo spirituale per superare l’isolamento delle cose determinato
dalla percezione sensoria. Quando il pensiero ha ricongiunto il dato percepito
con la realtà generale del mondo, lo spirito umano è soddisfatto.
Esso in verità nell’atto della conoscenza ha compiuto il suo massimo
sforzo, ha raggiunto il limite estremo non piú superabile. E poiché
per l’intelletto umano il nesso unificatore della realtà è
rappresentato dal concetto di causa e di fine, la causalità e
la finalità sono limiti logici della conoscenza concettuale.
Il pensiero per sua natura non può superare questi limiti da esso
stesso stabiliti. Di tre singoli oggetti considerati – A, B, C – il pensiero
riesce bensí a scoprire il rapporto che li unisce, ma non arriva
mai ad afferrare l’intimo contenuto dell’oggetto in sé, la sua natura
individuale. Immagino di possedere due anelli, uno di ferro e l’altro d’oro.
Dopo qualche tempo osservo che l’anello di ferro si copre di macchioline
rossastre, cioè arrugginisce, mentre quello d’oro rimane inalterato.
Questa osservazione permette al pensiero di stabilire un rapporto tra il
ferro, l’oro e l’ossigeno. Il ferro si ossida facilmente, l’oro è
inossidabile. Posso dire: l’ossigeno è la causa dell’ossidarsi
del ferro. E qual è la causa del non ossidarsi dell’oro? Il chimico
risponderà: la sua struttura atomica che non gli permette di combinarsi
con l’ossigeno. Questa però non è che una parvenza di risposta,
perché non tocca la causa e ci dice solo che l’oro non si ossida
perché è oro. Difatti quando di un oggetto A possiamo dire
soltanto che la sua causa è ancora A, eliminiamo in verità
il concetto di causa e constatiamo con ciò che il pensiero concettuale
non ha piú modo di svolgersi e si arresta. Il pensiero è
atto a stabilire un rapporto tra il ferro, l’oro, l’ossigeno, ma è
incapace di rivelarci qualche cosa sul ferro come ferro, sull’oro come
oro, sull’ossigeno come ossigeno.
Da tale constatazione dobbiamo
trarre due leggi fondamentali per la conoscenza umana.
La prima è: il
pensiero concettuale stabilisce rapporti complessi tra i singoli oggetti
della realtà, ma non raggiunge la natura della cosa in sé.
La seconda è il corollario
della prima: la causa riguarda soltanto il reciproco afferrarsi delle
cose, cioè il fenomeno accidentale, non mai la loro essenza ed esistenza.
Con ciò il problema
dei limiti della conoscenza è posto in maniera ben diversa da come
lo espresse il Du Bois Reymond con i suoi sette grandi enigmi del mondo.
Questo scienziato, come del resto tutti gli scienziati materialisti, vorrebbe
trovare nel pensiero non soltanto le leggi dei fenomeni, ma anche quelle
dell’essere. Ciò però è impossibile. Il pensiero concettuale
per sua natura non può dare nulla di piú che il rapporto
intercorrente tra le cose, cioè la spiegazione del fenomeno, che
è atto d’intelletto, e la sua connessione con il tutto universale,
che è atto di ragione.
La conoscenza umana non
ha limiti quantitativi, come crede il Du Bois Reymond, ma limiti qualitativi.
Cioè vi sono piú specie di conoscenza, piú gradini
di conoscenza ciascuno diversamente conformato.
Anche l’animale ha la sua
conoscenza del mondo, che non è naturalmente quella logico-intellettuale.
Il pensiero concettuale è proprio dell’uomo, perciò l’uomo
vede nel suo intelletto tutta la realtà entro i limiti logici della
causalità e della finalità che escludono la conoscenza piú
profonda dell’essere e dell’esistere.
Immagine: Robert
Fludd «Cervello e pensiero», Oppenheim 1619
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