“Ansia e depressione: vittima
un italiano su due”; questo l’allarmante verdetto emerso nel corso dei
lavori presso la sezione nazionale della “Giornata mondiale della salute
mentale”(1). Prescindendo ovviamente da
ogni valutazione di natura medica, dobbiamo comunque ritenere che una sindrome
coinvolgente piú o meno dieci milioni di persone presupponga necessariamente
una situazione scatenante comune, e configuri un’alterazione collettiva
del comportamento difficilmente riconducibile al concetto classico di malattia;
altro è evidentemente, per gravità e specificità patologica,
il caso clinico conclamato, per la cui terapia Rudolf Steiner offre preziose
indicazioni in merito alla valutazione dell’effettiva funzionalità
degli organi del ricambio, di cui evidenzia il ruolo fondamentale nelle
patologie nervose, verso le quali proprio una concezione fisico/animico/spirituale
dell’essere umano giustifica un approccio essenzialmente farmacologico(2).
La crescente diffusione dei fenomeni collettivi ansiosi e depressivi, oggi
cosí drammaticamente documentata nel suddetto simposio, già
nel 1916 costituí argomento di una specifica conferenza del menzionato
autore, dal titolo emblematico: “Come si può superare l’angoscia
animica del presente”(3), autorevole testimonianza,
oltre che approfondimento illuminante, della recidività del problema,
ben sintetizzata in un testo di F. Mahling, citato espressamente a pagina
38: «Una ricchezza culturale senza pari, uno sviluppo di vita in
forza e bellezza quasi senza precedenti nella storia... e poi un’angoscia
che cresce ed afferra tutti gli strati sociali»(4).
«Io non capisco cosa
devo farne di me; non so come mi devo portare nel contesto della vita»:
questo il dilemma scatenante, non necessariamente formulato a livello concettuale
cosciente; manca dunque la capacità di giudizio indispensabile per
posizionarsi correttamente nel contesto generale dell’esistenza: “..egli
[l’individuo n.d.r.] non ha ancora trovato il giusto modo per riflettere
sulle esigenze del tempo moderno e su come il singolo possa inserirsi in
esso”(5). Si ignora dunque la praxis,
la conoscenza pratica, senza la quale l’intelletto non è in grado
di orientarsi. La tradizione non soccorre piú, e neppure la fede
nell’autorità e nelle sue rivelazioni, che anzi è di ostacolo
verso lo sviluppo della piena libertà di pensiero, presupposto indispensabile
per l’effettiva maturazione intellettuale: «L ‘intelletto è
qualcosa che in sé racchiude molto. Oggi non se ne tiene abbastanza
conto»(6). Ogni soluzione proveniente
da comportamenti di gruppo, dalla cosiddetta anima collettiva, ha perso
efficacia con la fine della relativa epoca, quella dell’anima razionale
(greco-romana), nel XV secolo: quella attuale, appunto denominata dell’anima
cosciente, nel perseguire lo sviluppo della consapevolezza individuale
tende inevitabilmente a separare gli individui, e conseguentemente solo
uno specifico impegno personale può controbilanciare le menzionate
tendenze isolazioniste: «Ciò che può scaturire dal
cuore per il bene di tutti va conquistato coscientemente; ciò che
si produce spontaneamente [senza sforzo consapevole, n.d.r.] sarà
solo separazione, isolamento dei singoli»(7).
Accanto alla necessità
della menzionata praxis quale personale guida interiore nella vita,
si manifesta dunque l’urgenza di costruire una metodica di aggregazione
sociale adatta ai tempi, in grado di evitare che singoli e popoli raggiungano
un livello di incomprensione irreversibile; già oggi la percezione
diffusissima di questo pericolo è di per sé fonte riconosciuta
di ansia e depressione. A questo scopo il fondatore dell’Antroposofia invita
a sviluppare una vera comprensione pratica dell’uomo, a cominciare dai
temperamenti costituzionali. «... coloro che hanno una certa predisposizione
dovranno spiegare agli altri che esistono quattro temperamenti; che un
uomo con un dato temperamento va preso in un certo modo, un altro con un
temperamento diverso in un modo diverso... Psicologia pratica e antropologia
pratica devono essere coltivate se si vuole arrivare a un reale senso sociale.
Non si tratta di fondare società o sette con determinati programmi,
bensí di diffondere una pratica conoscenza dell‘uomo. Solo cosí
impariamo a inserirci nella vita in modo che, quando il karma ci pone davanti
un uomo, i giusti effetti karmici si manifestino e si produca quella relazione
duratura che solo può divenire fruttuosa per la vita. …Descrizione
il piú possibile positiva su come l’uomo realmente si sviluppa,
una storia naturale positiva dell’evoluzione umana, è ciò
che deve essere diffuso con chiarezza»(8).
Conoscenza spirituale dunque, nella rivelazione adatta all’uomo di oggi,
accessibile ad ogni onesto intelletto veramente spregiudicato, senza alcuna
esigenza preliminare di fede; verificabile con lo stesso coraggioso rigore
richiesto dalla scienza naturale, sia pure con metodi diversi. La via indicata
non si limita a fornirci preziose chiavi di interpretazione della realtà
complessiva e del nostro destino individuale, frutto importantissimo ma
in un certo senso accessorio; ove percorsa con rigore e fedeltà,
è in grado di collegarci realmente con il mondo spirituale, che
interviene suscitando in noi l’auspicata capacità di giudizio e
orientamento nella vita. Perché
ciò si verifichi, è particolarmente indispensabile la consapevolezza
che i nostri protettori piú prossimi, gli Angeli, «ci possono
aiutare solo se siamo in grado di formarci pensieri su di loro. Anche se
non siamo penetrati con la chiaroveggenza nel mondo spirituale, basta sapere
di loro per riceverne aiuto. Quando studiamo la Scienza dello Spirito,
noi ci apriamo all‘aiuto che viene dal mondo spirituale. Non è l’acquisizione
di conoscenze, ma gli stessi esseri delle gerarchie superiori che ci vengono
incontro. …Dobbiamo accogliere nella conoscenza il mondo spirituale»(9).
La situazione descritta è stata determinata dalla circostanza che
quello che per noi ha rappresentato il massimo arricchimento della nostra
storia passata e futura, l’incarnazione umana del Cristo, che da allora
vive sulla terra – «Sarò con voi fino alla fine dei tempi»
– per il mondo angelico ha costituito un’equivalente perdita, che sta a
noi alleviare restituendo ai nostri custodi il Cristo in pensieri compensatori,
pregni di verità e partecipazione interiore. Conoscere lo Spirito
significa dunque cogliere quella realtà che sola può sollevare
l’umanità dall’angoscia animica che la tormenta. Il nostro tempo
reclama insistentemente impulsi nuovi per il risanamento morale dell’uomo,
senza decidersi a riconoscere che possono venire solo da una concreta conoscenza
dello spirito: si vorrebbe «avere i frutti senza l’albero!»(10)
(1) Il Messaggero, Roma
1.4.2001, p. 6
(2) R. Steiner, Scienza
dello Spirito e medicina, Editrice Antroposofica, Milano 1983, p. 275
(3) R. Steiner, Come
si può superare l’angoscia animica del presente, Editrice Arcobaleno,
Oriago di Mira (VE), 1988
(4) F. Mahling,
Il mondo dei pensieri dotti; problemi e compiti, Amburgo 1914
(5) op.cit
alla nota 3, p. 29
(6) op.cit
alla nota 3, p. 11
(7) op.cit
alla nota 3, p. 29
(8) op.cit
alla nota 3, p. 30
(9) op.cit
alla nota 3, p. 35
(10) op.cit
alla nota 3, p. 41
Immagine: G. Doré «Angelo
consolatore» Illustrazioni al Nuovo Testamento, 1866
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