Ancora una volta Giacomo si recò all’altare.* Dopo un tentativo
fallito per l’inclemenza della stagione ed uno riuscito, sempre con Martino,
in questa occasione vi si recò con un altro amico. Il viaggio non
pareva nascere sotto buoni presagi: infatti alla partenza Giacomo ebbe
un piccolo ma doloroso incidente con la serranda del garage. Durante il
tragitto in automobile, come spesso accade nelle vicinanze di quel luogo,
il discorso finí per cadere su temi legati alla Nazione.
Dai 30°C della pianura salirono, sotto pioggia e grandine e con
un vapore acqueo che ascendeva dal suolo, alla vetta dove la temperatura
era non semplicemente piú fresca come si erano aspettati, bensí
proprio fredda. Quando arrivarono in cima, comunque, il terreno era asciutto.
Però si avvicinarono con la macchina il piú possibile alla
meta, temendo di dover fuggire precipitosamente sotto un acquazzone improvviso.
Non vollero arrivare proprio nei pressi; sarebbe parso loro cosa da turisti.
E non si trovavano là per turismo.
La visibilità era buona, ma a tratti nuvole basse investivano
il costone. Cosí, dopo una breve camminata di avvicinamento, Giacomo
intravide ed indicò all’amico la pietra – l’altare – e poi l’abbeveratoio.
Forse per l’amico sarebbe stata necessaria una fase di conoscenza mediante
la quale poter entrare in sintonia con la sacralità del sito. O
forse il luogo medesimo doveva incontrarlo, accoglierlo e riconoscerlo
prima di svelargli il suo proprio ordine, prima di ammetterlo alla sua
consonanza. Giacomo, ancora una volta, ebbe l’impressione della vivezza
del luogo. Con la coda dell’occhio percepiva ombre scure che si spostavano
rapidamente; metteva a fuoco la vista in direzione del punto in cui gli
pareva di aver colto qualcosa e vedeva un cespuglio o un ciuffo d’erba
particolarmente sviluppato o una pietra. Ed era come se questi lo osservassero
e dessero l’impressione di una maggior vivezza di quella che può
comunemente fornire un qualsiasi arbusto o cespo o roccia.
Una volta arrivati nei pressi dell’altare cominciò una pioggia
leggera; schizzava. Giacomo si pose in una silenziosa, attenta, ricettiva
percezione che il luogo gli suggeriva naturalmente. L’amico, intanto, osservava
l’ambiente intorno. Giacomo ritenne che non ci fossero le condizioni necessarie
per operare la consueta offerta. Gli sarebbe dispiaciuto molto andarsene
senza aver potuto compiere quel semplice atto di armonia rituale e insieme
di omaggio. Si chiese se ciò rispondesse a una richiesta o se fosse
un suo personale bisogno: non sapendo risolvere l’enigma si rimise agli
Dei. Interiormente chiese un segno circa quel che avrebbe dovuto fare.
Se la pioggia fosse cessata avrebbe proceduto, altrimenti no. Sebbene di
poco, la pioggia non solo seguitò a cadere su di loro, ma aumentò.
Tuttavia dal panorama circostante – per la prima volta cosí limpido
da quando Giacomo andava lassú – appariva particolarmente benevola,
quasi un sorriso solare nel cielo annuvolato, una breve catena di montagne
illuminata dal sole all’orizzonte, dietro Belluno. Nonostante tutto, ciò
parve di favorevole auspicio, soprattutto per l’impressione positiva che
accompagnava sottilmente la percezione, come se dal nord qualcosa di buono
stesse per giungere. Come se una dea benefica, la serenissima Reitia,
fosse là in atto di donazione con le braccia piegate in avanti,
gli avambracci tesi, le mani aperte con le palme rivolte verso l’alto.
Quando ormai erano con le spalle all’altare, sulla via del ritorno,
un varco nelle nubi, una specie di foro, lasciò filtrare un inaspettato,
amichevole e incoraggiante raggio di sole; come un saluto. Se ne andarono
all’auto e ripresero la strada per scendere a valle. Dopo poco, si fermarono
a consumare le provviste che avevano acquistato per la merenda, ma Giacomo
con la segreta intenzione di utilizzarle per l’offerta, se fosse stato
il caso. Seduti in auto al riparo dalla pioggerella in una piazzola a lato
della strada, si godevano la vista che spaziava sino ad intravedere la
laguna di Venezia, quando l’amico notò davanti a loro un beneaugurale
arcobaleno. Giacomo ebbe la sensazione che non tutto fosse andato storto
e, piú complessivamente, non tutto fosse perduto.
In seguito l’amico osservò come il luogo fosse un centro, non
solo geograficamente o fisicamente, di qualcosa: un posto insolito ed eccezionale.
Dal ricordo della giornata emerse per lui l’impressione che una peculiare
luminosità emanasse dall’altare e in tutta la zona. Ebbe, inoltre,
la percezione che quel posto fosse come sospeso, ma non solamente perché
era una specie di picco librato sul vuoto della pianura sottostante: sembrava
a mezz’aria tra terra e cielo, tra nord e sud, tra est ed ovest, tra il
fisico e le forze eteriche che colà potentemente si agitavano.
*L’articolo fa riferimento ai precedenti
apparsi su
«L’Archetipo» 10, V, Agosto 2000, e 2, VI, Dicembre 2000
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