Lei lo vide cadere.
Nascosta tra gli arbusti
guardava la scena terribile: i cavalieri spronare i destrieri in corsa
schiera contro schiera, e lui era là in mezzo confuso con la moltitudine
urlante tra lo scintillio del sole sull’acciaio. Polvere e rumore era la
scena, e grida, e secco cozzar di lame. Lui non si fermava, perse lo scudo
e gettò via l’elmo a sfidare i cavalieri avversari. Presto gli furono
attorno. Il ferro brillò e brillò ancora in lampi fugaci
e senza tuono: la fanciulla non vide mai tempesta piú paurosa. Lui
cadde, cadde come cento altri. E fu il silenzio.
Lei uscí dal suo
nascondiglio e si avventurò tra i feriti gementi e i morti immobili
e indifferenti. Non lo vedeva, in mezzo a quella polvere ancora sospesa
nell’aria, tra quello sfacelo, stentava a ricordare dove l’aveva visto
cadere. Infine, passando tra sangue ed interiora sparse, tra braccia staccate
e teste rotte, lo vide. Era riverso al suolo, immobile, e lei si avvicinò.
Si mise in ginocchio accanto al cavaliere. Gli sfiorò il viso con
il dorso della mano e s’accorse ch’era caldo. Il sole era già tramontato
e s’era levata una brezza lieve e fresca, eppure lui era caldo. Lo rigirò
con cautela e lui gemette. Osservò le ferite: c’era un taglio di
traverso al petto, non molto profondo, ma non era stato quel colpo a farlo
cadere. Aveva invece, subito se ne avvide, una ferita alla testa. Una presso
al cuore, dunque, ed una sulla testa. Una botta forte, ma non grave. Lo
sollevò, e quegli, cercato l’orgoglio in una piega della sua ritrovata
coscienza, si fece forza.
«Ti porto a casa mia,
non è lontana», disse lei facendosi passare un braccio del
cavaliere intorno al collo. Il cavaliere gemette, poi bisbigliò
qualcosa. A lei sembrò che parlasse della donna che aveva lasciato
per partire in guerra. Parlò confusamente di un amore lontano che
non avrebbe piú rivisto ma che non avrebbe mai dimenticato. Intanto
erano arrivati a casa.
Lo fece entrare. La casa
era semplice e povera, e composta d’una sola stanza. Un camino da una parte,
un letto di paglia lungo il lato opposto, due cavalletti e un paio di tavole
a formare il desco. Una cassapanca, povere stoviglie ed una brocca sbreccata.
Lo fece sdraiare sul letto. Pulí le ferite e gli dette da mangiare.
Lentamente lui si riprese, si guardò attorno e poi la fissò
con gli occhi limpidi di chi sa sfidare la morte.
«Sei bella»
disse, e cercò di sollevarsi su un gomito, ma il dolore lo fece
ricadere.
«Sei molto bella»,
ripeté.
«Sono bella perché
tu mi guardi – rispose lei. – La bellezza vive nei nostri sguardi, ma la
gente non sa piú guardare e finge di vedere. Non vedrà mai
il bello in questo modo, ma soltanto ciò che le piace».
«Sei saggia»,
continuò il cavaliere.
«Se fossi saggia non
t’avrei portato nella mia casa».
«Mi hai salvato la
vita. Ormai era questione di tempo. Oppresso dalle ferite e dai ricordi
sarei stato strappato alla Terra da un colpo di vento, ed ora sarei nei
campi in cerca di un calore perduto per sempre con il mio sangue».
«C’è un fuoco
che arde in questa casa, ma il calore che senti proviene dal mio cuore».
«Oltre alla vita ho
forse anche trovato un amore?»
«Ti ho visto cadere
e in quel momento ti ho amato, perché eri vero. Mentre il tuo sangue
si disperdeva nel vento, c’eri soltanto tu. Non c’erano pensieri, sentimenti,
emozioni e passioni, non c’erano ricordi e abitudini, educazione, istruzione
o falsi pudori. C’era un uomo, ed io amo gli uomini».
«Tanti sono morti
quest’oggi e tutti valorosi, tra i nostri come tra gli altri. Eppure tu
hai scelto me! Non siamo tutti veri in quei momenti?»
«C’è dell’arte
nel morire. C’è chi muore e chi fa della sua morte un gesto, un’immagine,
una scultura. In un attimo ho colto in te l’artista. Piú che in
mille versi e mille dipinti, la realtà si è adattata al tuo
morire, s’è inchinata davanti a te. Per questo ti amo. La sofferenza
dei ricordi, che è venuta dopo, aveva in sé quei colpi di
spada. È l’altra che t’ha colpito, non i tuoi nemici».
«Potrò mai
amarti? Ti sento cosí vicina, come se nel mio ritrovato sangue scorresse
una parte di te. Hai preso la mia vita nelle tue mani. Potrò mai
non amarti?»
«Oh, sí, sí
puoi amarmi, puoi amarmi senza timore d’essere ferito. Io non uccido, io
guarisco. Io non ti farò male, io ti curerò. Pensando a me
non soffrirai e, sollevato il viso verso il cielo, sorriderai. Non avrai
rimpianti, non avrai malinconia e tristezza, perché saprai che io
ti sono vicina».
«Baciami allora, coprimi
col tuo calore!»
«Guardami ancora,
guardami mentre sono qui, mentre ti guardo».
«Sei bella, c’è
della luce intorno, c’è della luce nei tuoi occhi».
«Mi amerai?»
«Come può amare
chi torna dai campi della morte!»
«La notte è
passata, sei salvo».
Il cavaliere volse lo sguardo
verso la finestrella aperta: il sole era già sorto eppure gli pareva
quasi di essere stato portato in quella casa da pochi minuti e di essersi
appena sdraiato.
«Ora devo andare –
disse lei– ma non temere, ci sarò ancora, anche quando non potrai
vedermi».
Si avvicinò alla
porta e l’aprí. Il sole entrò con la baldanza dei suoi primi
raggi, lunghi e ancora deboli ma curiosi di esplorare il mondo uscito dalle
tenebre.
Lei spalancò le ali
bianche tessute di luce e volò nei cieli degli angeli.
Immagine: «Cavalieri
in battaglia» – Miniatura sec. XIV
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