POESIA

Ci lascia rare tregue la città
e brevi spazi dove riparare:
oasi, vie di fuga, nidi o tane.
Qui fingere universi, ricreare
paesaggi con ellissi di comete,
immaginare il gallo sul pennone
della torre, anemometro zelante
eretto a misurare le volubili
temperie di stagioni, una superba
quasi immortale araba fenice
svettante dalla cenere dei tetti.
Rompere schemi esigui, sconfinare
su praterie di marzo appena accese
d’erbe aromate, scorgere battigie
distese lungo placide lagune,
e dorate marine, e dolci incanti
in luogo di scenari dove pullulano
urbane concitate realtà,
umane ubiquità vaganti e perse,
non da luce animate e mosse a vivere
né dalla vera fiamma che purifica,
ma solo da incalzanti frenesie
nel dilemma tra essere ed avere.
Dalle vaste derive esistenziali
salvare poche zolle, farne un’isola.
Qui ricomporre il cosmo in un disegno
indelebile, forte di armonie,
un regno esente da supplizio e morte.
Cosí come fu eterno, incorruttibile,
felice d’ali, il tempo delle origini:
un giorno senza inizio, senza fine.

Fulvio Di Lieto

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