SCIENZA

Ogni giorno vediamo nuove conquiste della scienza aprirsi il varco verso ulteriori traguardi. In quest’epoca teleguidata i temi della ricerca genetica coinvolgono tutta la società, in particolare per le loro applicazioni in campo medico e agricolo.
Ogni uomo ha un rapporto profondo, piú o meno cosciente, con la propria salute e con l’alimentazione. I piú recenti sviluppi della genetica e della medicina destano meraviglia e orgoglio: attraverso la clonazione di cellule staminali adulte, prelevate da un millimetro quadrato di tessuto dell’occhio, è possibile coltivare in laboratorio l’intera cornea da trapiantare nello stesso individuo; per la cura delle ustioni si possono ricostruire ampie superfici della pelle partendo da piccole zone di tessuto sano del paziente; per i diabetici, anziché estrarre l’insulina dal pancreas di animali, da alcuni anni è possibile produrla direttamente in laboratorio, riducendo cosí i rischi di trasmissioni indesiderate. Ma qui la scienza è riconoscibile come tale, la tecnica non ne ha ancora usurpato il ruolo.
Eppure, nonostante queste mirabolanti conquiste, e al di là del rapporto personale con il medico, sembra diminuire la fiducia verso l’ente-simbolo della medicina, l’ospedale, che fino a qualche decennio fa nell’immaginario collettivo era visto come un luogo di speranza. Una delle cause può essere ravvisata nella tendenza sempre piú dominante a “scorporare”, nella diagnosi e nella terapia, la malattia dal malato. Tale tendenza è il frutto di un esasperato tecnicismo che per sua natura non può operare sul piano umano – come dovrebbe la scienza medica – bensí solo sul piano fisico-tecnico. La tecnologia ha una sua preziosa funzione, che deve essere riconosciuta e riportata nella sua giusta sede.
In questi ultimi anni stiamo assistendo a un crescente disorientamento anche nei confronti delle certezze che avevamo sulla qualità dei nostri cibi. L’agricoltura industriale moderna, con i ritmi intensivi di produzione, si è affidata sempre piú all’ausilio della chimica. Alcuni tipi di pesticidi e diserbanti, per molti anni considerati innocui per l’uomo e per l’ambiente, si sono rivelati poi cancerogeni e sono stati proibiti. L’uso di ormoni, antibiotici e mangimi industriali nell’allevamento degli animali sta mostrando i suoi limiti. Certi additivi usati generosamente per anni nei processi industriali di trasformazione alimentare non superano i nuovi test tossicologici. Constatiamo cosí come alcune certezze della scienza di ieri incontrino oggi delle contraddizioni.
La genetica ci propone delle soluzioni che possono sembrare straordinarie: pomodori che non marciscono; fragole che si adattano ad ogni clima; meloni che maturano in ogni stagione; piante di mais che producono pesticidi direttamente nei propri tessuti; piantine di riso arricchite di vitamina A; capre che producono latte contenente molecole antitumorali; maiali che crescono piú rapidamente ecc. Non mancano però le voci, anche di autorevoli scienziati, che invitano alla cautela, ricordandoci le delusioni di alcune grandi certezze della scienza poi smentite o la possibilità che il polline di colture transgeniche in campo aperto venga diffuso dal vento e dagli insetti, sfuggendo del tutto al controllo dell’uomo.
In questo eccezionale sviluppo del “progresso che non si può arrestare”, tuttavia, ciò che non appare diverso dal recente passato è un certo modo di porsi di fronte al vivente. Medici e pazienti, ricercatori e consumatori, tutti siamo accomunati da un profondo e sottile atteggiamento di pensiero, caratteristico della nostra epoca, che sempre piú ci fa apparire come equivalenti i concetti di “organo” e di “organismo”, ovvero ci mostra un “essere vivente” soltanto come la somma di piú parti o organi. Questo tipo di pensiero influenza tutti i campi della vita umana: la scienza, l’economia, la cultura, alimentando alcune forme moderne di superstizione “razionale” o di cieca fede nella nuova “scienza-tecnica”, nella nuova economia, nei nuovi sistemi ecc. È lo stesso pensiero che, ad esempio, nel sociale favorisce e giustifica culturalmente il proliferare di lotterie e di trasmissioni televisive – pubbliche e private – con giochi a premio in denaro, indifferenti alle reazioni interiori che possono indurre a formare, soprattutto nei giovani, un irreale concetto di denaro, di lavoro, di pane quotidiano. E giova poco se ci si impegna a investirne i proventi nella conservazione dei beni, per paradosso, culturali. L’invocazione evangelica «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», che per secoli ha accompagnato la cultura piú autentica dell’Occidente, ormai sta perdendo il suo profondo significato.
La terra ha sempre donato agli agricoltori i semi per i campi e il nutrimento per il bestiame, e ai piú romantici può dispiacere che oggi i contadini debbano invece acquistare i semi e il mangime dalle industrie chimico-farmaceutiche. Ma al di là delle considerazioni sentimentali o politiche, oggi la prudenza è ancor piú necessaria che in passato, perché lo sviluppo della scienza genetica, muovendosi sugli stessi binari lungo i quali scorre la vita, se male indirizzata e applicata può mettere a rischio non solo la salute dell’uomo ma il futuro stesso della vita.

Lorenzo Plebani

Introduzione al libro di Sergio M. Francardo I semi del futuro, Edilibri, Milano 2001

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