L’antroposofia non fa appello
a facoltà medianiche o a residui di poteri psichici propri ad una
umanità piú antica, ma si fonda sullo sviluppo di quelle
forze razionali che sono alla base della nostra civiltà, anzi che
sono a fondamento delle stesse scienze materialistiche. Il pensiero coltivato
dalla concentrazione è lo stesso che ci permette di svolgere i compiti
della vita quotidiana.
Ammiriamo i prodigi della
civiltà tecnologica: aerei che si innalzano in volo, satelliti che
trasmettono da un capo all’altro della terra immagini e segnali radio,
macchine che sollevano per decine di metri quantità di materiali
che avrebbero fiaccato il braccio dei favolosi giganti della preistoria:
tutte queste creazioni materiali sono il frutto di quella folgore che si
accende nella mente dell’uomo. L’antroposofia è il compimento spirituale
di quella potenza della mente che attraverso la scienza e la tecnica moderne
ha imposto ai metalli e ai minerali della Terra la volontà cosciente
dell’uomo.
Cosa si richiede all’antroposofo?
Che sia uomo del proprio tempo: in grado di guidare con disinvoltura una
macchina, di utilizzare un trapano elettrico, piú svelto degli altri
nell’impadronirsi dei nuovi ritrovati della tecnica, come Internet; capace
di comprendere la propria epoca anche nei suoi aspetti “frivoli”: ad esempio
nel diffondersi di una nuova moda musicale. Il guénoniano ha un
timor panico dello scorrere del tempo e ama il deserto, che è senza
tempo e senza vita. L’evoliano invece vorrebbe vivere in un suo Medio Evo,
a metà strada tra “Il Mistero del Graal” e “Conan il barbaro”. L’antroposofo
vive nel presente per conquistare il futuro.
Conquistare il futuro significa
dare un significato spirituale a tutti gli aspetti della vita moderna.
Le scienze occidentali portano ancora oggi una impronta materialistica,
e la tecnologia che ne deriva assume pertanto la forma di una volontà
di potenza mefistofelica. Proprio le scienze materialistiche debbono essere
guadagnate all’antroposofia. Fino a quando in Europa e nel resto del Mondo
non apparirà una nuova generazione di fisici-antroposofi, chimici-antroposofi,
ingegneri meccanici-antroposofi, la Scienza dello Spirito rischia di rimanere
– fatte salve le realizzazioni individuali di personalità d’eccezione
– un discorso “new age”.
Apriamo un manuale di fisica.
Liberandolo dalle formule matematiche, pur necessarie ma astratte, potremo
scoprire in possenti immaginazioni quelle forze elementari di calore, energia,
luce, elettricità, magnetismo di cui Steiner parla nella Scienza
Occulta.
Nella biologia scopriremo
allusioni inconsapevoli al corpo eterico. Essa ci appare come la Dama delle
leggende medievali: bellissima fanciulla rinchiusa in un castello da una
bestia, e che attende di essere liberata. Per spirito diplomatico non diciamo
chi sia la bestia, diciamo però che se i biologi seguissero le indicazioni
date già nell’Ottocento da Goethe, un nuovo Sole splenderebbe sulla
piú graziosa delle scienze: la scienza della vita. In Italia, come
testo esemplare che tiene fede a questo auspicio, è l’opera principale
del professor Giuseppe Sermonti, genetista dell’Università di Perugia:
Dopo Darwin. Critica dell’evoluzionismo, in cui l’evoluzione delle
forme viventi è riletta alla luce degli Archetipi naturali di Goethe.
Quando le scienze della
natura verranno fecondate dal pensiero antroposofico, i risultati non saranno
soltanto contemplativi. L’organismo terrestre si sta rapidamente deteriorando
e attende l’intervento dell’uomo per ristabilire gli equilibri distrutti.
In particolare, alla civiltà tecnologica si pongono due necessità:
avere accesso a fonti di energia rinnovabili e pulite e porre rimedio alla
drammatica riduzione dei bacini di acqua potabile. Nell’Ottocento la scienza
materialistica occidentale riuscí a trarre energia dal petrolio
(vale a dire da un prodotto di decomposizione della forza vitale-vegetativa);
la scienza antroposofica del 2000 potrebbe trovare il modo di ottenere
in maniera vantaggiosa energia dal Sole, o di rendere potabile l’acqua
salata in maniera altrettanto vantaggiosa. A cavallo del XIX e XX secolo,
Faraday, Maxwell e i fisici della scuola danese nelle loro ricerche sull’elettromagnetismo
misero a frutto le intuizioni del poeta-filosofo tedesco Schelling; quante
intuizioni di Steiner attendono ancora di essere “sperimentate” per garantire
all’umanità un nuovo formidabile balzo in avanti!
Quanto piú le discipline
scientifiche sono ancorate alla materia – come l’architettura e l’ingeneria
– tanto piú esse attendono di essere illuminate dall’antroposofia.
Perché ciò
accada, si richiede all’antroposofo una qualità particolare, affinché
possa sorgere nella comunità umana antroposofica un clima fecondo:
di essere “fedele alla Terra”. Amante del presente e del proprio posto
di combattimento sulla Terra. Una voce suadente sibila all’orecchio dell’antroposofo:
«Come sarebbe bello vivere sull’Himalaya, in un posto tranquillo
dove compiere tutto il giorno “gli esercizi” e coltivare l’interiorità;
e invece eccoci alle prese con le tristi necessità quotidiane!»
Sembrano parole dello Spirito, e invece è il residuo mnemonico della
pubblicità delle agenzie di viaggio.
Se avessimo davvero voluto
vivere in solitario ascetismo non saremmo nati in Occidente e non avremmo
a un dato punto della nostra vita letto l’Iniziazione: tutti gli
esercizi di quella via sono concepiti per uomini attivi, che non possono
perdere di vista l’orologio. Giovanni Colazza esercitava una delle professioni
piú impegnative, piú avide di tempo: la professione medica,
che peraltro agli inizi del secolo scorso si presentava avvolta in una
rozza veste materialistica.
Proprio perché propone
immagini di mondi e dimensioni sconosciute, l’antroposofia richiede di
essere coltivata da uomini pratici, da donne energiche. Cosí come
la bandiera che per librarsi nell’aria ha bisogno di un’asta ben piantata.
Mentre gli antichi Indú,
attratti dalla nostalgia della patria divina, vedevano nel ciclo delle
reincarnazioni una zavorra di cui liberarsi, la spiritualità romana,
degnamente testimoniata all’inizio del secolo scorso da Arturo Reghini,
esorta le anime a incarnarsi sulla Terra per svolgere la propria missione.
Virgilio nell’Eneide fa incontrare il suo Eroe nell’Averno con le anime
dei “nascituri” gloriosi della storia di Roma: Romolo, Cesare, Augusto.
E queste anime sembra che scalpitino dal desiderio di “atterrare”, quasi
incuranti delle beatitudini ultramondane.
Immagini:
– Johan Wolfgang von Goethe
– Friedrich Wilhelm von Schelling
|