- I
mezzi d’informazione, riferendosi al raid aereo dell’11 settembre
scorso contro le Torri del World Trade Center di New York, hanno definito
quell’atto terroristico e le vittime che esso ha provocato “la prima
catastrofe del Terzo Millennio”. Accanto allo sgomento per la perdita di
vite umane e per le rovine materiali di quel tragico evento, dobbiamo
dunque collocare anche l’angoscia di sapere gli anni del nostro futuro
contrassegnati dal marchio del terrore, della violenza e della strage?
- Ma allora, ci chiediamo,
quando entreremo nell’Età dell’Oro, quel lungo periodo di pace e
armonia preconizzato da tutte le grandi Guide dell’umanità, in cui le
forze del Male verranno messe in condizione di non poter piú ostacolare l’uomo
nel suo cammino di autorealizzazione? Rischiando di assumere una posizione
contraddittoria rispetto ai media, alle topiche del momento e alle
congetture catastrofiche che l’attentato in questione ha suscitato,
dobbiamo ritenere a buon motivo che quell’atto distruttivo non sia da
ascrivere nel novero degli anni futuri del mondo, quanto piuttosto stia a
rappresentare i colpi di coda dei troppi anni, secoli e millenni di storia
umana votati alla violenza, alla guerra e allo sterminio. Citando l’Apocalisse,
fa parte delle “cose che furono e mai piú saranno”.
- Riguardo all’attuale
periodo di compimento epocale, è interessante notare quanto rivela la
profezia della Monaca di Dresda, un veggente tedesca vissuta nel
Settecento. In un suo messaggio la sensitiva parla della lotta finale e
letale tra l’orso e il lupo, una contesa che porta le due belve, avide e
feroci, ad eliminarsi a vicenda. In chiave allegorica, l’orso
rappresenta il denaro, la ricchezza ostentata e la cupidigia, che si
alimentano della sola dedizione e devozione al possesso dei beni
materiali. Il lupo rappresenta l’isolamento e la ferocia, che derivano
dal non poter mai soddisfare la propria fame e smaltire al tempo stesso la
rabbia e la frustrazione di chi si trova perennemente ributtato ai
margini, fuori dal contesto del benessere.
- «Cogliete i segni!»
ammonisce il Vangelo. Nella tragica mattina dell’11 settembre segni e
simboli hanno eloquentemente parlato. I segni, costituiti dagli aerei
aggressori e dalle Torri, a indicare la realtà visibile e tangibile della
materia in azione. I simboli invece quali messaggio e monito che
trascendono la realtà materica e l’evento, sfociando nella dimensione
soprasensibile. In tal senso le Torri incarnano l’emblema di un potere
economico globale, essendo ormai New York uno dei massimi centri della
finanza mondiale, incapace di gestire equamente ed eticamente la
ricchezza, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti:
disoccupazione, emarginazione, bibliche migrazioni di popoli, unitamente a
una precarietà imprenditoriale causata dal gioco borsistico che porta
individui ed aziende, nel giro di ore, dai picchi di fortune smisurate
agli abissi di tracolli irreparabili. Gli aerei assurgono a simbolo di una
spada impugnata dagli aggressori che hanno colpito senza pietà, in nome
di un Dio vendicatore, retaggio di un rapporto col divino che non ha
diritto di entrata nell’era dello Spirito.
- Si è appunto accennato, in
questa occasione, al fallimento delle religioni. Ma non è qui il nodo
della questione. «The singer and not the song» dicono gli inglesi, cioè
il cantante e non la canzone: non è la dottrina ma l’uomo che fallisce
o si sublima. Il fallimento di questa civiltà, che chiama in causa tutti
i popoli della terra senza esenzioni di responsabilità, è appunto nell’uomo,
che non ha saputo ben spendere i suoi talenti.
- Ecco, l’uomo, è questo il
nodo cruciale. Un individuo fatto di corpo, anima e spirito. Alla sfera
fisica attiene l’acquisizione di una dignità sociale, a quella animica
l’espressione di una libera creatività e a quella spirituale la
consapevolezza di lavorare all’alto progetto di assimilazione al divino.
- Perché ciò si realizzi, le
tre sfere dovranno operare all’unisono. Tale presupposto venendo meno,
si perpetuerà, come già l’episodio delle Torri gemelle ha
drammaticamente mostrato, la civiltà contraddittoria e fallimentare di
cui siamo in definitiva tutti vittime o disonorevoli protagonisti.