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Un’occulta iattura
inclina e spezza
il frondame del ricino, gualcisce
le variopinte rose alle spalliere,
pervade la bellezza, ne fa scempio.
Forse è il sole malato, forse è l’aria
impregnata di umori veleniferi,
compresi i nostri aliti feroci
di belve a caccia delle loro prede
o in cerca di una tana per sfuggire
alla mattanza della caccia altrui
piú crudele ogni giorno, piú rapace.
Libera nos a malo, fa discendere
la Tua manna benefica, i Tuoi angeli
a trarci fuori da Gomorra e Sodoma,
che ci raccolga l’Arca se il diluvio
cresce e sommerge le pianure e i monti.
Regalaci mitezza, soccorrevoli
gesti e parole, aiutaci a guarire
da questa febbre ignota. La città
disgrega in riva al fiume i suoi dorati
palazzi, le sue chiese lentamente
dissolvono in frantumi i loro marmi.
E il verde grida, un’orgia di fogliami
aridi e cupi, ricadenti in basso
con salti a precipizio, un intricato
rude subisso di flagelli e scorze.
Oh Signore, purifica, sublima
la cruda linfa che ci nutre e sforza
strenuamente a salire il nostro seme
alla purezza immensa del Tuo Cielo.
Suggerisci, conforta. Se dispera
il cuore solitario in abbandono,
volgi la mano che ferisce in fervido
salvifico strumento di preghiera.
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