L’ALTRA STORIA

Maître Philippe, il grande Maestro di Lione, detto anche “il padre dei poveri”, parlava spesso dei cliché. Anzi, questo è uno dei temi centrali del suo “Vangelo”. Un argomento inedito e straordinario, in qualche modo assimilabile alla cronaca dell’Akasha, ma con aspetti suoi peculiari. Eccone, per sommi capi, la descrizione come riportata da Alfred Haehl in Vita e parole di Maître Philippe. «Quando un avvenimento deve prodursi, vengono da tutta l’immensità delle molecole per costituire un cliché. …Alcune persone possono godere di un dono di percezione dei cliché. Costoro vedranno presentarsi, piú o meno evidenti, quei cliché e, a seconda della vivacità di questi, concluderanno che un tale avvenimento deve prodursi a una tale epoca. …I cliché sono vivi, e possono essere evocati e resi sensibili alla nostra intelligenza».
I cliché sarebbero quindi campi di forza, veri e propri calchi metafisici, moduli cosmici, sequenze karmiche. Essi hanno una loro dimensione e una propria vita autonoma, in grado di influenzare il destino degli uomini a livello individuale e collettivo. C’è da chiedersi se tali cliché siano mossi da una volontà superiore che li impone agli uomini, secondo un disegno provvidenziale imperscrutabile, o se siano gli stessi uomini con le loro azioni ad evocarli, o piuttosto la combinazione di entrambe le ipotesi.
Il 5 ottobre dell’anno 40 a.C., un cliché di pace e di concordia venne evocato ed invocato dal popolo di Roma, stanco di guerre civili, coscrizioni e proscrizioni, confische e congiure, battaglie ed assedi per mare e per terra. Ottaviano ed Antonio, piú per opportunismo che per convinzione, firmarono una tregua a Brindisi, in base alla quale Ottaviano restava padrone dello scacchiere occidentale, inclusa Roma e l’Europa, e Antonio, insieme a Cleopatra, avrebbe regnato sul quadrante orientale del vasto Impero.
Virgilio si trovava a Napoli, dove frequentava il circolo epicureo di Sirone. Da tempo però non condivideva piú le idee del suo primo maestro di etica e filosofia. Il poeta non soltanto contestava l’epicureismo materialistico e ateo insegnato alla scuola di Sirone – secondo cui l’animus (mente) e l’anima (forza vitale) non sopravvivono al corpo fisico – ma andava oltre la stessa dottrina neo-pitagorica, molto in voga allora negli ambienti culturali. Egli infatti, nel VI Canto dell’Eneide, per bocca di Anchise spiega in termini di conoscenze misteriche il ciclo delle reincarnazioni cui è sottoposta l’anima, contaminata dal contatto con la materia, finché purificandosi – nel vento, nell’acqua e nel fuoco – essa non riacquisti la purezza primigenia, e cosí, da una reincarnazione all’altra, fino al ricongiungimento con l’anima universale: l’unico al molteplice, il molteplice all’unico. Anchise parla di un igneus vigor immortale che pervade non solo gli umani ma tutti gli esseri creati, dal minerale all’angelico, passando per il minerale, l’animale e l’uomo. Non metempsicosi, dunque, ma il concetto piú alto della sublimazione continua e globale della materia nel tempo.
Maître Philippe, parlando dei cliché, ci dice che vi sono persone piú ricettive di altre nel coglierne i messaggi, nel decifrarne i significati reconditi, le implicazioni karmiche. Tra queste, i poeti, per la loro marcata sensibilità e capacità, allo stesso tempo, di raccordare gli umori e le istanze del secolo umano e storico alle sequenze fatali dei cliché che scorrono nella dimensione contigua alla realtà fisica ma che la trascendono.
Tutta la poesia prodotta nel secolo che precede la venuta del Cristo è pervasa da uno spirito mistico-messianico. Lucrezio Caro, nel suo De rerum natura, aveva già cantato con impeto lirico e toni di rimpianto i fasti di una perduta armonia pastorale e le virtú della gente rurale della prima Roma. Gli aveva fatto eco Orazio, col suo epodo 16, nel quale deplorava il miserevole stato dei cittadini romani decimati da guerre e carestie, corrotti da falsi ideali e degradati nei costumi pubblici e privati. Non credendo in un loro riscatto civile e morale, e non nutrendo fiducia alcuna negli organi della pubblica amministrazione, dai senatori ai magistrati ai cavalieri e tribuni, esortava tutti a disertare in blocco, abbandonando l’Urbe al suo triste fato, e raggiungere in volo isole felici in esotiche terre lontane.
Rimpianto e fuga, dunque, non recupero. Virgilio invece, scrivendo le Bucoliche, e in particolare la quarta delle dieci egloghe, indica la via del riscatto, punta sulla venuta del Puer tutte le carte della redenzione romana, e individua la chiave per aprire le porte sul secolo d’oro, il Grande Anno, l’Era della Vergine, il secolo di Saturno. Egli si fa pertanto mediatore tra l’anima universale e quella dei suoi concittadini, diventando, con l’efficacia della vis poetica, portaparola delle ansie e speranze comuni, che erano l’anelito alla pace sociale, alla giustizia e al benessere, all’armonia dei rapporti tra gli individui, quale che fosse la loro condizione. Ed è in realtà un redentore, per via e in virtú di parola, che egli vede nel Puer invocato nei versi dell’egloga non un fanciullo incarnato nelle nobili discendenze dell’aristocrazia romana, quanto piuttosto un rampollo della dinastia solare. Non a caso Virgilio invoca Apollo e Diana Lucina, affinché aprano la strada al divino fanciullo e lo conducano al mondo afflitto dalla discordia e dai lutti. Un neonato, quindi, che non avrebbe, da uomo, regnato a Palazzo, arringato le folle, condotto eserciti in battaglia, bensí uno spirito che potesse ispirare una grande anima e guidarla nella realizzazione di una società come era stata quella felice dei tempi di Numa Pompilio, giusta e santa, rispettosa della divinità, della natura e dell’uomo.
Critici e studiosi, vòlti come sono per la gran parte al razionalismo pragmatico, si sono sentiti nel tempo obbligati a cercare e trovare, nelle realtà storiche e sociali indagate, plausibili giustificazioni e dati probanti ai miti e ai misteri concepiti dall’umanità nel corso della sua lunga vicenda esistenziale. Ecco quindi la necessità di riscontrare modelli reali, ora per il divino fanciullo della tradizione sumero-caldaica, ora, appunto, per il Puer virgiliano, fino al Veltro di dantesca memoria, identificati in tale o in talaltro personaggio eminente e fatidico, sia esso monarca, profeta, maestro o condottiero.
Piú verosimilmente, la spiegazione di qualsivoglia mistero mitico o letterario è nell’attesa umana dell’avvento prodigioso e salvifico, dell’epifania messianica capace di sovvertire ogni negatività in redenzione e riscatto. Non un personaggio fisico, bensí l’irriducibile tensione umana concepita da innumerevoli anime. Èmpito che nasce, sorge, si espande e, vero grido dell’anima universale, raggiunge la soglia della dimora dell’Eterno che sempre, nei tempi e nei modi, e con gli strumenti Suoi propri, ascolta, risponde, esaudisce: grazie, miracoli, cliché positivi. O invia esseri perfetti che aiutano l’uomo a capire e progredire sulla Via dell’autosublimazione.
Con il Cristo, il dono è stato supremo: la divinità ha dato se stessa agli uomini. Una civiltà, quella ebraica, era stata eletta a preparare e fornire un corpo adatto alla Sua incarnazione, un’altra civiltà, quella romana, a veicolarne il Verbo ai popoli della Terra attraverso le sue strade, le sue leggi, i valori morali e culturali di una civiltà universale.
Ripristinando i culti religiosi, temperando i costumi pubblici e familiari, creando uno Stato in cui l’Uomo avesse dignità e garanzie di realizzazione individuale e sociale, Augusto, operando per via politica, giuridica e culturale, era riuscito a creare una realtà sociale ricca dei piú alti valori umani e civili. All’imperatore e princeps erano stati sodali e ispiratori Cicerone, Orazio, Mecenate, Ovidio, Properzio, Virgilio e tutta una schiera di anime nobili impegnate a preparare il corpus degno di accogliere un cosí alto spirito cosmico, il dirompente soffio vivificante che avrebbe mutato il mondo, ancorando la filosofia divagante al concetto di uomo-divinità e la gestione dei popoli alle esigenze del sacro.
Virgilio venne da Vate ad annunciare questo irripetibile evento con tutta la sua opera, ed in particolare con la quarta egloga delle sue Bucoliche. In tale carme misterico egli porgeva orecchio al suono frusciante del grande fiume che scorre incessante nella dimensione sovrannaturale e che sa tutte le cose che furono, che sono e che saranno.

Ovidio Tufelli

Immagini:
– Luca Signorelli «Il poeta Virgilio» particolare di un affresco nel Duomo di Orvieto
– «Virgilio mentre scrive le Bucoliche» miniatura francese XV secolo – Biblioteca pubblica di Digione
Ara Pacis di Augusto. Rilievo in marmo raffigurante Saturnia Tellus con la ninfa Aura sul cigno in volo e una Nereide su un mostro marino.

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