In quanto essere pensante, l’uomo deve necessariamente vedere la realtà del mondo fisico attraverso le grandi leggi logiche della casualità e della finalità. Esse stabiliscono la connessione esteriore degli eventi e dei fenomeni per la quale l’universo assume una grandiosa armonia di pensiero. Però abbiamo già visto che con il pensiero non si può penetrare nell’essenza della realtà. E difatti questa interiorità delle cose è preclusa alla coscienza comune dell’uomo terrestre.
Prendiamo in mano un seme. Che cosa sappiamo di questo seme? Quello che ci dicono i sensi e il pensiero. Dalla sua particolare forma possiamo dire a che pianta esso appartenga, il pensiero ci svela i rapporti che lo legano alla sua specie e a tutto il regno vegetale. Ma che cosa vediamo della forza misteriosa che è racchiusa nel seme e che farà sorgere la pianta? Assolutamente nulla. Sappiamo solo che essa esiste. Non possiamo però giungere ad essa né con la percezione, né con il pensiero.
Queste considerazioni faranno ritenere giustificato tanto il kantismo con la sua irraggiungibile “cosa in sé”, quanto l’ignorabimus di Du Bois Reymond, e parrà forse strano che sia proprio la Scienza dello Spirito antroposofica a combattere queste concezioni limitative della conoscenza umana. È perciò importante chiarire questo punto, sul quale fecero leva gli avversari di Rudolf Steiner e lo accusarono di materialismo e di ateismo, quando egli si levò a difendere le idee di Haeckel.
Un punto fermo della teoria della conoscenza antroposofica è rappresentato dalla dimostrata asserzione che la conoscenza è data dall’unione della percezione con il pensiero e che non vi è assolutamente nulla nella realtà che sia al di là della percezione e del pensiero. Degli avversari poco perspicaci hanno fatto su ciò della facile critica, dicendo: “Voi parlate degli Angeli. Se li vedete, come è poco probabile, le basi filosofiche della vostra concezione vengono a cadere e l’antroposofia non è una scienza ma una mistica. Se non li vedete, come è probabilissimo, siete degli sfacciati ciarlatani”. Questa obiezione dimostra quanto superficiale sia il pensiero degli uomini e come sia difficile comprendere l’antroposofia.
Che cosa significa l’affermazione: per la coscienza dell’uomo terrestre non vi è nulla al di là della percezione e del pensiero? Significa che la totalità del mondo dei sensi si esaurisce in ciò che percepiamo e nelle leggi del mondo che il pensiero ci rivela. Nel mondo fisico non vi è assolutamente nulla piú di questo. Ma Kant concepisce appunto la sua cosa in sé come un ente fisico spettrale e il Du Bois Reymond cerca, e non può trovare, nell’ambito della realtà fisico-sensibile la risoluzione per i suoi enigmi. Si commette cosí il grossolano errore – e questa è la vera essenza del materialismo dichiarato o larvato – di voler trovare lo spirito nella materia fisica e di concepirlo con tutti i caratteri della materialità. L’antroposofia s’oppone a questa concezione materializzante della realtà e dice che nel mondo dei sensi è presente soltanto il fisico-materiale e che lo spirito va cercato altrove e concepito in modo soprasensibile. Ma ciò non implica una distinzione spaziale o quantitativa della realtà, sibbene una distinzione essenziale-qualitativa.
Gli angeli non si trovano nel mondo dei sensi e nessuno può percepirli come si percepisce un albero o un essere umano. L’uomo però può elevarsi a gradini superiori di conoscenza, la Scienza dello Spirito parla di “immaginazione”, di “ispirazione” e di “intuizione”, che sono tre forme di conoscenza superiore alla conoscenza oggettiva e concettuale propria dell’uomo terrestre. Esse danno all’uomo una conoscenza qualitativamente diversa da quella fisica. Cioè dietro una cosa l’immaginazione non fa vedere un suo doppione spettrale, la cosa in sé, ma la sua forma d’essere soprasensibile.
Arriviamo in tal modo a gradi sempre piú alti di essenzialità e di spiritualità. E poiché in queste forme di conoscenza non si fa ricorso al pensiero concettuale, la realtà universale che in tal modo ci si appalesa perde tutte le caratterizzazioni datele dalla conoscenza sensibile-concettuale, come la temporalità, la spazialità, la causalità, la finalità. Dietro a questi concetti appare allora, nella sua alta forma soprasensibile e sopraconcettuale, la realtà divino-spirituale che essi adombrano. Sono cose che a noi è dato soltanto di intuire pallidamente. Sta invece nella nostra possibilità, e in ciò dobbiamo sforzarci quanto piú possiamo, di comprendere che il mondo dello spirito presenta una forma d’esistenza per la quale non possiamo applicare i concetti tratti dal mondo dei sensi. Questa verità cosí semplice e cosí facile a formulare, è tuttavia la piú difficile a raggiungere e a realizzare nella vita pratica e conoscitiva. Tutta l’immensa somma d’errori in cui finora è caduta l’umanità, ha avuto per origine la dimenticanza di questa cosí semplice e ovvia verità: le leggi del mondo fisico non sono valide per il mondo dello spirito. San Paolo dice la stessa cosa, quando afferma: «La saggezza divina è stoltezza presso gli uomini».
Il materialismo è penetrato cosí profondamente in noi che dobbiamo raccogliere tutte le forze per superarlo. Le considerazioni che abbiamo svolte sulla causalità e sulla finalità hanno avuto appunto l’intento di superare le concezioni materialistiche della teologia e delle scienze naturali.
L’universo non ha causa e non ha scopo. Per l’uomo ciò è pazzia; ma ciò che è pazzia presso gli uomini si rivela in una sfera superiore di conoscenza come sublime ed ineffabile saggezza divina.

Fortunato Pavisi (4. Fine)

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