Nel generale affievolimento
di riferimenti trascendenti presso la coscienza dell’uomo contemporaneo,
anche le tradizionali e severe configurazioni di Inferno, Purgatorio, Paradiso
ricorrono sempre piú sporadicamente, spesso eluse da teologi e religiosi,
mentre il tema sembra pararadossalmente quasi relegato all’umorismo commerciale
degli “spot” pubblicitari; tra i piú trasmessi quelli di due rinomate
marche di caffè che da tempo sponsorizzano un proprio inserto televisivo,
garbatamente ambientato in scenografie ispirate con scherzosa ingenuità
alle due dimensioni ultraterrene estreme, mentre una terza invita a dimenticare
ogni preoccupazione in proposito grazie all’aroma inconfondibile
del proprio prodotto.
Su ben altro piano, è
peraltro difficile negare che la concezione del destino ultraterreno delle
anime secondo i tre modelli dogmatici ispirati a castigo eterno, temporanea
catarsi e beatitudine perpetua sembra sempre meno proponibile all’uomo
dell’era tecnologica: proprio il Pontefice, in un recente significativo
intervento sul tema ha configurato il castigo per i peccatori soprattutto
come inconsolabile privazione della comunione paradisiaca col Divino, senza
alcuna allusione alle immagini tradizionali con tanta partecipazione illustrate
dal Doré. Non poche confessioni religiose, nell’affrontare il sempre
piú impegnativo rapporto con l’uomo dell’era materialistica, evidentemente
prospettano con crescente accortezza il tema delle conseguenze ultraterrene
del comportamento umano; in genere prevale il costruttivo richiamo alla
grazia divina del perdono in presenza di un sincero pentimento. La circostanza
che la tradizionale descrizione delle tre dimore ultraterrene dell’anima,
il tema stesso del rapporto consequenziale tra comportamento umano terreno
ed esistenza post-mortem, risultino sempre piú estranei alla
mentalità occidentale, in rapida diffusione ovunque, di fatto contribuisce
ad indebolire la già fragile presenza di riferimenti trascendenti
essenziali per l’equilibrio individuale e collettivo; richiami emotivi
e ammonimenti etici sembrano perdere efficacia, anche se accompagnati da
accorati appelli all’origine divina dell’essere umano o all’esistenza di
realtà sovrasensibili: nell’epoca della razionalità maturata
nella scia delle metodologie sviluppate dalle scienze naturali, urge prospettare
le dimensioni immateriali dell’esistenza con un approccio nuovo, rigoroso,
afferrabile concettualmente, soprattutto nei confronti di chi avverte l’inderogabile
necessità di approfondire noeticamente contenuti metafisici(1).
È la direzione perseguita da Rudolf Steiner che, nel caso specifico,
affrontando il tema del nostro destino ultramondano, ci rivela dettagliatamente
la metamorfosi dell’anima umana e dell’ambiente che la circonda dopo il
passaggio della soglia della morte fisica, secondo un processo universale
che sinteticamente cosí riassume: «L’esterno diventa interno,
l’interno diventa esterno»(2). La
somma delle azioni terrene compiute dall’individuo, cioè delle manifestazioni
della sua volontà concretizzatesi esternamente, dopo la morte costituisce
il mondo interiore del trapassato, il suo Io: «Quel che abbiamo fatto
sulla Terra, le immagini di tutta la nostra esistenza terrena che portiamo
oltre la morte… è allora [nell’aldilà, n.d.r.] il nostro
interno... Le nostre azioni saranno allora nientemeno che la nostra interiorità…
Chi dunque ha fatto qualcosa di buono o di cattivo a qualcuno, è
allora egli stesso il bene e il male che ha fatto… Non ci si deve immaginare
queste cose in modo astratto, come se un certo Io indeterminato passasse
oltre la morte e poi fosse qualcosa di diverso, o un pochino diverso; in
realtà siamo quel che abbiamo fatto, fin nei particolari. Dopo la
morte siamo ognuna delle nostre azioni. Siamo ognuna delle nostre esperienze
e chiamiamo ciò Io»(3).
Nei confronti del nostro prossimo si verifica addirittura che: «Le
persone che sperimentiamo in questo mondo… con le quali siamo stati in
relazione, diventano [oltre la morte, n.d.r.] partecipi del nostro mondo
interiore»(4). Reciprocamente noi
diventiamo parte del mondo interiore dei defunti con i quali abbiamo condiviso
l’esistenza terrena.
Per contro la nostra interiorità,
cioè il complesso dei pensieri e sentimenti sperimentati nel corso
della vita trascorsa sulla terra, dopo la morte diventano l’ambiente intorno
a noi, il mondo in cui esistiamo: «Come ora intorno a noi vi è
il Sole splendente con le nuvole, oppure di notte vi è il cielo
stellato con i suoi movimenti, cosí dopo la morte i nostri pensieri
e le nostre sensazioni sono intorno a noi come mondo esterno… Dopo la morte
vediamo un ciclo nel quale per noi splende il nostro attuale essere interiore,
cosí come nel cielo dl adesso splende il Sole»(5).
«In questo modo l’uomo diventa l’effettivo creatore di ciò
che dopo la morte è intorno a lui»(6).
Questo misterioso processo
spirituale che trasfigura tutta la nostra passata esistenza, oggettivandone
la sintesi, con l’aiuto costante di alte Gerarchie spirituali ci consente
di valutare a lungo l’operato terreno, correggere, “purgare” il nostro
essere per progettare ed affrontare al meglio la successiva incarnazione,
predisponendone le condizioni per i necessari “pareggi karmici”. E la metamorfosi
assume dimensione stellare, poiché la circostanza che le nostre
azioni diventino noi stessi determina il nostro accesso alla vera e propria
vita solare, cioè al mondo delle Gerarchie superiori che costituiscono
l’essenza del vero Sole, quello spirituale: «Diventiamo semplicemente
vita solare…Siamo quindi Sole, e vediamo il vero Sole, che è spirituale»(7).
Anche il rapporto con l’altro
astro fondamentale, la luna, cambia parallelamente; dopo la morte ci troviamo
all’interno della sfera lunare spirituale e, attraversandola gradualmente,
riceviamo dalle entità colà operanti la conservazione degli
eventi di una vita terrena come effetti su quelle future: «La Luna
e la totalità del suo mistero nel cosmo sono infatti in relazione
con l’esperienza del passaggio del contenuto di una vita terrena nelle
vite terrene seguenti… È l’intermediaria tra le singole vite terrene»(8).
«In questo modo la vita del singolo si congiunge con la vita di tutto
il cosmo»(9). Dunque il “rovesciamento”
coinvolge anche il nostro rapporto con i due corpi celesti che piú
influenzano la nostra esistenza: qui, alzando lo sguardo, li ammiriamo
dall’esterno in tutto il loro splendore, diurno e notturno; nell’aldilà,
viviamo all’interno della loro sfera spirituale.
Evidentemente si è
potuto soltanto sfiorare la grandiosa metamorfosi concernente l’anima umana
e il suo destino oltre la soglia della morte fisica, che il fondatore dell’Antroposofia
affronta ripetutamente in diversi cicli di conferenze pubbliche, oltre
che nel testo fondamentale sull’argomento, Teosofia(10).
Dunque noi stessi, qui sulla Terra, poniamo le premesse della nostra futura
esistenza ultraterrena, luminosa oppure oscura a misura della nobiltà
e saggezza del nostro essere e delle esperienze vissute; ci giudichiamo
da soli in virtú di un processo umano/cosmico che, grazie alla rivelazione
steineriana, un pensiero equamente obiettivo e scevro di pregiudizi può
percepire conforme alla realtà, individuandovi inoltre non poche
significative coincidenze con la concezione religiosa tradizionale.
(1)
M. Scaligero, La via della volontà solare, Edizioni Tilopa,
Roma 1984, p. 312
(2) (3) (4) (5) (6) (7) (8) (9) R. Steiner, Cosmosofia II,
Editrice Antroposofica, Milano 2000, pp. 14, 14, 16, 15, 16, 19, 22, 23
(10) R. Steiner, Teosofia, Ed. Antroposofica, Milano
1994
Sullo stesso tema, del medesimo Autore, vedi anche:
- Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita, Editrice
Antroposofica, Milano 1975
- Formazione del destino e vita dopo la morte, Editrice Antroposofica,
Milano 1995
Immagine: Gustave
Doré «Scena di dannati nell’Inferno dantesco: i ladri tormentati
dai serpenti»
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