L’essere umano concentra in sé le forze dei regni della natura. Le vette rocciose e cristalline, il verde manto vegetale che cresce a primavera, i mondi animali in movimento e quanto di maestoso si nasconde dietro la natura visibile, tutto ciò si concentra nella figura umana, rendendola sacra e degna di venerazione. Per tale motivo l’uomo non è un essere semplice, ma è come un castello circondato da sette mura.
Il corpo fisico è solido e compatto come gli elementi del regno minerale. La sua durezza si fa massima nelle ossa che compongono lo scheletro. E quando alla morte il corpo fisico non è arso dal fuoco che purifica, le sue membra si disciolgono nella Terra. Perché alla Terra esso appartiene.
Cos’è che impedisce durante la vita al corpo fisico di decomporsi? È la forza vitale che dà forma all’organismo e lo alimenta. Questa forza è la stessa che nell’universo fa sbocciare i fiori e fruttificare gli alberi. Si potrebbe dire che essa è “il regno vegetale in noi”. Infatti, se in seguito a un incidente l’uomo entra in coma e viene abbandonato dalla coscienza dell’Io e dai moti dell’anima, si dice che egli “vegeta”, che è come una pianta.
D’altra parte, di una bella ragazza piena di succhi vitali nelle sue gradevoli forme, si dice che è “una ragazza in fiore”. Il corpo eterico è ciò che dà freschezza alle sue bianche braccia.
Il corpo fisico si estende nello spazio lungo le direzioni della lunghezza, della larghezza e della profondità. Possiamo pesarlo, mirarlo, guardarlo al microscopio, ma non potremmo mai afferrare in questo modo i confini del corpo eterico, perché esso non è fatto di “spazio”, non appare nello spazio.
Quando si presta attenzione al passare del tempo, al girare della ruota del tempo, si può fare una prima esperienza del corpo eterico. Quando sullo schermo della mente appare l’immagine di un uomo che nasce, che cresce, che declina, e della nuova vita umana che germoglia da lui, ci avviciniamo a una percezione del corpo eterico-vitale.
Nell’animale e nell’uomo la vita si arricchisce delle sensazioni e di quelle trepidazioni interiori che si accompagnano alla sensazione.
Avviciniamoci a un cancello custodito da un cane da guardia. Il cane ancor prima di vederci ci fiuta, le sue orecchie si tendono. In lui sorge il timore che l’uomo voglia violare la soglia di casa. Comincia allora ad agitarsi, a ringhiare: l’aggressività si legge sul suo muso perché si sveglia in lui l’impulso alla difesa, e dunque all’attacco.
Questo nell’animale. Ma è forse molto diverso il comportamento del padrone del cane quando qualcuno si avvicina troppo alla sua valigetta d’affari o alla sua fidanzata? Con ciò non si vuol dire che gli uomini in fondo sono animali. Si vuol dire che anche l’animale è dotato di quell’organo affascinante dell’essere umano in cui le sensazioni delle cose viste, udite, toccate si legano agli impulsi che ondeggiano nell’interiorità, formando quei nodi che si chiamano desideri. Il corpo astrale.
Già nel nome esso richiama il cielo stellato e ci introduce al segreto dell’anima umana.
Piú in alto del corpo astrale nell’uomo sta l’Io, di cui facciamo esperienza nell’esercizio del ricordo. Abbandonando il tempo presente, ricordiamo ad esempio i nostri cinque anni. Rievochiamo i nostri desideri di bambini, ciò che ci riempiva di timore, ciò che ci faceva trascorrere le giornate.
Possibile che quell’essere tanto diverso siamo noi? Spostiamo il fuoco del ricordo ad un’altra età e ripetiamo le stesse esperienze. Ancora una volta proveremo la curiosa impressione di trovarci di fronte ad un altro essere abbastanza diverso da ciò che noi siamo nel tempo presente.
Eppure noi ricordiamo di cosí aver vissuto, ricordiamo con soddisfazione di aver compiuto certe azioni, per certe altre proviamo anche vergogna.
Il ricordo è il filo che lega momenti di vita molto diversi, l’uno causa dell’altro, l’altro effetto del precedente. Esercitando il ricordo si può fare una prima esperienza dell’Io, che scorre eterno di età in età, di vita in vita.
Se la conoscenza del corpo astrale ci apre le porte dell’anima, l’esperienza dell’Io ci conduce sulla strada dell’eternità.
Perché il Dio che è nell’uomo parla quando l’anima si riconosce come Io.

Alfonso Piscitelli (2.)

Torna al sommario