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La scena è l’Universo.
Un Arcangelo armato è a guardia di una bandiera il cui tessuto è
l’Universo stesso. I suoi colori sono meravigliosi, continuamente cangianti.
Sventola dolcemente nel vuoto, mossa dalle voci di innumerevoli mondi.
L’Arcangelo attende,
sa che stanno arrivando. È immenso, coperto di acciaio brunito,
le mani guantate poggiano sull’elsa di una spada la cui lama copre distanze
inimmaginabili ed emana una luce accecante, insopportabile agli occhi di
coloro che danno il Male.
Il capo, chiuso nell’elmo,
è leggermente reclinato; nelle sue orbite i pianeti si rincorrono
nell’eterno girotondo, la criniera dell’elmo è fatta della coda
delle comete, sull’armatura e sullo scudo è incisa la storia dell’Universo:
ciò che è stato, ciò che è, ciò che
sarà.
Solleva il capo, ha
udito qualcosa. Secoli e secoli corrono via: il suo Tempo non è
uguale al nostro.
Ecco, stanno arrivando:
vomitate dai buchi neri, innumerevoli, fatte della sostanza degli incubi,
le orde del Caos si avvicinano, lo circondano, vogliono la Bandiera.
Li vede e li sente
strisciare tra le stelle, repellenti incarnazioni del Male; ode il clangore
delle loro armi sporche e rugginose, le loro voci fatte di grugniti e squittii,
gli indecifrabili dialetti infernali. I loro ufficiali cavalcano destrieri
deformi e scheletriti, i loro colori sono sudici grigi, verdi marciti,
velenosi viola.
Lo sguardo senza tempo
dell’Arcangelo è ora fisso in ciascuno di quegli infiniti occhi
piccoli, malvagi, gonfi di odio, del colore del sangue rappreso.
Il cerchio è
chiuso, il momento è venuto: le mani guantate si serrano sull’elsa,
l’Arcangelo solleva la lama al di sopra dell’elmo, apre la bocca e improvvisamente
l’Universo risuona della sua voce bronzea, del suo grido di guerra.
Quel giorno, sul granello
di sabbia chiamato Terra, miliardi di occhi si volgono verso il cielo,
sorpresi da una luce accecante. Dicono gli scienziati che è esplosa
una stella.
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