Redazione

Credo di non riuscire a far bene la concentrazione perché non nutro alcun interesse verso un oggetto banale come un cucchiaio o una matita, e forse anche per una mia particolare conformazione cerebrale che mi rende difficile visualizzare immagini mentali. Preferirei invece insistere su un concetto astratto privo di forma fisica, come “libertà”, “sacrificio”, “fraternità”. Perché non viene considerato piú attuabile, per l’uomo moderno, questo tipo di visualizzazione?

Alfio Bezzi Degan

Innanzitutto, si tratta di operare sul pensiero e non su forme immaginative di “visualizzazione”. In molte sue opere Massimo Scaligero ha risposto al quesito. In La logica contro l’uomo, ad esempio, precisa: «Perché si consiglia come oggetto della concentrazione lo spillo o il bicchiere, e non un simbolo mistico, un deva, un chakra, un nome sacro? La ragione è semplice: un uomo moderno che si concentri su uno di questi nobili temi, non può non pensarlo con lo stesso tipo di pensiero con cui ordinariamente pensa spillo, bicchiere, sedia ecc. La situazione mentale dell’uomo normale di questo tempo è tale che non la nobiltà del tema può determinare il mutamento di livello del pensiero: anzi, l’opposto. La nobiltà o lo speciale significato del tema condizionano psicologicamente il pensiero, in quanto stimolano sottilmente il sentimento e la volontà quali sono nella loro immediatezza, rafforzando in essi quel predominio istintivo sul pensiero, che essi hanno nel manifestarsi mediante la corporeità ed esprimendo la personale natura».
 
Perché il cancro viene considerato come la malattia del nostro tempo, e perché colpisce un cosí gran numero di persone? C’è attinenza con il nostro modo di vivere, la nostra alienante civiltà tecnologica? E c’è un modo di curare il cancro diversamente che con le medicine e le terapie in uso, risultate tutte, finora, poco affidabili?…

Arnaldo Nesci

Si potrebbe rispondere che il cancro è un male del nostro tempo in quanto fenomeno ahrimanico: la materia vuole prevalere sulla “materia permeata di Spirito” che è il corpo umano. Si tratta quindi di una lotta della materia contro lo Spirito. La sua grande diffusione nella nostra epoca si spiega soprattutto per il prevalere degli interessi materiali su quelli spirituali, sia nel mentale – pensiero materialistico – sia nei comportamenti della vita quotidiana, in cui si antepongono gli interessi materiali – godimento dei sensi – ai compiti spirituali che si è chiamati ad assolvere, sia ancora dando troppa importanza alla forma esteriore di sé e degli altri – idolatria dell’aspetto esteriore ecc. Questo naturalmente non vuol dire che chi è colpito da tale malattia abbia in sé tutti i presupposti enumerati, ma che questi sono insiti nel modo di vivere della nostra società, ed alcuni ne divengono particolarmente ricettivi rimanendone vittime. Quanto al combatterlo, al di là delle terapie finora messe a punto – tra cui ricordiamo la preparazione a base di vischio elaborata su indicazioni di Rudolf Steiner, che in molti casi è risultata efficace – e quelle che riguardano una sperimentazione ancora in atto (o indicazioni di massima come quelle date da Scaligero che riteneva valido rimedio un estratto di lattice dell’euforbia), due vie si aprono all’uomo: la via mistica, dell’assoluta fede nella divinità, che può sollecitare il miracolo donato dall’Alto, e la via del pensiero, attraverso un potente lavoro individuale di concentrazione e meditazione, che permette di raggiungere il pensiero puro e di respingere cosí l’assalto ahrimanico ai tessuti del corpo, che riacquistano la loro originaria indipendenza. Il nostro totale collegamento alle forze spirituali attivate nell’uno o nell’altro caso possono determinare la definitiva vittoria sulla malattia
 
Mi rendo conto che sto mettendo troppa “carne” al fuoco per quanto riguarda l’antroposofia, tanto che alcuni dubbi esistenziali mi stanno distraendo dal lavoro e dalle cose quotidiane. Forse è meglio muoversi con maggiore calma, e non cercare di incasellare ogni dubbio attraverso una verità preconfezionata. In fondo non sarebbe bello scoprire alcune verità da soli, con calma senza avere l’ossessione di capire tutto? …Ora ho deciso di lavorare solo su uno scritto di Steiner che è poi quello che ho letto per primo, L’Iniziazione, e poi di ritornare alle cose semplici, quelle che forse ho tralasciato per impelagarmi nel complesso mondo antroposofico. …Ho letto nel libretto degli esercizi di Steiner che occorre perseguirli secondo l’ordine prefissato. Mi chiedo però se l’esercizio della positività possa essere applicato a prescindere da un ordine, visto che qualunque persona di buon senso potrebbe adottarlo. Non vorrei essere condizionato a fare questo esercizio, a cui mi sento di voler partecipare con dedizione e volontà, dall’idea di dover per forza fare prima quello della concentrazione e dell’azione. È mia intenzione di partire con “umiltà” nella lettura de L’Iniziazione di Steiner ed in particolare soffermarmi sugli esercizi di calma interiore e di devozione e rispetto verso il prossimo e la vita. Solo dopo aver raggiunto una certa armonia e sicurezza sarà mia intenzione approfondire la meditazione ed eventualmente gli esercizi complementari. Di certo, l’esercizio della positività e della spregiudicatezza li considero dei punti di riferimento per il mio atteggiamento quotidiano e non credo che siano fuorvianti rispetto al lavoro interiore che intendo fare.

PdR

 
Ai dubbi espressi, il lettore si risponde direttamente, e con la giusta dose di equilibrio: infatti, è veramente inutile leggere troppo e incamerare tanto senza una lenta “digestione”. E anche, le verità che si scoprono da soli sono quelle che piú ci servono, perché sono delle nostre conquiste. Leggere L’Iniziazione è fondamentale, e ognuno di noi ha potuto sperimentare che riprendere sempre da lí ci fa ottenere grandi frutti. Quanto all’ordine degli esercizi, le indicazioni di Steiner dobbiamo sempre interpretarle con grande libertà, altrimenti la nostra sarebbe una religione, non una via di autocoscienza. Quindi liberamente possiamo decidere quali e quanti esercizi vogliamo fare, e se con uno di essi ci accorgiamo di lavorare di piú e meglio, è bene insistere su quello. Ci ha scritto di recente una persona, dicendo di aver passato una vita a fare solo la concentrazione, e ora, dopo tanti anni, ha cominciato a fare gli altri esercizi, traendone un grande giovamento. È giusta anche l’osservazione che la positività e la spregiudicatezza dovrebbero diventare un nostro abito mentale applicato al quotidiano: questo ci renderebbe piú aperti verso le persone che ci circondano, anche quelle con cui è piú difficile accordarsi, e renderebbe pure possibile evidenziare negli altri quelle doti che altrimenti potrebbero restare sempre celate.
 
Mi accorgo che la mia vita è in continua tensione e che avrei necessità di un vero rilasciamento. Come ottenerlo?

Fabrizio Rogai

 
La tensione è quella che ci avverte che la parte dello Spirito che vuole essere libera è legata al corpo. Non c’è tensione che non dipenda da un’adesione dello Spirito alla corporeità. La tensione che noi avvertiamo nella vita quotidiana è molto utile, perché è un avvertimento che una parte della nostra vita interiore è afferrata da processi fisici. Ci sono dei metodi per il rilasciamento suggeriti sia dalla medicina psicosomatica sia dallo yoga (o quello che oggi viene fatto passare per tale). Questi metodi consentono in effetti una sorta di rilasciamento, che è però solo corporeo. Si crede che col corpo si rilassi anche la psiche: in realtà è solo un allentamento della tensione muscolare. Ci si può rilassare muscolarmente, ma non è questo ciò che si ricerca: il rilasciamento vero è la possibilità di pensare con autonomia dalla corporeità. Il vero rilasciamento è il pensare che trova se stesso mediante l’arte della concentrazione e della meditazione. Il pensare ordinario inerisce ai processi nervosi. Nel momento in cui facciamo l’esercizio della concentrazione avvertiamo questa inerenza ai processi fisiologici. Non ci riferiamo naturalmente alla concentrazione e alla meditazione di cui parlano i testi orientali, o lo Zen, o le moderne tecniche di training autogeno. Il nostro lavoro attinge direttamente al pensiero stesso. Nel fare gli esercizi, soprattutto all’inizio, si può anche compiere qualche errore di impostazione, però nel tempo si sviluppano quelle forze che si fanno strada anche attraverso l’errore, e lo correggono. Tutta l’umanità oggi è in stato di tensione. C’è una parte che ancora non se ne accorge, persone talmente abituate alla tensione da non avvertirla. Per alcuni infatti la tensione è una tale abitudine da divenire una loro seconda natura. Ma colui che lavora spiritualmente, minimamente che abbia una tensione, subito l’avverte. E dunque si pone il problema di trovare il giusto rilasciamento, che è dire , secondo l’insegnamento della Via dei nuovi tempi, trovare un nuovo rapporto con le forze dell’anima. E questo si ottiene solo con il pensiero libero dai sensi.

Come la radice e il tronco d’un albero non sono nulla di completo se non si sviluppano fino a produrre il fiore, cosí l’essere e il divenire del mondo non sono nulla di veramente sussistente se non si sviluppano fino a produrre il contenuto della conoscenza.
Il mondo dei sensi, guardato puramente nel suo proprio carattere, è da prima privo di idee, come la radice e il tronco d’un albero sono privi di fiori. Ma come il fiore non è un crepuscolare scomparire dell’esistenza della pianta, bensí una metamorfosi di quell’esistenza, cosí, nell’uomo, il mondo delle idee in rapporto col mondo dei sensi è una metamorfosi della esistenza sensibile e non l’oscura influenza mistica di un quid indefinito nell’anima dell’uomo. Altrettanto chiaro e luminoso, come sono nel loro genere le cose e gli avvenimenti fisici alla luce del sole, deve apparire ciò che vive come conoscenza nell’anima umana.

Rudolf Steiner
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Da La mia vita, Editrice antroposofica, Milano 1961.