Nella vasca dei piranha

Socialità

Nella vasca del piranha

PiranhaUltimamente sui maggiori quotidiani nazionali appaiono con piú frequenza e insistenza alcune finestre pubblicitarie, tra cui le piú notevoli sono la proposta Jobs Act per i giovani di aprire una gelateria in franchising, l’offerta al piú vasto pubblico di un avanzatissimo integratore minerale di potassio e magnesio, il pacchetto di un’agenzia di pompe funebri che organizza funerali di pregio a una modica cifra di poco oltre i mille euro, e infine la pubblicità di un’agenzia di trading on line che invita a investire su pro­dotti e titoli finanziari attraverso la rete, operando vaste e articolate transazioni globali, muovendo i vostri soldi, se ne avete, oppure manipolando quelli degli altri, senza muoversi da casa. Capire quali siano i fili di collegamento tra l’una e l’altra delle proposte pubblicitarie risulta difficile alla gente comune. Non però ai giovani, attenti a captare da minimi indizi e segnali concrete possibilità di realizzare progetti esistenziali importanti, poco importa dove e come, con quali mezzi e sistemi.

 

American cut

Sarà stato quindi in ossequio a tale principio che il giovane Renzo, per ragioni anagrafiche non interessato all’ultimo viaggio, scettico sulle proprietà dell’integratore di sali minerali, e ancor meno della possibilità di fare soldi con spumoni, coni e sorbetti, da poco laureato in economia, certo che in Italia non avrebbe trovato non solo in che modo sfruttare il suo titolo di studio ma in ultimo di che campare, armi e bagagli si trasferisce a New York. Potendo contare su lontani parenti negli USA da anni, nei primi tempi sbarca il lunario lavorando nel catering in cui, si presume, c’è anche il ruolo di dishwasher, obbligatorio per gli immigrati in attesa della Green Card, il permesso di soggiorno negli USA. Il giovane è fortunato: il ristorante in cui fa il cameriere è di proprietà di un italoamericano, Marc Forgione, lontano parente di quel Francesco Forgione, alias Padre Pio, l’umile frate delle stimmate, diventato San Pio da Pietrelcina. Il ristorante di Forgione ha un nome patriottico, “American Cut”, ma il cut, il taglio, non si riferisce al carattere netto e deciso degli americani, quanto piuttosto al taglio delle grosse e sanguinolente bistecche di manzo per cui il locale è rinomato. La fortuna toccata al giovane cameriere fresco immigrato non è però tanto per la specialità del ristorante quanto per la sua ubicazione: espone infatti la sua insegna e apre le sue porte in una strada a pochi passi da Wall Street. Il regno della bistecca di manzo, core a core con il regno dell’alta finanza mondiale. Sono infatti i lavoratori della Borsa, dai semplici operatori della sala transazioni ai dirigenti dei piani alti, a frequentare all’ora del lunch l’American Cut.

 

Renzo è scaltro, ascolta e capta i discorsi degli avventori. Impiegati e dirigenti trattano lo stesso argomento: i soldi. Ne parlano chi eccitato, chi euforico, chi depresso, chi deluso, ma tutti ne maneggiano tanto, anche i piú giovani pagano conti salati senza battere ciglio e lasciano mance generose. La sicurezza con cui gli avventori parlano di compravendite internazionali e la disinvoltura con la quale trattano cifre a piú zeri fanno capire a Renzo che quegli avventori in giacca e cravatta, alle prese con braciole e lombate per ciclopi, sono i veri padroni del mondo, dei mangiatori voraci e insaziabili, e soprattutto spietati, dei veri predatori globali. Sono però bravi a nascondere la loro voracità predatoria sotto la patina del correct behaviour, della buona educazione e correttezza. E sí, perché la reale bravura nel trafficare con il denaro, pensa Renzo, non è tanto nel farli i soldi, quanto nel far apparire moralmente in regola e corretto legalmente un meccanismo che ha, osservandolo, un certo che di perverso. Un meccanismo che però seduce, come lo è tutto ciò che deriva da una trasgressione remunerativa.

 

Vitello d'oroSeduzione che finisce col prendere anche lui, il giovane immigrato. Quelli che masticano a quattro palmenti ai tavoli dell’American Cut hanno scoperto i gangli del sistema per fare soldi, tanti e presto. Per­ché non entrare anche lui nel favoloso tempio del Toro di Wall Street, il biblico Vitello d’Oro? Parlando con i clienti, ha saputo che per diventare un broker ci sono appositi corsi di trading. Ci si iscrive.

 

Cosí conosce Jane, una provinciale del profondo West venuta nella Grande Mela alla ricerca di fortuna. Frequenta già da mesi lo stesso corso di trading a Wall Street per divenire un’operatrice di borsa, una consulente. Renzo si paga la frequenza dei corsi con parte dello stipendio del suo lavoro di catering, La cosa funziona. Il giovane è sveglio, apprende facilmente le nozioni tecniche del meccanismo di trading. I docenti sono il meglio sulla piazza, la scuola opera sotto l’egida del Toro di Wall Street. Quando il corso termina, finisce anche la relazione con la ragazza del profondo West, la quale mira anche lei molto in alto. Conta di mettere a frutto la sua conoscenza del brokeraggio ad alto livello ma non nella caotica e inflazionata New York. Nel suo paese di origine ha di che vivere, grazie alla famiglia, e lí intende aprire uno studio di consulenza finanziaria per i coltivatori, gli allevatori e i commercianti locali, gente dai larghi cappelli e dalle scarpe con speroni, ma dai cervelli assai fini e dinamici per far fruttare al massimo il proprio business. Renzo e Jane si dividono, divenuti ora apostoli del dio rotondo.

 

Cosí, anche il giovane laureato italiano ritorna in Italia, ma non si stabilisce nel paese di montagna in quel del reatino da cui è partito. Si stabilisce a Roma, una città che pur avendo lo stesso caos di New York, anzi forse di piú, è un posto ancora non troppo sfruttato per quanto riguarda il gioco di Borsa, tant’è che i derivati USA della crisi del 2007 hanno fatto strage tra i maldestri operatori finanziari, riducendo alla bancarotta persino i comuni che dei titoli tossici yankee si erano riempiti le casse. Per cui, il mercato azionario è una buona riserva di caccia per i facili giochi speculativi.

 

Il primo passo è procurarsi liquidità. La famiglia del giovane, di origini contadine, ha delle terre nell’Alta Sabina. Un tempo terreni fertili, ben coltivati, che davano un discreto reddito a diverse famiglie, sia a quelle dei proprietari che ai lavoranti. Poi, con il boom economico del dopoguerra, le città, Roma in testa, hanno lusingato molti, soprattutto i giovani, con il miraggio di occupazioni meno gravose dell’agricoltura, con lo stipendio fisso e garantito, con l’accesso al consumismo, alla pseudocultura, ai rapporti facili. E cosí gli uliveti, i coltivi di grano e mais, gli orti, i frutteti, sono stati in gran parte abbandonati. Sono rimasti gli anziani con poca istruzione, i vecchi e qualche disagiato psichico non in grado di riciclarsi alla vita cittadina e alla sua caotica competitività e promiscuità. Cosí, terreni e cascine rurali, perduto il loro uso originario, abbandonati all’incuria, si sono resi disponibili per un’edilizia senza regole né metodo, operazioni puramente speculative, specchietti per le allodole intesi a catturare i cittadini nostalgici del vivere genuino: il desiderio del ritorno alla buona terra che dà nutrimento e consolazione. Ovviamente, un’illusione, che però ha funzionato. Il Reatino, la Sabina, l’Abruzzo prossimo a Roma, si sono letteralmente riempiti di insediamenti lottizzati: villette a due piani, con giardino e magari piscina, persino con maneggi. E i cittadini con la nostalgia dell’Eden agreste hanno acceso pesanti mutui per l’acquisto di proprietà da utilizzare per week end e vacanze estive: residence esclusivi con vista sulle montagne, o in riva a laghetti artificiali. E mentre i vacanzieri del fine settimana e dell’estate tengono in piedi edifici pretestuosi e pretenziosi, il cui uso saltuario finanzia idraulici, elettricisti, giardinieri, antennisti, pittori e muratori avventizi locali, spesso non all’altezza del compito, sono deperiti gli antichi villaggi con le case in pietra viva, con i proferli e i tetti di tegole e coppi di argilla.

 

Tutto questo scompenso è tangibile e visibile, e il giovane broker se n’è reso conto. E dunque, deludendo la famiglia che lo vorrebbe ecoimprendidore di uno startup agricolo con metodi innovativi, riportando magari la proprietà all’antico valore produttivo e remunerativo, d’accordo con la sorella ha venduto la proprietà.

 

Lui, il giovane oriundo sabino, non vuole rivelare il suo progetto segreto. Altro che startup agricolo! I suoi avi si sono rotti la schiena a zappare una terra pietrosa e arcigna per ricavarne alla fine una vita stentata, con le uniche feste quelle religiose per le nascite, comunioni, cresime e nozze.

 

Con i soldi ricavati dalla vendita della proprietà, dopo aver diviso il ricavato con la sorella, Renzo fa due acquisti a suo parere determinanti per il progetto che intende sviluppare: acquista un piccolo locale seminterrato dalle parti del Colosseo. Ha dovuto liberarsi di topi e scarafaggi, rifare il bagnetto e ricollegare le utenze di acqua e luce, il che gli ha preso del tempo e buona parte del capitale, ma alla fine si ritrova un localino niente male, con ingresso su strada e la giusta domiciliazione per il tipo di attività che intende svolgere: la consulenza finanziaria. Una targhetta dorata sulla porta di legno scuro lo chiarisce in maniera esplicita nel sottotitolo al logo “Tradingline”. Non spende molto per il locale ufficio, non bada però al costo nello scegliere il supercomputer necessario per effettuare le operazioni di compravendita di titoli e azioni, che sarebbe il clou delle operazioni finanziarie della Tradingline. Infatti, il prezzo del supercomputer è giustificato dalla velocità con cui è in grado di effettuare gli swap sui fondi, ossia l’acquisto e la vendita dei pacchetti azionari, dei titoli, delle obbligazioni. Piú veloce è la risposta del computer all’input, piú alta la possibilità di battere sul tempo i concorrenti. Che sono tanti e agguerriti come e forse piú di Renzo. Il quale però, oltre ad essere bravo, è stato a scuola dai maestri speculatori piú abili del mondo, dai quali ha appreso i trucchi operativi e soprattutto gli strumenti tecnologici con i quali realizzarli perché fruttino i revenue, le commissioni e i profitti piú alti e piú rapidi. La velocità è tutto. Renzo si è procurato perciò l’hardware piú veloce. Ha aperto un conto on line dove fa affluire le commissioni, i ricavi delle transazioni. Ma il computer ha una funzione aggiuntiva, che Renzo conosce proprio grazie alla sua frequentazione del mondo di Wall Street, una chicca tecnologica: oltre alla qualità tecnica del set, in piú della velocità di esecuzione delle operazioni di swap, ossia del compra e rivendi, il suo “Cagliostro”, questo il nome che ha dato al computer, è in grado di lavorare con gli algoritmi applicati al mondo delle attività redditizie, dalle produzioni agricole, le commodity, alle risorse naturali, le utility. Il computer è in grado di prevedere le gelate, la siccità, le cavallette e gli tsunami. Inoltre, il portentoso software di cui si è provvisto il giovane broker, usando i paradigmi di Nash ‒ quello di Beautiful Mind ‒ analizza l’elusivo e oscuro versante animico degli operatori coinvolti, determinante piú di ogni evento naturale nel gioco finanziario, come aveva ben teorizzato Gordon Pepper, uno dei massimi esperti della finanza speculativa a livello mondiale, secondo il quale nel campo delle operazioni di borsa una laurea in psicologia rende di piú di una in economia, essendo «la psicologia umana il fattore piú importante che dà forma ai mercati azionari».

 

Con quello strumento sofisticato e usando il know-how acquisito al corso di trading a New York, dopo un ragionevole lasso di tempo per collaudare entrambi nella pratica operativa, Renzo si è insediato a buon titolo proprio sulla cima della piramide delle agenzie che lucrano sul denaro altrui. Con il suo portentoso computer analitico previsionale Renzo molto presto ha scalato quella piramide, non lasciandosi sedurre dai successi facili, come ad esempio consigliare l’amico, il conoscente, il cliente avventizio di piazzare una cifra su un prodotto o un fondo per un modesto rientro finale, o come quelli che intendeva servire la sua amica Jane, cioè allevatori, coltivatori, gestori di locali e store da indirizzare verso un certo prodotto finanziario con un ritorno a due o massimo tre cifre. Tra l’altro, queste categorie di investitori, prima o poi rischiano di cadere nella trappola delle lusinghe imprenditoriali, delle ambizioni di sviluppo e di proliferazione territoriale architettate dalle banche e dalle finanziarie. Perché ‒ dicevano opuscoli e poster, programmi Tv e riviste specializzate ‒ limitarsi al fazzoletto di terra? Perché non ingrandirsi? E soprattutto, basta con il trattore antiquato e rumoroso, spesso in panne e quindi inaffidabile per i raccolti a scadenza temporale, o la vecchia trebbiatrice e i suoi capricci. Insomma, è ormai necessario aggiornarsi con macchinari nuovi, utilizzando i mutui e i prestiti bancari, da ripagare con gli utili maggiorati grazie all’impiego della meccanizzazione piú efficiente.

 

Era accaduto però in passato, in particolare in Inghilterra, che quegli utili sperati non arrivassero. Al loro posto, in molti casi, arrivavano gli ufficiali giudiziari per pignorare le macchine e, mancando i risultati, alla fine anche la fattoria. Ciò era valso da monito universale per i neocoltivatori. Ma questo non è valso ad arrestare il subdolo meccanismo che consente alle banche di drenare i soldi dei piccoli e medi risparmiatori e convogliarli spesso verso un’utilizzazione che soltanto in apparenza beneficia i titolari dei depositi, mentre in sostanza rimpingua i fondi destinati al giro speculativo della grande finanza globale.

 

Ed è proprio qui, nell’aria piú rarefatta e complessa del gioco finanziario, che Renzo intende muoversi per allontanarsi dalle parti basse della piramide, dove si praticano i trucchi piú grossolani e in definitiva, alla lunga, i meno remunerativi e con un alto livello di aleatorietà. Lui, usando tecnologia e conoscenza, non si ridurrà a svuotare le tasche di contadini e vaccari, siano di mestiere o d’accatto, giocando sull’umana ambizione di essere qualcuno invece di qualcosa. La stessa ambizione che viene suscitata ad arte negli imprenditori di successo, che avendo realizzato la grande impresa industriale o commerciale, magari non piú solo locale, vengono indotti a quotarsi in borsa, divenendo in tal modo schiavi dell’indice, del rating adulterato delle agenzie addomesticate, non piú liberi di stabilire progetti e strategie. A quel punto non piú padroni agenti in autonomia, ma servi di un sistema che, originato nel Settecento da clan lobbistici ristretti, ha finito con lo sfuggire di mano agli stessi creatori, originando un moloch che sta divorando il mondo e che nessuno riesce piú a fermare.

 

Vasca di piranhaAnche il bravo e geniale Renzo è ormai dentro fino al collo in quel meccanismo automatizzato, che decide in base a princípi e codici suoi propri in che modo e per quali finalità venga usata la ricchezza. Questa, non piú prodotta dal lavoro umano, come era alle origini, ma basata sul nulla. Un vortice immenso di operazioni costruite a tavolino, con l’ausilio di supercomputer, per moltiplicare indefinitamente transazioni, anche sullo stesso titolo, anche senza possederlo. È la predonomia che ha sostituito la sana economia, è la giungla speculativa, il mercato darwiniano o, se vogliamo, un’allegoria ittica: la vasca dei piranha, delle murene. “Ad murenas” era appunto, al tempo dei Romani, l’ordine di condanna per lo schiavo inadempiente o fedifrago. Oggi è il destino cui va incontro il malconsigliato risparmiatore che, avendo qualche spicciolo da investire, si rivolge al borsino della banca dove ha il conto, o di qualunque altra banca abilitata. Ebbene, non gli chiedono piú se vuole comprare un’azione Fca, Enel o Telecom, ma se vuole sottoscrivere titoli del Fondo “XMZ3577”, oppure, per correre meno rischi, un “KT6015” con opzione “swap” semplice o bilanciata sui “future” a due anni. Titoli del tutto inventati, non visibili su alcun listino, ma sono l’esempio concreto e lampante di quella che è l’offerta di oggi per chi ha del denaro da investire. Uno porta denaro buono alla banca o alla finanziaria, spesso il ricavato di una intera vita di lavoro e sacrifici, e in cambio riceve la mela avvelenata di valori inesistenti, il frutto di ingegneria finanziaria che di sostanziale ha ben poco. Mela avvelenataPoiché in quel criptico quanto vuoto titolo “XMZ3577” non c’è denaro di ritorno, ma solo spietati operatori senza remore morali e professionali che parcellizzano il titolo, lo tagliano a fettine di varia consistenza, lo usano come posta per scommesse, il famigerato Risiko, come in una colossale bisca globale, oppure, come il nostro Renzo, con l’aiuto di un supercomputer a velocità 2.0, lo compra e lo vende migliaia di volte nello stesso giorno, persino nella stessa ora.

 

È la subdola economia della truffa, di cui già scrisse John Galbraith, preconizzando il tempo in cui i nodi del denaro che fa il denaro, delle scommesse invece delle transazioni reali, sarebbero venuti al pettine. Il che si è verificato con la grande crisi del 2007, che non è come quella del 1929, provocata dall’inefficienza della moneta, ma dalla sua inconsistenza. I derivati tossici hanno diffuso la peste che ha contaminato l’economia, facendola virare in egonomia. E anche nello stessa vasca dei piranha c’è confusione, sospetto, aggressività. Il mercato è in una fase estremamente difficile anche per i professionisti della finanza, perché il mercato stenta a prendere una direzione decisa, non ha punti fermi di orientamento.

 

E del resto, come potrebbe in uno scenario in cui si sono tolti tutti i cartelli stradali, dove le regole di circolazione sono state abolite, dove impera la piú assoluta anomia, l’anarchia operativa, in cui si salvano i predatori piú forti e voraci. Dove non lavorano piú gli imprenditori desiderosi di “crescere”. Molti hanno capito, e si smarcano, non si fanno quotare, avendo compreso che l’indice di listino è solo un pollice verso e non accresce di un ette la loro capacità e creatività, altrimenti consegnate queste nelle mani di iconoclasti. Nel mercato la concorrenza è dura, e le prede nella vasca dei piranha sono ormai ridotte a zero. Per cui ci si azzanna tra predatori alfa. Oppure omega, dato che siamo alla fine di un’epoca di sopraffazioni e ci avviamo alla resa dei conti. L’animalismo predatorio ha fatto il suo tempo e le sue vittime. Si profila l’era dell’umano oblativo, dell’individuo impegnato a coniare la sola moneta che nessun tarlo rode, nessun ladro ruba: la fraternità. Se ciò non è avvenuto finora, non è, come potrebbe apparire, per lo squilibrio nella distribuzione della ricchezza comune, per un fattore economico. Tutto è dipeso, dice Steiner nella sua conferenza del 12 febbraio 1921, Come si opera per la Tripartizione (O.O. N° 338), dall’errato uso del pensiero: «Se prendiamo in esame quanto oggi abbiamo il dovere di considerare, e cioè l’economia mondiale diffusa su tutta la Terra, dobbiamo dire che la natura oggi non ci dà meno di quello che ci dava in qualsiasi altra epoca, sempre che si sappia carpirle correttamente i suoi prodotti e poi distribuirli in modo equo tra la gente, beninteso all’umanità nel suo complesso. Che gli uomini si trovino oggi in uno stato di necessità piú grave di prima non è causato da motivi fisici, ma proprio dallo Spirito degli uomini. Se la gente è oggi nell’indigenza, a provocarla è stata la falsa spiritualità, il falso pensare; non vi è perciò altro da fare che sostituire con un modo giusto di pensare il falso pensare per uscire da questa condizione di indigenza».

 

La Borsa, espressione del piú distorto e labirintico uso del pensiero economico, sganciando la ricchezza dal prodotto reale, dal lavoro sulla materia, sta creando miraggi nel deserto della vita vissuta. Gusci vuoti, in cui lo Spirito fa fatica a penetrare. E soltanto lo Spirito crea nell’uomo la vera ricchezza.

 

Leonida I. Elliot