Anima, coscienza e autocoscienza

Considerazioni

Anima, cascienza e autocoscienza

Quando le cose vanno male e tutto sembra perduto, tutto è invece sulla strada giusta e in fase di recupero. Ma non può, non deve apparire recupero se vuole agire in modo positivo; se davvero vuol essere rimedio. La sua azione percorre vie extrasensoriali. Ci sarà una ragione.

L’anima dell’uomo di continuo si batte e dibatte nel tentativo di trasformare se stessa, e quindi il mondo, dato che la realtà chiamata “mondo” è una visione non contemplata di quel che essa veramente è, non sapendo ancora riconoscere la portata di questa identità.

Per cui il mondo si presenta come esterno, esteriore, estraneo, e tale apparire sembra volerla escludere. Ma non è un volere del mondo, bensí un sopravanzo della psiche degenerato in panico.

Quel che di lei doveva aprirsi, per paura si rinchiude; l’arroccamento in un primo momento, appare una giusta difesa.

Ma l’esclusione non è vincolante; non è il risultato di una causa oggettiva irremovibile.

La gemmaL’anima incontra il mondo per conoscere se stessa, e il mondo, in questa prospettiva, schiude i segreti che le parlano di una remota, immanente origine comune, contemporaneamente ad una comune condivisa finalità.

Conoscere è pensare e pensare è l’attività dello Spirito, quello dell’Universo come quello dell’uomo.

Pure staccati e ritrovandosi il secondo all’interno di una singolarità individuatasi priva di riferimento, Spirito e pensiero umano subiscono la sconcertante premonizione d’essere un frammento di una immane organicità deflagratasi: qualcosa che per sua stessa sproporzione è talmente megascopica da temersi per definizione.

La paura nasce sempre dalla percezione di un sentire che, sportosi incauto, senza preparazione, ripiega precipitosamente, converge su di sé e si rinserra; per questo non reca traccia o notizia di verità. Non potrebbe farlo.

A tratti porta piccole dosi di conoscenza, che nel nostro miniaturismo planetario sono foriere di cam­biamenti a volte anche di notevole misura.

Per cui la linea che esprime il progredire dell’uomo, è sinusoidale: un po’ avanza, un po’ indietreggia; «fra tema e desire, avanza e ristà».

Compreso in ciò, quel sentirsi, o vedersi perduti, in cui nulla c’è da perdere se non il tempo impiegato a rovellarci sopra senza venirne a capo.

È la sovranità dell’ego che si afferma mediante situazioni simili a questa, perché le forze dell’anima non sanno sottrarsi a quanto le attrae e contemporaneamente le paralizza.

Da bravo despota, l’ego manovra le porte e le finestre dell’anima, ora aprendole, ora serrandole, sempre nella misura in cui nell’anima si rafforzi il convincimento che tana, caverna, casa, castello, città, e nazione siano i baluardi che la difendono, o la difenderanno al momento opportuno, dal Nemico Esterno; pericolo che può assumere le forme dell’Ignoto, come quelle dell’alieno, o del “diverso”.

In questo interludio, nettamente diseducativo, nessuno avverte che se proprio si voglia individuare nemici irriducibili, questi congiurano all’interno, tanto da cripte, pieghe e fessure di fondo, quanto da vertici in apparenza nobiliari ed elitari.

Il centralismo egoico è capace d’inghiottire le forze vitali dell’anima, in qualunque modo esse si presentino. Come Mangiafuoco venne presentato a Pinocchio, sulle ali di una descrizione tetra e spaventevole, ora il medesimo modo di formarci un’opinione sopra un evento di cronaca, o un accadimento vagamente preoccupante, viene abilmente diretto e orchestrato nella maniera piú conveniente all’assolutismo dell’ego.

Sono le favole dell’ego; e non hanno mai il beneficio di uno spiraglio luminoso. In tal senso ciò che l’ego compie nell’anima è simile a quel che gli astrofisici credono aver scoperto nel mistero dei Buchi Neri dello spazio. Un processo rovesciante e annientatore le correnti di vita, il quale, come parte distruttiva, deve giustamente compiersi; ma – dovrebbero aggiungere – non là dove la distruzione avviene per una nuova creazione, dove una coscienza divina, o una coscienza umana pensante, diventa capace di prestare ad esso un’attenzione ben maggiore di quella che normalmente riserva a se medesima, da cui dipende la realtà che la circonda. La quale, nel terrestre, consiste in quel che viene percepito e non in quel che da fuori del tempo e dello spazio agisce nel tempo e nello spazio.

Non lo fa in quanto ancora non sa di poterlo fare. L’esperienza del mondo fisico e della vita sulla terra non l’hanno maturata al punto di comprendere il senso della sua presenza, della sua missione nel sensibile, dal suo primo formarsi fino alla sua massima espansione. Che è quella di arrivare a ridisegnare il mondo secondo il principio celeste della creazione dal nulla. Il Nulla essendo per ora il capostipite di tutti i limiti, incontrati e d’avvenire.

Il quadro generale, o il disegno originale se si vuole, resta ancora imperscrutabile; emerge per tratti e in modo deforme attraverso profezie, credenze, echi divinatori o dalle parrocchie della superstizione organizzata, che lo rendono risibile preda della critica logico-demoralizzante, tanto cara al modernismo d’epoca.

Cancellare graffitiQuindi ciò che avrebbe potuto essere signum, diventa sgorbio, scarabocchio; pari ai graffiti con i quali una fauna notturna imbratta e deturpa le città, e che il buon senso, o (quasi) gusto civico, provvede stan­camente a rimuovere, candeggiandoli a cal­ce per affermare una dose striminzita di decoro, del tutto insufficiente a lenire il patologismo estetico degli improvvisati spennellatori, ma anzi, con tutta probabilità, attizzandone l’impudico osare.

Eppure tutte le contingenze, le avversità, le strettoie e gli ostacoli che ha dovuto in qualche modo incontrare questa coscienza, avevano prevalentemente lo scopo di fortificarla, certamente, ma anche di istruirla per svelarle, a tempo debito, l’importanza unica e insostituibile della sua funzione.

Una coscienza che non abbia istaurato un rapporto di massima fiducia nei confronti del pensare, posta di fronte al bilancio di una situazione che appaia compromessa quanto si voglia, secondo i canoni vigenti del raziocinio evacuante e del moralismo ipertrofico, o per gli eccessi d’una intera esistenza complessivamente vissuta senza riguardi e ripensamenti, non può dare ad essa altro valore se non quello imposto dall’ego. Ne patisce il condizionamento del risultato, in quanto ne è sempre stata condizionata fin dal principio.

Subendone il giogo, che oramai viene, quasi in mesta rassegnazione, chiamato con il nome di tran-tran, menage, routine, patisce; ma l’anima, distratta da correnti ciclotimiche diversive, non ha neppure l’energia sufficiente per svelarle il suo patire, che pertanto non è piú neanche un patire, ma uno stanco trascinare la propria zavorra dalla culla alla tomba.

Per correlare tra loro, in un modo molto approssimativo ma comunque necessario ad un primo elementare distinguo, l’ego, l’anima e la coscienza, si può ricorrere ad una similitudine desumibile dall’esperienza quotidiana. In essa infatti si riflette la verità, e se questo non appare in modo perfettamente nitido, non è colpa della verità, ma è da attribuire al fatto che un moscerino, postosi per combinazione sull’unghia dell’alluce del Mosè di Michelangelo, non è l’osservatore piú adatto per ammirare l’opera nel suo complesso.

Non è facile contenere l’intera volta stellata in un frammento di specchio; ma se accade, se gli si attribuisce una tale capacità astronomica, fatalmente quel riflettore diventa uno specchio per allodole, e non solo.

Allocco Il corpo umano fa parte della natura, quindi l’accostamento con allodole, tordi, allocchi o bar­bagianni non vuol essere denigrativo. Soltanto l’uomo può tuttavia decidere di bloccare il suo grado di sviluppo ad uno dei tanti stadi intermedi che ha dovuto attraversare per arrivare a quel che è; la decisione di farlo non dovrebbe essere una sorta di pensionamento animico, ma piuttosto un riconoscere, nel punto raggiunto, una nuova partenza verso ulteriori possibilità, altrettanto numerose e impegnative, se non piú, di quelle trascorse e in qualche misura realizzate.

La strada dell’evoluzione è piena di difficoltà, richiede una serie di decisioni nelle quali l’uomo sperimenta la massima libertà, compresa quella di decidere di non decidere (qualcuno infatti ritiene tale evenienza un particolare aspetto della libertà).

Eppure, se il centro dell’ego trattiene, comprime, riduce; se il mondo dell’anima espande, dilata, dissolve; e se la coscienza valuta, pondera e soppesa; non sono poi molti i casi in cui un essere umano possa dirsi: “Ho voluto fare cosí e cosí, di testa mia, per volontà mia e senza condizionamenti”.

Anche per i vocaboli “Scienza, Coscienza, e Conoscenza” c’è un’eco di fondo che pare le voglia derivanti da un medesimo etimo. Non è una questione di consonanze.

La Scienza è una catalogazione dell’assunto; la Conoscenza è una direttiva vitale dell’anima; la Coscienza si pone allora come equilibratore etico del loro interagire; la sua funzione, dapprima centripeta, ha il compito di contenere il ripiegarsi su di sé e la fuga in avanti delle altre due; di valutare volta per volta le acquisizioni della prima combinandole con gli impulsi di ricerca della seconda; studiarne le affinità, perfezionare le valenze, neutralizzare i rigetti, e verificare la possibilità di intrecci. Di modo che, giunto il suo tempo, essa si affacci ad un nuovo orizzonte grazie alla maturazione che ha saputo in tal guisa darsi. Espandendosi, omogenea in tutte le direzioni, dichiarerà aperta un’ulteriore stagione evolutiva, riproporrà i temi compiuti, ad un livello in cui dovranno risultare incompiuti; il già fatto, il già noto, lo scibile conquistato, saranno le navi di Ulisse che ancora riaffronteranno il mare dell’ignoto, con i pericoli e le insidie che in esso attendono.

Ma i problemi non si esauriscono qui; il punto cruciale è Ulisse, o l’Entronauta, o l’uomo, di cui un’intima parte segreta vorrebbe sinceramente tornare alla casa, alla famiglia, alla patria, mentre un’altra, spudoratamente colma di sé e maramalda quanto basta, vorrebbe soltanto trarre il massimo piacere e l’immediato profitto dallo sperimentarsi Comandante della spedizione, nonché godere tutti i privilegi del grado e del ruolo, che fantastica gli siano annessi per diritto.

Contro le smanie dell’ego può insorgere soltanto una coscienza accresciuta e potenziata; che in tal caso porta il nome di Autocoscienza, e per quanto si possa ritenerla un’estensione o un perfezionamento di quella abituale, bisogna anche prendere atto che la prima, la maiuscola, non può che contrapporsi alla seconda.

Cervello riflettenteInfatti nella normale consapevolezza di sé, che chiamiamo coscienza, tutto potrà funzionare bene, fin quando essa non scoprirà con stupore la sua dipendenza dall’organo cerebrale e la sua incapacità di svincolarsene.

Il suo stato di asservimento dipende totalmente da questo poter riconoscersi senza tuttavia riconoscersi e dal decidere che fare in conseguenza.

L’Autocoscienza inizia la sua attività proprio nel punto in cui comprende che la cerebralità, pur non essendo scavalcabile, può venir ridotta a quella che era la sua funzione di base: riflettere il pensare senza che le forze avverse annidate nell’anima se ne impadroniscano e lo releghino alle politiche depressive e ondivaghe dell’ego.

Una coscienza che abbia saputo verificare quale sia il paradigma che reca in sé, come esso nulla abbia a che fare con l’organo cerebrale, e come ebbe a concretizzarsi un tempo nel mondo sotto il segno di una Croce, anzi, di tre croci infisse sul Monte Calvario, è l’Autocoscienza.

Perché la verità è una, ma la possibilità umana di aderirvi è triplice; la coscienza ordinaria impara che la salita al Calvario, fatta un’unica volta, non basta.

Per la sua espansione, che è poi la sua pienezza, deve saperlo fare per tre volte; le prime due a compimento delle premesse di personali soggettivi destini, la terza quale decisione volente dell’Io, e opera trasformatrice del destino del mondo.

L’anima vive la sua vita e in questa trova le tracce di un percorso antico; la coscienza esamina queste tracce cercando in se stessa elementi che vi convergano, che siano credibili per il senso della logica sin qui acquisito e per il peso della scientificità che ne deriva.

L’Autocoscienza accoglie il distillato del sapere e della conoscenza, lo accoglie non per codificarlo, ma per erigere su di esso un osservatorio capace di scrutare nell’impensabile, nell’irra­zionale, nel sovrasensibile.

Quanto vi troverà le confermerà la Via, ridurrà a zero l’azione centripeta dell’ego, troverà il giusto, perfetto equilibrio tra l’impulso di essere e la brama di avere. Troverà l’Armonia che per ora riaffiora solo dal ricordo di poeti scomparsi.

Il Pensare non le mancherà. Rimosse le pastoie del labirinto della cerebralità, dell’involu­zione indotta con l’azione psico-fisico-meccanica, perpetrata da forze contrarie e ostili allo sviluppo dell’uomo, diverrà il vento favorevole, il ventus secundus sperato e atteso fin dalla notte dei tempi da coloro che, per avventura o destino, hanno affrontato mari sconosciuti, alla ricerca di un tesoro o di una terra promessa.

Ma l’Autocoscienza, entronauta per eccellenza, è la sola a conoscere la vera meta del suo navigare e di ogni altro viaggio che si compia nelle acque infinite dell’interiorità umana. Conosce le storie, i miti, le leggende di tesori, di terre agognate e di verità supreme. Ma sa che essi prenderanno consistenza soltanto dopo le esaurite scorribande, le vagazioni pellegrine e relativi naufragi. Proprio da questi riceverà la forza vitale capace di ricrearli, ancora una volta, dal Nulla.

Angelo Lombroni