«Quando gli esseri umani arriveranno a dominare la sostanza dell’etere di fuoco, potranno dominare tutta la materia fisica. Quando domineranno la materia fisica umana, potranno dominare anche la rimanente materia fisica. Si indica questa forza come la forza del Padre, come “il Padre”, vale a dire tutto ciò grazie a cui un’entità è in relazione con la nostra Terra e può dominare la materia fisica».
(Rudolf Steiner ‒ Conferenza del 5 giugno 1905, O.O. N° 93).
È esperienza comune, fra coloro che s’interessano alla Scienza dello Spirito a carattere antroposofico, leggere o sentire affermazioni e domande relative al “Fantoma” del Cristo che, in modi diversi, testimoniano quanto esso ponga problemi interpretativi, quindi di conoscenza.
Quale sia, infatti, la vera natura della corporeità con cui, dopo la Resurrezione, il Cristo si è manifestato a molti, tra l’altro mangiando anche cibo terrestre, come descritto nei Vangeli, pone davvero difficili quesiti all’indagatore dello Spirito.
Si vorrebbe, con questo scritto, venire incontro alle proprie e altrui esigenze conoscitive; a tale scopo, si proporranno brani desunti dall’opera di Rudolf Steiner. Si noterà che le parti di conferenze presentate a volte saranno molto lunghe: si è scelto cosí, perché i temi trattati, specialmente quelli inerenti al Fantoma del Cristo, crediamo debbano essere approcciati, anche da chi già ne ha cognizione, ricevendoli dalle parole di Rudolf Steiner, e non da ripetizioni, pur se dotte, di suoi anche importanti discepoli.
S’inizierà da una sua considerazione che, con molta efficacia, ci introdurrà allo studio del mistero del corpo fisico umano, perché proprio di un mistero, e dei piú profondi, si tratta (conferenza del 9 ottobre 1911, O.O. N° 131):
«Se l’apparenza sensibile fosse giusta, dovremmo ora dire: ciò che ci venne incorporato durante lo stato saturnio, e che è diventato il nostro corpo fisico, viene semplicemente disciolto o bruciato negli elementi esteriori, dopo che, attraverso milioni e milioni di anni, durante gli stati di Saturno, del Sole e della Luna, importantissimi sforzi sovrumani, cioè di entità divino-spirituali, furono fatti per produrre appunto il corpo fisico! Ci si presenterebbe il fatto strano che, attraverso quattro o anche tre gradini planetari (Saturno, Sole e Luna), una intera schiera di spiriti lavori alla produzione di un elemento cosmico, quale il nostro corpo fisico, affinché esso, durante lo stato terrestre, sia destinato a sparire ogni volta che un uomo muore. Sarebbe uno strano spettacolo se avesse ragione la maya, e l’osservazione esteriore non conoscesse che questa. Ora chiediamoci: la maya può forse aver ragione? A tutta prima sembra indubbiamente che in questo caso la conoscenza occulta le dia ragione perché, strano a dirsi, l’osservazione occulta sembra concordare in questo caso con la maya. Se ricordiamo quel che ci viene descritto dalla conoscenza spirituale sull’evoluzione dell’uomo dopo la morte, vedremo che, effettivamente, in tale descrizione non viene quasi tenuto conto del corpo fisico. È detto che il corpo fisico viene deposto, abbandonato agli elementi della Terra. Poi si parla del corpo eterico, del corpo astrale e dell’Io, e non viene ulteriormente considerato il corpo fisico; sembra quasi che per il silenzio della conoscenza spirituale si dia ragione alla conoscenza della maya. Cosí sembra, e in certo modo è giusto che la Scienza dello Spirito parli cosí, per la semplice ragione che il resto deve essere lasciato alle considerazioni profonde della cristologia perché, nei riguardi del corpo fisico, non possiamo affatto parlare giustamente di quello che trascende la maya, se l’impulso del Cristo, e tutto ciò che vi si riconnette, non viene prima sufficientemente spiegato».
Con queste parole Steiner ci avverte chiaramente che, in relazione al corpo fisico umano, oltre la semplice evidenza dei sensi e dei concetti ad essi correlati, nulla si può dire senza immergersi negli infiniti effetti del Mistero del Golgotha, e dell’impulso da esso scaturito. Di questo si dovrà sempre tener conto, mentre si proseguirà nell’esposizione dei temi proposti.
Ecco alcuni brani di due conferenze tenute da Rudolf Steiner in occasione del periodo pasquale dell’anno 1909; in esse ci sono elementi che, anche se a tutta prima sembrano distanti, in realtà contengono notizie e rivelazioni piene di nessi col tema proposto. Dopo aver fatto riferimento alle forze che, sin dagli antichi Misteri dell’umanità, fluiscono nel periodo pasquale verso di essa (forze relative al “Padre”: vedi Sulla rivelazione di Giovanni ‒ conferenza del 6 settembre 1924, O.O. N° 346), inizia a narrare una “bella e profonda leggenda orientale” che parla del Buddha e del suo discepolo piú saggio. In questa leggenda, Steiner associa elementi in apparenza eterogenei: il corpo purificato di Kashyapa, un fuoco-calore misterioso e il Buddha Maitreya. A questo aggiunge che «Una retta comprensione al riguardo» potrà avvenire approfondendo giusti sentimenti nel celebrare la Pasqua e riscaldandoli con grande calore e fuoco intenso. Qui di seguito il testo, apparso sulla Rivista Antroposofia nell’anno 1958.
«Una bella e profonda leggenda orientale ci narra quanto segue: Shakyamuni, il Buddha, il grande Maestro che profuse a tutto l’Oriente la sua profonda saggezza, attingendola alle fonti originarie dell’esistenza spirituale, infuse nei cuori degli uomini una profonda beatitudine. Quello che fu cosí beatificante per loro quando erano ancora in grado di contemplare la primordiale divina cosmica saggezza dei mondi divino-spirituali, questo Shakyamuni lo conservò all’umanità per le epoche posteriori dell’evoluzione. Egli aveva un discepolo, un grande discepolo, Kashyapa; e mentre gli altri discepoli piú o meno non comprendevano la grandezza della dottrina insegnata dal Buddha, Kashyapa la comprendeva. Egli è uno dei piú profondi Iniziati in quella dottrina, uno dei piú grandi seguaci del Buddha. La leggenda narra che quando Kashyapa fu per morire, dovendo egli, in virtú della sua maturità, entrare nel Nirvana, andò su di un monte scosceso e si nascose in una caverna. Ed in questa caverna il suo corpo rimase incorrotto dopo la sua morte, e ancora vi rimane. Solo gli Iniziati conoscevano questo segreto e dove quel corpo giaceva. Ché il corpo incorruttibile del grande Iniziato Kashyapa riposa in un luogo nascosto e segreto. Ma il Buddha aveva predetto che un giorno sarebbe venuto il suo grande successore, il Maitreya Buddha, il nuovo grande Maestro, la nuova grande guida dell’umanità; e quando questi sarebbe giunto a quel vertice dell’esistenza cui doveva giungere durante la vita terrena, avrebbe cercato quell’antro nascosto di Kashyapa, avrebbe toccato con la sua mano destra il cadavere incorruttibile dell’Illuminato, ed allora dal cielo sarebbe disceso un prodigioso fuoco, e in questo fuoco il corpo incorruttibile del grande Illuminato Kashyapa sarebbe asceso dall’esistenza terrena a un’esistenza spirituale.
Cosí dice la grandiosa leggenda orientale che forse è difficile da comprendersi per l’Occidente. Essa parla anche di resurrezione, di un allontanamento dall’esistenza terrena, di un superamento della morte che viene effettuato in quanto le forze di putrefazione della terra non hanno potere sul corpo purificato di Kashyapa; cosicché, quando il grande Iniziato viene e lo tocca con la mano, un fuoco prodigioso lo solleva nelle sfere celesti. E appunto là dove questa leggenda orientale si discosta da quello che noi conosciamo come il contenuto della tradizione occidentale cristiana, appunto lí è possibile giungere ad una piú profonda comprensione della festa di Pasqua. In quella leggenda è nascosta una saggezza primordiale alla quale potremo accostarci solo a poco a poco. Possiamo chiederci: perché Kashyapa non può, come il Redentore nella tradizione pasquale cristiana, vincere la morte dopo tre giorni? Perché il corpo incorruttibile dell’Iniziato orientale deve attendere un tempo cosí lungo, per poter sollevarsi alle altezze celesti in virtú di un prodigioso fuoco?
Oggi possiamo ricevere solo una pallida eco della profondità riposta in questa leggenda. Solo a poco a poco noi potremo avere un presagio della saggezza espressa da una leggenda cosí profonda.
In questa nostra festa pasquale noi dobbiamo in un primo tempo guardare le cose da lontano, timidamente e devotamente, col nostro sentimento; e solo a poco a poco potremo imparare, attraverso la celebrazione della Pasqua, a contemplare i vertici della saggezza. Noi non dobbiamo cercare subito di comprendere, con il nostro arido intelletto, quello che sta riposto nella leggenda di Kashyapa. Una retta comprensione al riguardo, noi la raggiungeremo solo se ci avvicineremo ad essa cercando prima di far maturare in noi le sensazioni e i sentimenti adatti, e poi cercando con fuoco intenso e con grande calore di comprendere con tutti i nostri sensi quelle verità.
Davanti all’umanità attuale stanno oggi, come due fari possenti sull’orizzonte dello Spirito, due verità, due segni, che sono fra loro intimamente connessi. Si tratta di due vere linee direttive date all’umanità attuale che si sta evolvendo, che aspira alla spiritualità. Il primo segno ci appare nel roveto ardente di Mosè, ed il secondo segno ci appare, fra folgori e tuoni nel fuoco del Sinai da cui Mosè ricevette l’annunzio: “Io sono colui che sono”.
Qual è l’entità spirituale che si annunziò allora a Mosè, l’entità spirituale che ci parla in questi due prodigiosi segni? Chi intende il messaggio del Cristianesimo in senso spirituale, comprende anche le parole che annunziano l’entità apparsa a Mosè nel roveto ardente, l’entità che piú tardi, fra i lampi e i tuoni del Sinai, gli promulgò i dieci comandamenti. L’autore stesso del Vangelo di Giovanni ci dice che Mosè preannunziò il Cristo Gesú; e l’Evangelista ci indica proprio il momento in cui, prima nel roveto ardente e poi nel fuoco sul Sinai, si annunzia quella potenza che fu piú tardi chiamata Cristo. In quello che si annunzia a Mosè come l’“Io sono colui che sono” non è da riconoscersi altra divinità che il Cristo stesso.
Quel Dio che piú tardi apparve in un corpo umano e che attuò per l’umanità il mistero del Golgotha, quel Dio opera invisibilmente, preannunziando se stesso nell’elemento del fuoco, nel roveto ardente e nel fuoco della folgore sul Sinai. E comprende l’annunzio dell’Antico Testamento, comprende il Nuovo Testamento, solo colui che sa che il Dio annunziato da Mosè è il Cristo, il quale dovette poi aggirarsi fra gli uomini. Cosí il Dio che deve portare agli uomini la redenzione si annunzia in modo da non poter essere visibile in forma umana. Si annunzia nell’elemento naturale del fuoco; ché il Cristo vive in questo elemento. Quella che è la sua entità si annunzia nelle forme piú diverse. Quell’entità che compare poi visibilmente nell’evento di Palestina, è la stessa che ha operato in tutta l’antichità.
Guardiamo dunque indietro all’Antico Testamento e chiediamoci: chi adorava, in verità, l’antico popolo ebraico? Chi è il Dio dell’antico popolo ebraico? I discepoli dei Misteri ebraici sapevano che era il Cristo che essi adoravano, sapevano che era il Cristo che aveva detto a Mosè: dí al mio popolo che “Io sono colui che sono”. Ma anche se tutto ciò non fosse stato già noto, il fatto stesso che nel nostro ciclo attuale dell’umanità un Dio si annunzi nel fuoco, questo fatto stesso sarebbe già sufficientemente decisivo a chi fosse in grado di immergersi nei profondi segreti della natura, per riconoscere che la divinità del roveto ardente e la divinità che si manifesto a Mosè sul Sinai sono la stessa divinità che discese poi da altezze spirituali per compiere, in un corpo umano, il mistero del Golgotha. Esiste infatti un misterioso rapporto tra il fuoco che si accende fuori di noi negli elementi della natura, e l’elemento che, in forma di calore, pulsa nel nostro sangue. Nella nostra Scienza dello Spirito antroposofica è stato ripetuto spesso che l’uomo è un microcosmo che si contrappone al macrocosmo. Perciò, se osserviamo le cose nel modo giusto, i processi interni dell’uomo devono corrispondere ai processi esterni dell’universo. Per ogni fatto interno dobbiamo poter trovare un fatto esterno corrispondente. Per comprendere il significato di ciò, dobbiamo scendere entro i profondi sostrati della Scienza dello Spirito. Sfioriamo qui il lembo di un profondo segreto, di una grande verità, di quella verità che risponde al quesito: che cos’è che, nel macrocosmo esteriore, corrisponde al mistero della nascita del pensiero nell’uomo?
L’uomo è veramente l’unico essere pensante sulla nostra terra. Mediante i suoi pensieri l’uomo sperimenta un mondo che lo trasporta oltre la terra. Nessun altro essere sulla terra sperimenta i pensieri nella forma in cui essi si accendono nell’uomo. Che cosa accende in noi il pensiero, che cosa avviene in noi quando il pensiero piú semplice o piú grande lampeggia in noi? Due elementi cooperano in noi quando dei pensieri ci attraversano l’anima: il nostro corpo astrale e il nostro Io. L’espressione fisica del nostro Io è il sangue; l’espressione fisica del nostro corpo astrale è il nostro sistema nervoso, è quella che noi chiamiamo la vita del nostro sistema nervoso. Ed i nostri pensieri non potrebbero mai attraversare l’anima nostra, senza la cooperazione dell’Io e del corpo astrale, la quale si esprime poi nella cooperazione di sangue e sistema nervoso. Sembrerà strano un giorno agli scienziati futuri che la scienza attuale scorga il sorgere del pensiero solo nel sistema nervoso. L’origine del pensiero non sta solo nei nervi. Solo nella vivente cooperazione di sangue e sistema nervoso dobbiamo scorgere il processo per cui ha origine il pensiero.
Quando il nostro sangue (il nostro fuoco interiore) e il nostro sistema nervoso (la nostra aria interiore) cooperano in tal modo, allora il pensiero si accende e attraversa l’anima. E il sorgere del pensiero nell’interiorità dell’anima corrisponde nel cosmo al rimbombare del tuono. Quando il fuoco dei lampi si accende nelle masse d’aria, quando fuoco ed aria cooperano e producono il tuono, allora nell’universo ha luogo lo stesso macrocosmico processo cui corrisponde il processo microcosmico per cui il fuoco del sangue ed il gioco del sistema nervoso si scaricano nel tuono interiore del pensiero, che si riflette in modo assolutamente pacato, tranquillo e impercettibile per il mondo esterno. Quello che per macrocosmo è il lampo nelle nuvole, per noi è il calore del sangue; e l’aria, lassú, con tutti gli elementi che essa contiene nell’universo, corrisponde a ciò che attraversa il nostro sistema nervoso. E come il lampo, nel suo contrasto con elementi, produce il tuono, cosí il contrasto fra sangue e nervi produce il pensiero che passa come un fulmine per l’anima. Se guardiamo al mondo che ci circonda, vediamo il lampo che attraversa le formazioni dell’aria e udiamo il tuono che si scarica e rimbomba. Se poi guardiamo nell’anima nostra e sentiamo il calore interiore che pulsa nel nostro sangue, e sentiamo la vita che passa per il nostro sistema nervoso, allora noi sentiamo il pensiero che lampeggia in noi e diciamo: le due cose sono una.
È veramente, è effettivamente cosí. In noi, siamo noi stessi a pensare. E quando il tuono rimbomba in cielo, questo non è soltanto un fenomeno fisico e materiale; lo è solo per la mitologia materialistica. Ma per chi vede gli esseri spirituali che operano e fluttuano nell’esistenza materiale, per costui è una realtà, è una verità, quando guarda su al lampo e ode il rombo del tuono, dire: “Ora è un Dio che pensa nel fuoco, è un Dio che deve annunziarsi a noi. È il Dio invisibile che opera e fluttua nell’universo, il Dio che ha il suo calore nel lampo, i suoi nervi nell’aria e i suoi pensieri nel tuono che romba. È Lui che parlò a Mosè nel roveto ardente, e nel fuoco dei lampi sul Sinai”.
Gli stessi elementi del fuoco e dell’aria che esistono nel macrocosmo, sono, nell’uomo, nel microcosmo, i1 sangue e i nervi. E come nel macrocosmo il lampo e il tuono, cosí sono nell’uomo i pensieri. E il Dio che Mosè vide e udí nel fuoco del roveto ardente, che gli parlò nel fuoco dei lampi sul Sinai, quel Dio apparve come Cristo nel sangue di Gesú di Nazareth. Nel corpo umano di Gesú di Nazareth apparve il Cristo, che discese dal cielo entro la forma umana. In quanto pensò, come un uomo, in un corpo umano, il Cristo opera per tutto l’avvenire come il grandioso modello dell’evoluzione dell’umanità. Cosí i due poli dell’evoluzione dell’umanità s’incontrano: il Dio macrocosmico che si annunzia sul Sinai nel tuono e nel fuoco dei lampi, è lo stesso Dio che microcosmicamente si incarna nell’uomo di Palestina.
I sommi misteri dell’umanità sono tratti dalla piú profonda saggezza. Non sono favole inventate ma verità profonde. Sono verità cosí profonde che occorrono tutti i mezzi della Scienza dello Spirito per svelare i segreti che le avvolgono.
Quale impulso ha ricevuto l’umanità da quel suo grande modello, dall’entità che è discesa dalle altezze e si è congiunta in un corpo umano con le impronte microcosmiche degli elementi, dell’entità del Cristo?
Guardiamo indietro ancora una volta ai messaggi dei popoli antichi. Tutti i popoli antichi, fin dagli indistinti primordi dell’epoca postatlantica, erano ben consapevoli di come si svolge l’evoluzione umana. Dappertutto, in tutte le scuole dei Misteri, veniva annunziato quello che oggi di nuovo è, annunziato dalla Scienza dello Spirito, ossia che l’uomo consta di quattro elementi ‒ il corpo fisico, il corpo eterico, il corpo astrale e l’Io ‒ ma che può ascendere a gradi superiore di esistenza solo se con il suo Io egli trasforma per propria attività il corpo astrale nel Sé spirituale (Manas), il corpo eterico nello Spirito vitale (Buddhi), e se spiritualizza il corpo fisico fino a trasformarlo nell’Uomo spirituale (Atma). Questo corpo fisico deve venire a poco a poco spiritualizzato in tutti i suoi elementi; deve venir spiritualizzato cosí profondamente, nella nostra vita terrena, che quello che ha fatto dell’uomo l’uomo, il soffio dell’alito divino, ne venga anch’esso spiritualizzato. E poiché la spiritualizzazione del corpo fisico comincia con la spiritualizzazione del respiro, per questo il corpo fisico trasformato e spiritualizzato è chiamato Atma (Alito, nella lingua tedesca Atem). L’annunzio dell’Antico Testamento ci dice che l’uomo, all’inizio della sua vita terrena, ha ricevuto da Dio l’alito della vita; e tutte le saggezze primordiali vedono nell’alito della vita qualcosa che l’uomo deve a poco a poco trasformare. Tutte le concezioni antiche aspiravano ad un grande ideale, aspiravano all’Atma, a quello che rende cosí spirituale il respiro, da pervadere l’uomo di un alito spirituale.
Ma nell’uomo anche qualcos’altro deve spiritualizzarsi. Se tutto il suo corpo fisico ha da spiritualizzarsi, non solo il respiro ha da spiritualizzarsi, ma anche quello che, mediante il respiro, si rinnova continuamente, ossia il sangue, l’espressione dell’Io. Il sangue deve venire afferrato da un impulso che lo spinge verso lo spirituale. Agli antichi Misteri il Cristianesimo ha aggiunto i Misteri del sangue: i Misteri del fuoco che si è interiorizzato nell’uomo. Negli antichi Misteri si diceva: l’uomo, cosí come vive in figura terrena, è disceso da altezze spirituali nella corporeità terrestre-fisica. L’uomo ha perduto quella che era la sua entità spirituale; si è avviluppato di corporeità fisica. Ma dovrà ritornare alla spiritualità, dovrà di nuovo lasciare l’involucro fisico, dovrà ascendere ad un’esistenza superiore.
Finché l’Io dell’uomo, che ha la sua espressione fisica nel sangue, non era stato afferrato da un impulso che si poteva trovare sulla terra, le religioni non potevano insegnare quella che si chiama la forza di autoredenzione dell’Io umano. Cosí ci viene narrato che degli alti esseri spirituali, gli avatar, discendono sulla terra e di tanto in tanto si incorporano in corpi umani, quando gli uomini hanno bisogno di aiuto. Si tratta di esseri che non hanno bisogno, per la propria evoluzione, di discendere in un corpo umano, perché hanno compiuto la loro evoluzione umana in un precedente ciclo planetario. Discendono sulla terra perché vogliono aiutare gli uomini. Cosí, di tanto in tanto, quando l’umanità abbisogna di aiuto, il grande dio Vishnu discende nell’esistenza terrestre. Una delle incorporazioni di Vishnu, Krishna, dice chiaramente, parlando di se stesso, che cosa sia l’entità di un avatar. Egli lo dice di se stesso, nel divino cantico, nella Bagavad Gita. Troviamo in essa le mirabili parole che Krishna, in cui Vishnu vive in quanto avatar, pronunzia di se stesso: “Io sono lo Spirito della creazione, il suo principio, il suo mezzo e la sua fine; io sono fra le stelle il sole, fra gli elementi il fuoco, fra le acque sono l’oceano universale, fra i serpenti sono il serpente eterno. Io sono il fondamento del mondo”.
Non si potrebbe annunziare in modo piú bello e piú mirabile di quanto non sia stato fatto in queste parole, la onnipotente divinità. La divinità che Mosè vide nell’elemento del fuoco non opera e domina nel mondo solo come divinità macrocosmica, ma è anche da trovarsi nell’interiorità dell’uomo. Perciò l’entità di Krishna vive in tutti gli esseri umani come un grande ideale cui il germe dell’uomo aspira a svilupparsi, da dentro a fuori. E se, come era aspirazione della saggezza antica, il respiro dell’uomo potrà essere spiritualizzato mercé l’impulso del mistero del Golgotha, questo sarà il principio di una redenzione attuata in virtú di quanto vive in noi stessi. Tutti gli avatar hanno redento l’umanità mediante forze dall’alto, mediante ciò che essi fecero irraggiare da altezze spirituali giú sulla terra. Ma l’avatar Cristo ha redento l’umanità mercé le forze tratte dall’umanità stessa, e ci ha mostrato che le forze della redenzione, le forze per la vittoria dello Spirito sulla materia, possono essere trovate in noi stessi.
Perciò perfino un illuminato come Kashyapa, nonostante avesse reso incorruttibile il suo corpo con la spiritualizzazione del respiro, non poté ancora giungere alla redenzione totale. Il suo corpo incorruttibile deve attendere nella caverna segreta finché il Maitreya Buddha non verrà a prenderlo. Solo quando il corpo fisico sarà tanto spiritualizzato dall’Io che l’impulso del Cristo fluirà in esso, solo allora, per effettuare la redenzione, non occorrerà piú il prodigioso fuoco cosmico, ma occorrerà il fuoco che pervade l’interiorità dell’uomo, il fuoco che permea il nostro sangue. Con la luce che irraggia dal mistero del Golgotha possiamo perciò illuminare anche una cosí profonda e meravigliosa leggenda come quella di Kashyapa.
Dapprima il mondo ci è oscuro e pieno di enigmi; possiamo paragonarlo ad una camera buia in cui ci sono molti splendidi oggetti che noi non possiamo in un primo tempo vedere. Se però accendiamo una luce, allora in quella camera ci appare tutto lo splendore degli oggetti, e ci si palesa che cosa tutti quegli oggetti siano. Similmente potrà avvenire dell’uomo che aspira alla saggezza. Dapprima l’uomo vi aspira nell’oscurità. Egli guarda nel mondo in direzione del passato e in direzione dell’avvenire, e può scorgervi dapprima solo oscurità. Ma quando la luce che viene dal Golgotha si accende, allora tutto si rischiara, dal lontanissimo passato fino al lontanissimo avvenire. Ché ogni cosa materiale è nata dallo Spirito; e dalla materia risorgerà di nuovo lo Spirito. Esprimere questa certezza in una festa che, come quella della Pasqua, si riconnette agli avvenimenti di questo mondo, è appunto il senso stesso della ricorrenza pasquale che ci prepariamo a festeggiare. E se l’umanità potrà rappresentarsi (cosa cui potrà riuscire per mezzo della Scienza dello Spirito) che l’anima, in quanto conosce i segreti dell’esistenza, diventa anche capace di comprendere una festa cosí importante e simbolica come la festa di Pasqua, allora potrà anche sentire che cosa significhi vivere non piú soltanto con la propria ristretta esistenza personale, ma con tutto ciò che risplende nelle stelle, che riluce nel sole, che vive nell’universo. E l’anima umana, in questa sua immersione nell’universo, si spiritualizzerà sempre piú.
Pervenire dalla vita umana, attraverso la resurrezione, alla vita universale, sono questi i suoni che le campane spirituali della Pasqua devono far risuonare nel nostro cuore. Udendoli, ogni dubbio rispetto al Mondo spirituale svanirà. Sorgerà allora in noi la certezza che nessuna morte materiale potrà mai recarci danno. E allora nella vita dello Spirito risuoneranno di nuovo per noi, purché solo riusciamo ad intenderle, le campane spirituali della Pasqua».
Mario Iannarelli (1. continua)