Da diversi anni svolgo regolarmente i cinque esercizi, soprattutto la concentrazione e la meditazione, secondo le direttive, o potrei dire i consigli, di Rudolf Steiner e Massimo Scaligero. Direttive e consigli che nella vostra rivista avete piú volte ripetuto in maniera molto esauriente. Ma dopo questo lungo periodo, anche se sento di avere un maggiore controllo sulle mie emozioni, non ritengo di aver fatto molti progressi dal punto di vista spirituale, e vorrei sapere se c’è un sistema per accelerare i tempi e raggiungere un qualche risultato.
Alessandro d.T.
Occorre precisare che quando lavoriamo con il pensiero volitivamente intorno a un esercizio, sia di concentrazione che di meditazione, compiamo un’operazione che dona calma, tranquillità e un senso di sicurezza. Per ottenere però qualcosa di piú avanzato, dobbiamo parlare, in questo caso, di una operazione oltre il limite, oltre quello che è il nostro modo ordinario di meditare e di concentrarci, del quale conosciamo il punto in cui sempre ci fermiamo. Si tratta di andare oltre quel punto in cui consideriamo raggiunto il limite dell’esercizio. In realtà, oltre quel punto sentiamo che dovremmo affrontare qualche ostacolo. Per questo normalmente, quando vi arriviamo, diciamo a noi stessi: qui basta! Temiamo che insistendo con la meditazione, o con la concentrazione, possa coglierci un senso di torpore. Bisogna sapere però che questo timore non appartiene a noi, ma appartiene alla nostra natura, ovvero a un essere che dentro di noi vuole rimanere tranquillo e stare bene, perché è il padrone della situazione abituale. Esso ci consente di fare l’esercizio fino a un certo punto, perché fino a lí non lo disturbiamo. Accade infine, un giorno, di accorgerci che con la nostra consueta meditazione quotidiana, anche se svolta con impegno e dedizione, non abbiamo cambiato niente della nostra natura. Ci rendiamo conto che il nostro meditare è semplicemente un accordarsi con la nostra natura. Quell’esercizio spirituale non ci ha reso migliori: quello che eravamo siamo rimasti. Comprendiamo allora che il il lavoro reale deve andare piú in profondità. Questo vuol dire che se vogliamo veramente progredire nel lavoro spirituale, dobbiamo incontrare la nostra natura e scontrarci con essa. Quando avviene questo incontro, dobbiamo fronteggiare una sorta di lotta, avendo la forza di andare oltre quel limite. Se però non abbiamo il coraggio di tentare questo superamento, accade a volte ‒ ed è un aiuto del karma ‒ che nella nostra vita quotidiana si verifichi un evento che provoca in noi una scossa. Ciò avviene perché l’Io vuole comunque arrivare a quanto ci eravamo prefissi, e dato che non lo otteniamo attivando la meditazione, lo ottiene lui mediante quella scossa. Potremo credere che questa ci abbia indeboliti, ma invece potrebbe essere proprio quella a farci prendere la decisione di meditare in modo diverso. Si tratta dunque, durante l’esercizio, di arrivare al punto in cui si può avvertire un senso di paura, o di dolore, ma è qui che dobbiamo continuare e proseguire con coraggio e decisione, raggiungendo cosí il “risultato” auspicato.
…Essendo uno studioso di dottrine orientali, ho praticato diverse discipline per il controllo del corpo e della mente. Non ho mai però tentato l’esercizio della concentrazione secondo il sistema di cui Massimo Scaligero parla nei suoi libri, alcuni del quali ho studiato a fondo. Vorrei chiedere perché, avendo la Tradizione già ottenuto il massimo nel trascendimento fisico e interiore dell’uomo, si dovrebbe utilizzare un metodo basato sull’indagare del pensiero, che non ha adeguati riscontri di orientamento filosofico in letteratura.
Fabio M.
Bisogna partire dalla considerazione che l’organismo fisico, mentale e animico dell’uomo odierno è assai diverso da quello cui si rivolgeva la tradizione esoterica orientale. I libri di Massimo Scaligero, che illustrano, come dice lui stesso, una Via “oltre le filosofie occidentali, oltre lo yoga, oltre lo Zen”, sono stati scritti proprio per spiegare ciò che è necessario integrare, rispetto alla tradizione, come lavoro interiore diretto alla struttura fisiologico-spirituale dell’uomo attuale. Quei libri, pur se comprensibili per tutti, sono indirizzati in particolare ai lettori che vengono dall’ambiente intellettuale, e che sono abituati alla mentalità analitica. Spiegano perché sia oggi necessario che, come scrive Rudolf Steiner nel suo libro Filosofia della Libertà, «prima che si possa comprendere ogni altra cosa, deve essere compreso il pensare». E per comprenderlo realmente, non si tratta di darne una interpretazione fisica o dialettica, ma di sperimentarne la realtà attraverso l’esercizio del pensiero libero dai sensi. Si tratta di un esercizio che va svolto con la massima semplicità, concentrando il pensiero su un oggetto per qualche minuto al giorno. Non c’è da fare altro. Le interpretazioni vengono dopo, non ce ne dobbiamo preoccupare. L’oggetto pensato con insistenza deve a un certo punto diventare una specie di simbolo, ma occorre avere un’attenzione potente, senza cedere a distrazioni. L’esperienza quotidiana della concentrazione impedisce alle forze del pensare di affluire in numero eccessivo, oltre le forze dell’Io. È un esercizio semplice ma che supera in efficacia i piú potenti esercizi dello yoga. I riscontri in letteratura sono numerosi, e non occorre elencarli, ma i riscontri migliori sono quelli che si ottengono praticando e osservando le sostanziali trasformazioni della propria individualità.
Abito in campagna in una regione del Nord vicino alla città capoluogo e spesso, per non dire quasi sempre, gli autotrasportatori che devono consegnarmi della merce, pur dotati di sistemi GPS, non riescono a localizzarmi. Facendo un’indagine statistica tra i miei paesani circa il 90% non è mai andato in visita al capoluogo regionale, come non bastasse la quasi totalità di questi non riesce ad individuarlo in una carta geografica. Devo concludere che gl’italiani sono il popolo piú ignorante che esista nel pianeta, mentre tutti gli altri popoli, anche quelli che vivono in altri continenti separati da oceani, sono perfettamente in grado di localizzare “lo stivale” ed aver contezza di come sopravviverci una volta giunti a destinazione. Quando sono stato in Bangladesh e camminavo tra la gente, questa voleva toccarmi perché non aveva mai visto un uomo dalla pelle bianca, ora mi chiedo, è mia responsabilità se adesso ci sono immigrati da quelle terre? Hanno forse seguito la scia dei miei corpi eterico/astrale per giungere nel bel paese? Saluti.
Giorgio Andretta
L’ignoranza degli italiani non è molto diversa da quella di altre popolazioni, compresa, anzi soprattutto, quella del popolo da tutti considerato leader, ovvero gli statunitensi, alcuni dei quali, persino a livello universitario, non riescono a evitare semplici errori di ortografia. Per non parlare della geografia… Quanto agli individui che fanno parte della popolazione del Bangladesh – Paese molto povero per i gravi errori politici subiti nel passato – non si tratta affatto di primitivi ma di persone evolute e intelligentissime. E se molti scelgono di venire in Occidente alla ricerca di un po’ di benessere, forse è anche per riprendersi quanto è stato loro sottratto dalla secolare cupidigia dei cosiddetti “bianchi”, del cui candore interiore c’è molto da dubitare.