This is Namibia: tra albe e tramonti le zebre di pianura ci attraversano la strada (quelle di montagna ci guardano da lontano ), gli elefanti ci brucano a due passi gustandosi le foglie a forma di farfalla dell’albero del mopane, le leonesse sonnecchiano vigili a distanza e rompono il silenzio con un ruggito penetrante nel profondo. Attorno alle pozze d’acqua danzano eleganti le giraffe, ruzzolano gli struzzi, saltellano gli springbock e in coppia i dik-dik, fedeli d’amore. Si confrontano in combattimento gli orici dalle lunghissime corna dritte e d’improvviso entra in scena a passi maestosi il rinoceronte nero.
Dies ist Namibia, come recitano gli Africans: lungo le strade sterrate svettano i conici termitai, edifici cementati dall’operosità zelante delle termiti, minatori delle radici legnose. Dalla periferia dei rami pendono nidi condominiali e single costruiti dagli uccelli tessitori.
In un paesaggio lunare sopravvivono le millenarie welwitschia, piante grasse accartocciate e striscianti sul terreno, impassibili anche alla presenza di uranio nel sottosuolo, monopolizzato da francesi, americani e russi. A cespugli compare la mortale euforbia damarana. Unica al mondo emerge in un processo tuttora in corso la foresta pietrificata di conifere. This is Namibia.
La Namibia è una miniera a cielo aperto: in superficie possiamo trovare calciti, quarzi, tormaline di vari colori, le canne d’organo di basalto, in acqua affiorano schegge di diamanti e polveri d’oro; nelle viscere della terra è diventata rarissima la blu tanzanite e sono state abbandonate le vene di stagno, rame e oro; il ferro brilla nascosto nel rosso delle dune desertiche, fissate sulle sottostanti rocce, dune stagliate nell’azzurro terso del cielo. Nel centro di Windhoek, la capitale, un allestimento di pietre meteoriche coniuga terra e cielo.
Due milioni e mezzo di abitanti per un territorio triplo dell’Italia, un coacervo in miniatura di razze con popolazioni nomadi, come gli Himba, i Damara, i Boscimani e gli Herrero, memoria vivente della storia dell’umanità, sigillata nelle pitture rupestri di Twyfelfontein dove appare inciso il Leonesciamano, figura antropomorfa. Dies ist Namibia.
Resta il mistero dei cerchi sacri, aree sterili di sabbia contornate da ciuffi erbosi, di diametri variabili, che ricordano alla lontana quelli scozzesi e gallesi, di origine druidica.
Come sito dei tempi moderni abbiamo scoperto Krumhuk, 25 chilometri a Sud di Windhoek, dove vive da decenni una comunità di una trentina di persone dedite all’agricoltura biodinamica. Su un territorio di migliaia di ettari girano giovani di sette nazionalità, un allevamento di mucche e una corrispondente attività di trasformazione dei prodotti caseari, un giardino d’infanzia e un luogo di culto libero.
A Krumhuk abbiamo ricevuto un’ospitalità magnifica soggiornando in un bungalow a forma esagonale ispirato all’architettura antroposofica, con l’opportunità di condividere il pranzo insieme ad una parte della comunità, con cibi genuini sapientemente cucinati dalla cuoca incinta. Un punto di Luce nel Cuore dell’Africa.
Anche questa è Namibia.