Come ogni componente di un’utopia, non è un dato geografico ma archetipico. È come gli uomini dall’inizio della loro storia hanno sognato il luogo perfetto sulla terra, dove tutto è calma e voluttà, dove il dolore e la morte non esistono, dove la natura non ha inganni né violenza, ma amore e gioia. Rappresenta in definitiva il mito dell’isola felice, cui hanno fatto ricorso i sognatori di ogni epoca per costruire lenienti spazi di fuga da una realtà quasi sempre in conflitto con la poesia e la bellezza. Nell’Orlando Furioso, l’Ariosto la colloca da qualche parte dell’Oceano Indiano, ricordando forse Sri Lanka, piú verosimilmente le Isole Mascarene o le Maldive, di cui favoleggiavano i primi naviganti che avevano appena doppiato l’Africa e scoprivano i paesi delle spezie, dell’avorio, delle pozioni e misture come l’oppio, che smemoravano gli incauti che vi si affidavano per viaggi psichedelici nel fantastico, rischiando incantesimi stranianti.
A propinarle c’era sempre una donna maliarda, come la Kundri di Klingsor per irretire Parsifal, la Circe di Omero che, delusa dall’irrequieto Ulisse, trasformava i compagni dell’eroe in grufolanti porci. Alle favole e leggende del genere attinsero in ogni tempo poeti e letterati. L’Ariosto, nel Furioso ad esempio, immagina che Astolfo, uno dei protagonisti del poema, sia trasformato in un cespo di mirto dalla maga Alcina, che per lo piú trafficava con le erbe, da cui ricavava pozioni con poteri di varia natura. Con una di queste misture era riuscita appunto a trasformare in mirto Astolfo, amico di Ruggiero. Venuto a conoscenza della triste sorte dell’amico, Ruggiero, abbandonato da Bradamante per un intrigo ordito dal mago Atlante, arriva all’Isola in groppa a un ippogrifo, un cavallo alato. Ruggiero libera Astolfo, ma cade lui stesso vittima dell’incantesimo di Alcina, che per nascondere la sua età e laidezza adopera le arti magiche e gli unguenti portentosi, in modo da apparire al prode cavaliere «sí come è bello il sol piú di ogni stella». Ma si tratta appunto di un espediente di Alcina. Quando però Ruggiero, aiutato dalla maga Melissa, fugge dall’isola, scopre che Alcina è nella realtà una «donna sí laida, che la terra tutta / né la piú vecchia avea né la piú brutta». Si tratta quindi di una mela avvelenata, come quella che la strega orrenda e malefica, nei panni della fanciulla leggiadra e dolce, offre a chiunque incautamente si lasci sedurre dalla portentosa, gratuita offerta e dallo stereoscopico sorriso.
Chi si imbarca sulla Love Boat dove tutto è permesso, con lo spirito dell’“après moi le déluge”, si aspetti di vedere il proprio Io divorato dagli asura. Nella letteratura horror e nella cinematografia di rottura, vampiri e zombie hanno ceduto il posto ai demoni, alle entità larvali che succhiano dalle loro vittime non piú le linfe vitali ma l’Io spirituale, se ne nutrono a quattro palmenti ma mano che la cultura e la morale aprono i loro sancta santorum, consentendo che si compiano sacrilegi sull’altare del sacramentalismo esistenziale.
Alcina è sempre lí, ammaliatrice, padrona della sua isola in un mare dai seducenti approdi. A meno che non intervenga il vero amore a mutare le arti malefiche in pulsioni redentrici, come avviene per la maga Armida nella Gerusalemme Liberata. Innamorata di Rinaldo, si converte a Cristo e contribuisce al trionfo delle schiere crociate, vanificando gli incantesimi della Selva di Saron che impedivano ai crociati di conquistare le mura della Città Santa. Ecco, allora, il sortilegio farsi miracolo.
Cosí è per la donna che si fa scala al Fattore per l’uomo guerriero dello Spirito. Usando il suo genio femminino, la donna può operare quelle magie in àmbiti e situazioni in cui gli Ostacolatori producono l’ossificazione, la mineralizzazione e la sclerosi, impedendo agli impulsi umani di vincere la materia e conquistare il sovrannaturale, il trascendente. La Selva di Soran tenta di ostruire il libero scorrere dei flussi spirituali, ma l’isola di Alcina, redenta dagli incantesimi, si muterà in edenica realtà.
Elideo Tolliani