L'euritmia vista da Andrej Belyj

Euritmia

L'euritmia visa da Andrej Belyj

Euritmia«HO VISTO UN’EURITMISTA, UNA DANZATRICE DEL SUONO. L’ho vista tradurre in spirali le essenze dei mondi, che sono tutte universi. L’ho vista rivelare come il Suono Divino ci pronunciò, come noi sulle risonanze volammo per il cosmo. Soli, Lune e Terre risplendevano nei suoi gesti e per la prima volta divamparono le allitterazioni e le assonanze di un poeta. Verranno giorni, in cui un nugolo di euritmiste, ora stendendo veloci le braccia, ora abbassandole, spanderà per noi gesti sacri sotto le stelle. Lungo le linee dei gesti scenderanno i suoni e ne verranno luminosi significati. L’ar­te della letteratura è la gesticolazione, è l’euritmia. Ai nostri giorni la filologia è l’arte delle placide letture, ma in futuro diverrà una rapida danza di tutte le stelle: le stelle dello zodiaco, dei pianeti, delle loro orbite, delle loro conflagrazioni. La conquista della Saggezza avviene attraverso le note e le danze. La capacità di costruire un mondo con i gesti significa che la radice della coscienza si è rivelata: il pensiero si è congiunto alla parola. Cosí: l’espressione del suono è conoscenza, la risposta a una domanda è un gesto mimico, che imita in me la vita della domanda. Senza la possibilità di imitare la vita della domanda non c’è per noi soluzione alla domanda.

Ho visto l’euritmia (quest’arte è sorta): in essa c’è la conoscenza dei codici della natura. La natura è discesa a terra dal suono. E il suono, che ha in sé la natura della coscienza, riluce sul­l’euritmista. L’euritmia è l’arte della conoscenza: qui il pensiero fluisce nel cuore e il cuore parla con braccia alate, senza parole. Parla irraggiando dalle due braccia. Con euritmia gli Spiriti ci hanno fatto discendere sulla Terra. Noi siamo in essi, come angeli.

Il primo Goetheanum

Il primo Goetheanum

Ho visto le euritmiste (presso la cupola [del primo Goetheanum ] fortificata dal suono). I loro veli si slanciavano da una parte all’altra e le loro braccia si gonfiavano come fossero ali arcuate. E mentre i veli ricadevano su di loro, accadeva che l’una si fermasse e l’altra stendesse le braccia verso di noi, disegnando lontane sonorità. Sembrava che die­tro di lei ci fosse qualcuno. Dalle dissonanze sonore risplende la stes­sa Antichità.

L’euritmia è leggera come una piuma, chiara come l’alba e pura come un diamante.

Quest’arte è sorta; è stata fondata da Steiner; la mia argomentazione è fisiologia, come dire: [di essa ho descritto solo] la struttura fatta di travi. Dal paese in cui essa sfavilla, Steiner l’ha portata in braccio, come un bambino, e l’ha posta davanti alle anime audaci e pure.

Sull’euritmia c’è il marchio della libera chiarezza, dell’audacia, della sobrietà, di una nuova scienza e della danza. …Taceva la cupola turchina; faceva sera. Da lí dove le creste dell’Alsazia si stendono in lontananza nella nebbia, ha latrato un cannone. E verrà la fratellanza dei popoli: la lingua delle lingue farà a pezzi le lingue e si realizzerà la seconda Venuta del Logos».

 

Andrej Belyj

(Carskoe Selo, ottobre 1917)


I brani riportati, relativi all’euritmia, sono stati tradotti dal­l’edizione russa di Glossolalia (Berlino 1922) di Andrej Belyj, facendo riferimento alla versione inglese online effettuata nel 2001 da Thomas R. Beyer Jr. e alla versione italiana edita nel 2006 da Medusa a cura di Giuseppina Giuliano. Abbiamo tuttavia tralasciato di addentrarci nel tema portante del libro, ovvero nella descrizione del processo fonematico e, di conseguenza, euritmico della creazione, perché le etimologie proposte da Belyj, da simbolista qual era, talora rispettano le regole glottologiche talaltra paiono del tutto fantasiose. E dire che il fondatore dell’Antroposofia nutriva la massima stima per la grammatica comparata, come ricorda Friedrich Hiebel in Tempo di decisioni con Rudolf Steiner.


Andrej Belyj: la magia della parola

 

 

La casa-torre di Pietroburgo

La casa-torre di Pietroburgo

Molti furono, ai primi del ’900, gli artisti russi che si accostarono all’Antroposofia, al suo modo di concepire l’evoluzione cosmica e terrestre, alla sua visione del karma, al suo cammino interiore. I piú celebri di costoro, per lo piú seguaci del filosofo sofianico Vladimir Sergeevič Solov’ëv ed esponenti del simbolismo russo, furono i poeti e scrittori Andrej Belyj, Maximilian A. Vološin con la moglie, la pittrice Margarita Vasilevna Sabašnikova, la scrittrice di testi per l’infanzia Ol’ga Dmitrevna Forš, il poeta e filologo Vjačeslàv Ivanov, che animò per anni la vita culturale pietroburghese con le riunioni del mercoledí nella sua “torre”, prima di trasferirsi in Italia e approdare al cattolicesimo. A questi si aggiungono i pittori Vasilij Kandinskij e Leonid Feinberg, l’euritmista Tatiana Kiseleva, l’attore Michail A. Čechov, lo storico dell’arte Trifon G. Trapežnikov, la scultrice Sofia Gitmanovna Kaplun e altri ancora.

Ma il personaggio piú importante fu senza dubbio Andrej Belyj (1880-1934), mentre l’altro grande simbolista, Aleksandr Blok (1880-1921), fu refrattario al messaggio steineriano. Belyj aveva 29 anni quando conobbe l’Antroposofia tramite l’infaticabile Anna Minclova, apostola della Scienza dello Spirito in terra russa.

 

Andrej Belyj e Asja Turgeneva nel 1912

Andrej Belyj e Asja Turgeneva nel 1912

A 31 anni, con la compagna Asja Turgeneva, di soli 21 anni, intraprese un viaggio in Italia, per poi proseguire in Tunisia, Egitto e Palestina. Ma la vera mèta era la Sicilia, in particolare i luoghi graalici identificati da Richard Wagner nell’antica isola greca e nella contigua Calabria in base alle indicazioni fornite da Wolfram von Eschenbach nel Parzival. Tutta la Sicilia è assimilata da Belyj al Re ferito, Amfortas, la cui viva piaga è l’Etna; i terremoti di cui l’isola è vittima (era ancora vivo all’epoca il ricordo del tragico sisma di Messina e Reggio Calabria del 27 dicembre 1908, che causò 150mila morti), ebbene tali terremoti erano l’esito dei colpi di lancia che il mago Klingsor inferiva dalla Calabria contro la Sicilia. Belyj è talmente convinto di ciò da sostenere che in Sicilia si trovi la rocca stessa del Graal, ovvero Munsalvaesche, generalmente collocata sui Pirenei spagnoli.

Belyj ebbe il primo incontro con Steiner nel maggio del 1912 a Colonia e subito dopo decise di seguire per alcuni anni l’atti­vità del Dottore, che tenne conferenze in diverse città dell’Europa centrale e settentrionale. Infine lo seguí a Lipsia, dove dal 28 dicembre 1913 al 2 gennaio 1914 assistette all’importante ciclo Cristo e il mondo spirituale, la ricerca del Santo Graal. Nel ’14 Belyj si stabilí nella cittadina svizzera di Dornach, vicino a Basilea, per cooperare alla costruzione del primo Goetheanum in legno, assieme ad Asja e alla sorella di lei Natalia. Nel ’16 fu richiamato a Mosca per essere arruolato, ma fu riformato. L’anno dopo – è il tragico 1917 – fondò, con Trapežnikov, il gruppo antroposofico di Mosca, e nell’autunno redasse Glossolalia, mentre vedeva la luce Kotik Letaev, testi entrambi incentrati sull’esperienza visibile del suono secondo la cosmologia antroposofica e l’euritmia. Per le strade di Mosca fervevano intanto i tumulti per la rivoluzione e Belyj fu trascinato dall’entu­siasmo collettivo, tanto che nel ’18 pubblicò un poemetto dal titolo Cristo è risorto. Ma ben presto rimase deluso dai bolscevichi e parimenti sentí crescere in sé i primi dubbi sull’Antroposofia, forse anche perché nel frattempo si consumava la rottura con Asja, sposata civilmente nel ’14 ma rimasta a Dornach per lavorare al Goetheanum. Nel ’21 Belyj emigrò a Berlino e vi trascorse due anni molto agitati, frequentando taverne in cui cedeva all’alcol e ballava il foxtrot. Il 30 marzo del ’23 rivide Steiner e ritrovò piena fiducia nell’Antroposofia. Alla fine dell’incontro, racconta lo scrittore russo nei suoi Ricordi su Steiner – settimo volume dell’opera omnia edita da Respublica ‒ egli baciò la mano al Maestro in segno di amore filiale, quasi per contraccambiare il gesto di amore paterno manifestato da Steiner verso di lui alla sua partenza da Dornach nel ’16, allorché il Dottore lo abbracciò, lo baciò e fece il segno della croce su di lui. Ben sapendo cosa Belyj avrebbe trovato in patria. Il 23 settembre del ’23 l’antroposofa (e futura seconda moglie) Klavdija Nikolaevna Vasileva ricondurrà lo scrittore in Russia. Qui ritornò a essere parte attiva nel gruppo antroposofico di Mosca, finché questo non fu chiuso dalle autorità sovietiche nel ’29: molti antroposofi furono perseguitati, compresa la moglie di Belyj, che fu arrestata e poi rilasciata.

Andrej Belyj morí a Mosca l’8 gennaio 1934 in seguito a un attacco cardiaco. Dopo un lungo silenzio della cultura sovietica su di lui, l’importante casa editrice Nauka ha ripubblicato, nel 1973, nella collana “Monumenti letterari”, il romanzo Pietroburgo, il capolavoro belyjano, che vide la luce nel 1913-14 a puntate su un almanacco, e nel 1916 come libro, in seguito piú volte rimaneggiato dall’autore.

Gabriele Burrini