A questo antico detto conviene credere. Un broker che si è giocato alla roulette svariati milioni non suoi ma ricevuti da avidi illusi ai quali aveva promesso di moltiplicarli con il trading ‒ come la Volpe e il Gatto avevano promesso a Pinocchio con gli zecchini d’oro e il Campo dei Miracoli ‒ si è dato alla macchia in seguito alle doverose seppur tardive denunce delle sue incaute vittime. Ci si sarebbe aspettato che fuggisse alle Bahamas o alle Andamane. Niente affatto: si è rifugiato in un convento in Umbria. Pentito per il mal tolto? Chissà. Conviene crederlo. Stupisce il ricorso del reo alla religione. È di conforto comunque l’esito della vicenda che si è risolta in una trappa, ossia in modo espiativo Questo però non obbligherà il mariolo a restituire in ultimo quanto sottratto e sperperato. L’economia si regge ormai su questi giochi funambolici, e gli esperti che dovrebbero disciplinarne gli eccessi e le storture latitano, oppure divagano con formule che hanno ormai piú dello sciamanico che della scienza esatta, in barba alle aspettative di chi, ligio alla morale, ritiene che la virtú ripaghi.
Ecco allora, ad esempio, cosa propone il Nobel di Economia, insignito di fresco, lo scozzese Angus Deaton, settantenne professore emerito di scienze finanziarie, formatosi a Edimburgo, ma da anni in forza al corpo docenti della prestigiosa Università di Princeton, USA. Proprio parlando delle sue ricerche nella società americana, afferma: «Studio soprattutto l’impressionante aumento della mortalità fra gli americani di mezza età. Persone che si tolgono la vita, o muoiono di overdose. C’è molta gente che sta soffrendo a causa della globalizzazione». Oppure: «Dalla crisi del 2008, l’economia è cambiata e la crescita stenta a ripartire». E altre sentenze di questo tenore. Al che gli si chiede, a buon diritto, di dare delle soluzioni ultimative ai problemi che attanagliano ormai il mondo intero, essendo lui un luminare delle questioni socio-economiche. Ecco dunque cosa ha dichiarato il Nobel Deaton: «Sulle sorti del pianeta sono prudentemente ottimista. Oggi i bambini dell’Africa subsahariana hanno piú probabilità di sopravvivere fino a cinque anni di età di quante ne avessero i bambini inglesi nati nel 1918». Per la cronaca, il professore scozzese, or ora nobelizzato, ha condotto serie ed accurate ricerche su quanto il denaro dia la felicità. Interpellato su tale questione, si è tenuto sul vago. «La risposta è molto complicata» ha detto. Ha poi aggiunto che la povertà non è solo questione di denaro, piú importante è che migliorino salute e istruzione. Ecco, l’istruzione, appunto, ma si vorrebbe che non fosse quella delle scuole italiane asservite ai clan accademici e alle consorterie degli autori e stampatori dei testi scolastici, che propongono soluzioni di teoremi labirintici ad alta indefinizione. Possiamo immaginare come reagiscano le sinapsi cerebrali di uno studente di un istituto agrario alle prese con un esercizio tratto da un libro di matematica definita “trascendente”:
Potenza n-Esima di un binomio – Lo sviluppo di (a+b)” è un polinomio omogeneo di grado n, ordinato secondo le potenze decrescenti di a (a partire da quella di grado n) e crescenti di b (a partire da quella di grado O), i cui coefficienti sono quelli della n-esima riga del “triangolo di Tartaglia”.
Ora, se un ragazzo che sogna coltivi, frutteti e maggesi debba confrontarsi con elucubrazioni, seppur geniali, di Tartaglia, al secolo Nicolò Fontana (1500-1559, ideatore del ‘triangolo’, anche attribuito a Pascal, da cui per alcuni è il “triangolo di Pascal”), è indice della confusione eccentrica regolante tutte le materie del sapere.
Non ne è immune neppure l’astrofisica, a sentire Stephen Hawking. L’illustre fisico, matematico e cosmologo, gode della versione nobilitata e aggiornata del ruolo dell’antico astrologo, qualifica quest’ultima che darebbe oggi, a chi ne fosse insignito, la connotazione di un empirismo magico sciamanico, non del tutto, anzi quasi per nulla, basato su dati e rilevazioni attendibili. Ma la contraddizione è nel destino dell’illustre scienziato: nato a Oxford, è finito a insegnare a Cambridge. Seguendo il percorso accademico e scientifico del geniale ricercatore, toccato da una grave malattia genetica che lo rende pressoché invalido, si assiste a una vera e propria rinnegazione delle sue teorie astrofisiche, in particolare di quella riguardante i temibili “buchi neri”. Era partito, il cosmologo, dall’assunto che nello spazio si aprono ‘tombini’ aspiranti non segnalati, in cui la materia che vi dovesse finire non ha alcuna chance di riuscirne a causa del fortissimo e irresistibile risucchio della forza gravitazionale agente in loco. Una vera trappola, un Maelstrom spaziale materiofago, divoratore insaziabile e spietato di qualunque oggetto solido inghiottito nel gorgo buio.
Ma ecco il ripensamento eclatante di Hawking: i buchi neri possono restituire gli oggetti divorati! Lo ha annunciato in una recente conferenza a Stoccolma, con un messaggio che, volendo rassicurare chi temeva che nel buco nero finissero le certezze scientifiche e peggio ancora quelle esistenziali, ha diffuso i semi di una ulteriore confusione metodica, rivelando che: «Queste informazioni [gli oggetti della materia aspirata dai buchi neri] non vanno a finire all’interno del buco nero, ma nell’orizzonte dell’evento, una specie di ologramma sul ciglio del buco nero che conterrebbe le informazioni, anche se in maniera caotica». Ha poi aggiunto che non è da scartare l’ipotesi che le informazioni, ossia gli oggetti finiti nel tombino, possano scivolare in un universo alternativo, per vie e condotti a noi ancora sconosciuti, e non venire mai piú restituiti. Il che autorizza il sospetto che il celebrato astrofisico proceda a tentoni nel buco nero delle ipotesi.
Come mai tanta confusione e contraddizione in ambiti e personaggi che trattano materie improntate a concisione e certezza? Per saperlo dobbiamo ricorrere a chi si è occupato di Spirito oltre che di materia.
«La nostra specie è malata perché portiamo un fardello di scienza troppo pesante per noi. Abbiamo preso una scorciatoia. Se avessimo atteso, il Cielo ci avrebbe dato ancor piú di quanto ne sappiamo ora».
Queste parole, tratte dal Vangelo di Maître Pilippe, risuonano come un monito del Padre dei Poveri a una umanità piú che mai incapace di risolvere la propria vita in termini di valori spirituali e non secondo criteri di cruda materialità.
Dalle caverne in poi, il sogno perverso dell’uomo è stato quello di possedere l’arma totale, la superclava con la quale farla finita per sempre con il proprio nemico di turno. È partito dalla pietra appena sbozzata, poi levigata, appuntita, affilata. La clava ha già costituito un progresso, poi la freccia, e in seguito, con l’acquisita tecnica di lavorazione del metallo è arrivata la spada, quindi la lancia, la catapulta, e infine la Colt, il Winchester, il cannone, il siluro e cosí via, in una escalation di efficacia vulnerante. Armi faticose da maneggiare, spesso macchinose, pronte a tradire inceppandosi, possedute, tra l’altro, anche dal nemico, con il rischio di eliminazione delle due parti, come in alcune famigerate battaglie, risolte in folli carneficine di entrambi i contendenti.
Finché, la mattina del 6 agosto 1945, alle ore 8.15, l’uomo ebbe la certezza di averla trovata l’arma totale (video scoppio bomba su Hiroshima). Una presa d’atto, però, sconvolgente. Facendo cadere da una breve altezza un cilindro di ferro contenente una mistura di neutroni, appena una manciata della mano di un bambino, nel giro di secondi, aveva ridotto in macerie una città, annullandone la popolazione in un flash di onde magnetiche. Altro che folgore di Zeus, altro che Sodoma e Gomorra! L’uomo era una divinità, ferale sí, ma con la stessa potenza distruttiva di un intero consesso olimpico. Gli dèi, però, essendo tali, hanno la struttura spirituale per reggere l’approccio alla dimensione metafisica degli archetipi, senza venirne schiacciati: sono cioè in grado di gestire, manipolare la materia, plasmarla in forma e fenomeno, senza subirne i contraccolpi e gli incerti delle reazioni incontrollate. L’uomo no, lui è un apprendista stregone, e finisce spesso vittima dei propri esperimenti.
Eppure, gli scienziati che si erano stretti in équipe segretissima per ottenere l’arma totale erano quanto di piú esperto ci fosse al momento, i piú abili in assoluto, convenuti da ogni paese. Ma il lampo a tutto cielo, il rombo che squassò la terra all’impatto dell’ordigno al suolo dovette, squarciando l’aria e muovendola in apocalittiche ondate di sterminio e morte, aprire la mente e l’anima di alcuni di loro, facendo comprendere il sacrilegio che era stato compiuto, irrompendo nel nucleo della materia, sconvolgendone l’ordine e la misura.
Da quella mattina di agosto di settanta anni fa, i massimi governi del mondo entrarono in una frenesia di utilizzo dell’atomo per assicurarsi il primato del possesso di ordigni nucleari. Essere dotato di almeno qualche esemplare doveva servire ad esibirlo al nemico di turno per impensierirlo e metterlo in guardia. Fu la corsa a chi costruiva la bomba piú letale. Ne fecero le spese gli atolli della Polinesia, i deserti un po’ ovunque, persino i poli.
L’impressione derivata dalle due drammatiche deflagrazioni belliche di Hiroshima e Nagasaki fu convalidata dalle reazioni che ebbero in seguito alcuni dei responsabili che avevano lavorato prima in Italia e poi negli USA a scindere l’atomo e farne un uso distruttivo: crisi depressive sfociate nel suicidio, nell’alienazione mentale o nella crisi mistica con ritiro in trappe e conventi. Poiché accanto all’obbrobrio delle rovine delle morti atroci era palese agli scienziati che avevano lavorato alla scissione dell’atomo l’avere per la prima volta nella storia umana e scientifica varcato un confine inviolabile, un dominio di cui non si conoscevano i confini e i rischi. La reazione a catena che l’esplosione della bomba poteva scatenare era ignota, supponibile ma non verificabile. Tutto poteva accadere se l’effetto della fissione fosse proseguita in modo inarrestabile.
Capita, a chi percorra le strade della provincia remota, di imbattersi in cartelli che segnalano il gemellaggio del paese o borgo in arrivo con una località straniera dall’ortografia impronunciabile, magari del Belucistan, o di un’altra nazione che si fatica a rintracciare sugli atlanti. Chi, quando e con quali criteri sia stata fatta la scelta dell’accoppiamento, non sarà mai dato sapere, e del resto a chi può veramente interessare che Roccaspuria sia speculare e assimilabile a Urgazikov!
Piú di rado, e in zone particolarmente sensibilizzate ecologicamente, sotto il nome della località che si approssima appare la scritta “Comune denuclearizzato”, il che risulta ancora piú misterioso della notazione gemellare, ma con una spina di inquietudine dovuta al fatto che il cartello evoca lo spettro dell’energia nucleare, paura solo parzialmente esorcizzata dal referendum che cancellò dal nostro territorio le centrali atomiche, insieme a Grecia e Portogallo, soli paesi in Europa che hanno scelto di essere denuclearizzati a vantaggio di tutti gli altri stati della UE, Slovenia inclusa, che delle centrali atomiche usano e abusano, in ossequio al detto sapienziale “Chi non risica, non rosica”.
E rischiando il fall out da day after, Germania, Francia e Regno Unito, tanto per fare dei nomi illustri, hanno fatto lavorare i loro reattori a pieno volume, mentre i PIGS, denuclearizzati, pagavano le piú salate bollette energetiche della Terra, senza peraltro impegnarsi per utilizzare appieno le risorse alternative, come il fotovoltaico, il vento, le onde di marea o il biofuel dalle canne palustri.
La scienza ha imboccato la via dell’emulazione del divino, non della sua comprensione e assimilazione. Il peccato d’orgoglio, che alle origini della storia umana venne scambiato dall’uomo per acquisizione della libertà, altro non era che ripudio della propria vera natura potenzialmente divina. Nel ciclo di conferenze Conoscenza vivente della natura. Peccato originale dell’intelletto e superamento spirituale del peccato (O.O. N° 220), Rudolf Steiner parla appunto del «cammino che consisteva nell’isolarsi sempre piú, nello staccare il pensiero dal contenuto divino-spirituale del mondo, indirizzandolo verso l’intellettualità». Un errore rimediabile, aggiunge «se il cammino intrapreso viene di nuovo percorso a ritroso. Ritrovando la spiritualità nella natura si ritroverà anche l’uomo». E ribadisce, per ripensare l’antica scelta, «come si debba ora afferrare lo Spirito, peraltro filtrato fino al puro pensare, come si debba superare il peccato originale, come ci si possa elevare al divino-spirituale attraverso la spiritualizzazione dell’intelletto». Che significa superare il peccato originale? «Non altro che comprendere davvero il Cristo …avere ben chiaro che il Cristo è un essere celeste disceso sulla Terra e che Egli parlò agli uomini non con un linguaggio terrestre ma con uno celeste».
Dimenticando il destino sublimativo della materia e dell’uomo, la scienza è scivolata nel buco nero della scissione del vivente, che implica la morte. È tempo che avvenga la fusione dell’umano con la natura e con la divinità, per l’avvento di una civiltà finalmente accordata con le leggi dell’universo.
Leonida I. Elliot