Secondo la Genesi, quattro erano i fiumi che scorrevano fuori dall’Eden: il Tigri, l’Eufrate, il Pison e il Ghihon. Gli ultimi due sono spariti dalla geografia della Mesopotamia in seguito all’ultima glaciazione che ha allagato il Golfo Persico e mutato la configurazione generale della Terra dei Sumeri. Ciò lascia suppone che gli antichi collocassero l’Eden in una regione montagnosa tra la Turchia e l’Iraq odierni. I Sumeri fecero della Mesopotamia, la Terra di Ur, un paradiso reale, definito “Dilmun”, giardino di delizie, a memoria forse di quello che il mito attribuiva ai progenitori dell’umanità, che lo avevano perduto per le ragioni che mitologia e religione ci hanno tramandato. Nel “paese tra due fiumi”, la Mesopotamia, gli Ebrei si insediarono sull’onda dell’invasione accadica, nel 2500 a.C. La descrivevano come una regione ricca e pacifica, accogliente e disponibile con gli immigrati. Dell’Eufrate ci viene tramandata la poesia delle sue acque limpide e tranquille, che muovevano le grandi ruote idriche, le norie, e delle barche di giunchi che vi navigavano trasportando uomini e mercanzie. Del Tigri conosciamo le acque ricche di humus. Regimentate nei canali, diramando dal suo corso impetuoso, sedate e regolate dalle chiuse, alimentavano coltivi fertili e giardini sontuosi, come quelli di Ninive.
Passarono i secoli, e Saddam Hussein, il dittatore dell’Iraq, decise di imbrigliare le acque del Tigri con una diga, la piú grande del paese e la quarta di tutto il Medio Oriente. Il manufatto, un portento di ingegneria, presenta uno sbarramento lungo 3,2 chilometri e alto 131 metri. Le acque del suo bacino permettono l’irrigazione di buona parte del territorio iracheno, oltre naturalmente a fornire energia elettrica di equivalente portata ed estensione territoriale. Un sito strategico dunque, e non soltanto per la potenzialità irrigua ma per quella annientatrice delle sue acque, nel caso l’impianto venisse distrutto da un bombardamento aereo o sabotato con esplosivi ad alto potenziale. Nel malaugurato evento, gli esperti prevedono che la rottura dello sbarramento produrrebbe un’onda catastrofica, in grado di uccidere centinaia di migliaia di persone e di rendere impraticabile l’intera regione, compromettendo per anni l’economia dell’Iraq. Piove sul bagnato, direbbe qualcuno, in quanto il “paese tra i due fiumi” è già stato distrutto alle sue fondamenta sociali e territoriali da una ‘guerra di liberazione’, una delle tante che, dichiarando di volere il bene assoluto, producono un male irreversibile. Intanto, per evitare il rischio che la diga di Saddam salti in aria allagando, prevedono gli esperti, persino Bagdad, distante 350 km, si mandano a presidiarla soldati in assetto di guerra e si approntano in loco sbarramenti difensivi con missili, cannoni e droni. Faranno parte dell’armata deterrente anche gli italiani. Che sia un fasciarsi la testa prima di ricevere la botta? A meno che la botta non sia già stata programmata come colpo di grazia all’Iraq. Facciamoci un augurio, che intende essere anche una supplica, per l’anno che comincia: che il Divino abbia misericordia di tutto il genere umano e, perdonandolo, gli tolga la maledizione che si porta addosso e che lo costringe a rubare per avere, a incatenare per liberare, a uccidere per vivere, a odiare per essere amato, a distruggere per costruire. Che venga il Suo regno, finalmente. O meglio, che ritorni, poiché noi lo avevamo ai primordi della storia e lo abbiamo perduto. Era bello, sereno, ci si viveva tutti in pace e armonia. Auguriamoci di poterlo ricostruire, noi diventati piú saggi, piú avvertiti degli Ostacolatori, piú responsabili e consapevoli della Grande Opera che dobbiamo realizzare.
Elideo Tolliani