Il 28 gennaio dell’anno 814 moriva Carlo Magno, un grande imperatore, nel bene e nel male. Nel bene, perché aveva liberato per sempre l’Europa dalla minaccia islamica, unificandola e cristianizzandola, nel male perché l’aveva cristianizzata con metodi non proprio cristiani, come quando fece giustiziare quattromila Sassoni perché avevano rifiutato di battezzarsi. Inoltre, secondo il costume assolutistico dell’epoca, considerava l’Impero di sua proprietà, e quindi un regno ereditario, e attribuiva alla figura del sovrano, quindi alla sua, tutte le prerogative e le funzioni del potere, comprese quelle sacerdotali. Ne conseguiva, nella realtà, che ogni altro potere, compreso quello religioso, era subordinato alla sua autorità. La validità oggettiva di tale principio venne sancita la notte di Natale dell’anno 800, quando aveva preteso che il papa Leone III, durante la Messa di mezzanotte in San Pietro a Roma, gli ponesse sul capo la corona, qualificandolo come “augusto sovrano dell’Impero per volontà di Dio” Era l’atto ufficiale di sottomissione della Chiesa al potere imperiale.
Quanto l’esito di quella cerimonia fosse negativo per la storia europea negli anni successivi, lo provano gli eventi che portarono al problema delle investiture, quindi alla Riforma. La generale compenetrazione del potere politico e quello religioso, con attriti, diffidenze, incomprensioni e insubordinazioni, sfociò in conflitti, che nell’ambito politico si concretizzavano nelle rivolte dei feudatari, in quello religioso con l’alienazione di molte anime adamantine dal mondo ecclesiastico ufficiale per la pace di eremi e conventi, dove stabilire un tramite con la divinità, lontano dalle contaminazioni dei giochi di potere.
Il 21 marzo dell’anno 1098, festa di San Benedetto, Roberto, un monaco dell’abbazia di Molesmes, ritenendo che la Regola di Montecassino ivi istituita non venisse osservata con l’originale purezza e austerità, con una ventina di confratelli si trasferí in un terreno incolto e paludoso distante alcune miglia da Molesmes. Qui occuparono una malandata capanna di legno, con l’intento di bonificare e dissodare il terreno melmoso e fondarvi un convento in cui praticare i dettami di Benedetto nella solitudine e nel raccoglimento. Il luogo prese il nome dalle sterpaglie(citeaux) che infestavano il sito.
Lavoro durissimo, che mise a dura prova non solo la fede ma anche la salute dei transfughi da Molesmes. L’abate Alberico, succeduto a Roberto nella guida della compagine di ribelli, era sul punto di dichiarare il fallimento dell’impresa quando, un giorno della primavera dell’anno 1112, bussò alla porta del convento, sviluppatosi alla meglio dalla capanna di legno, un giovane poco piú che ventenne, Bernardo. Parlando a nome degli altri sei che erano con lui, chiese di essere ammesso al convento. Il postulante apparteneva a una nobile famiglia di Fontaine e i suoi compagni erano tutti ben istruiti e soprattutto determinati a lavorare sodo per la gloria di Dio e per l’onore dell’Ordine che dal luogo impervio in cui era nato, Citeaux è, prese il nome di Cistercense.
Nel giro di dieci anni, Bernardo edificò altri conventi, tra cui quello di Clairvaux, Chiaravalle. Nasceva la sua leggenda di santità guerriera, con l’istituzione dei Templari e la promozione della Seconda Crociata. Dante lo sceglie come guida finale nel Paradiso, dopo Beatrice. E Bernardo rivolge la preghiera alla Vergine: «Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio…» in cui il Mistero dell’Incarnazione trova poetica conferma. Semi di santità che si diffondevano da cuori generosi e devoti al Logos, che partendo da umili capanne eressero santuari, opere imperiture, muovendo popoli inerti o smarriti per incamminarli verso il sole di Cristo.
Quei semi, vagando nell’aria, percorrevano le strade del mondo, superavano i monti e gli oceani. Da Bernardo e dalla sua capanna di legno, volarono a un’umile e disadattata chiesupola di Assisi, la Porziuncola, dove un giovane di buona famiglia, con altri folli di Dio, tramava la vittoria del Verbo. I semi non muoiono mai, se ad accoglierli ci sono anime che dissodano, bonificano e pregano. «Ora et labora», il monito di Benedetto, ripreso da Bernardo, da Francesco, da ogni individuo di buona volontà che oggi non operi piú nella solitudine degli eremi o dei cenacoli, ma nella realtà del mondo.
Elideo Tolliani