Sul mistero del Fantoma

Esoterismo

Sul mistero del Fantoma

Alla luce delle precedenti descrizioni, i nessi tra corpo fisico, calore, pensare, Fantoma, cominciano ad essere piú comprensibili. Ma, fin qui, si sono esaminate solo alcune delle rivelazioni di Rudolf Steiner sul mistero dell’Io del Cristo collegato al suo Fantoma. Nell’anno 1911 egli tenne forse il piú possente ciclo della cristologia antroposofica: quello tenuto a Karlsruhe dal 4 al 14 ottobre con il titolo Da Gesú a Cristo, il N° 131 dell’Opera Omnia. In esso ci sono gli elementi conoscitivi per comprendere profondamente tali cose: lo si dovrà alquanto consultare.

Intanto, non si tralasci di ricordare che a tali misteri, tra i piú profondi ed occulti scaturiti dal Golgotha, è strettamente collegata, come si è letto nella leggenda di Kashyapa, la missione del Buddha Maitreya:

«Se indirizziamo lo sguardo alla quarta parte costitutiva dell’entità umana, al corpo fisico, sembra a tutta prima che esso semplicemente sparisca nel mondo fisico. Del resto si potrebbe dire che questo può venir dimostrato anche esteriormente nel mondo fisico perché, per lo sguardo esteriore, il corpo fisico viene condotto in un modo o nell’altro alla dissoluzione. Il problema, e chiunque si occupi di Scienza dello Spirito dovrebbe porselo, è ora il seguente: tutto ciò che la conoscenza esteriore fisica ci può dire della sorte del nostro corpo fisico, non è forse tutto maya? In sostanza la risposta non è tanto lontana per chi abbia incominciato a comprendere la Scienza dello Spirito. Quando si sia cominciata a comprendere la Scienza dello Spirito, si riconosce che è maya, illusione esteriore, tutto ciò che ci presenta l’apparenza sensibile. Come ci si può aspettare che sia realmente vero, nonostante questa apparenza, che il corpo fisico, abbandonato alla tomba o al fuoco, sparisca senza lasciar traccia di sé? Forse dietro la maya esteriore, che appunto si palesa all’apparenza sensibile, si nasconde qualcosa di molto piú profondo. …Quando esaminiamo il problema della sorte del corpo fisico, ci troviamo anzitutto di fronte a un quesito che occupa, effettivamente, il centro dell’intera concezione cristiana del mondo; veniamo, infatti, condotti nientemeno al problema essenziale del Cristianesimo, e cioè a come vada interpretata la Resurrezione del Cristo, se dobbiamo ritenere che sia importante per la comprensione del Cristianesimo comprendere il problema della Resurrezione. Per sapere se questo sia importante, basta ricordarsi di quel che sta scritto nella prima Epistola di Paolo ai Corinzi (15, 14-20). “Se poi Cristo non è risuscitato, vana è dunque la nostra predicazione, vana è anche la vostra fede. Saremmo anche scoperti testimoni falsi di Dio, perché abbiamo reso testimonianza contro Dio del­l’aver lui risuscitato Cristo, mentre non lo avrebbe risuscitato, se i morti non risorgono. Se, infatti, non risorgono i morti, neppure Cristo è risuscitato. E se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede, siete tuttora nei vostri peccati; allora sono perduti anche quelli che in Cristo si addormentarono. Se in questa vita solamente speriamo in Cristo, siamo i piú miserabili di tutti gli uomini. Ora però Cristo è risuscitato da morte, primo fra quelli che son morti”. Dobbiamo osservare in proposito che il Cristianesimo, quale si estese nel mondo, emana anzitutto da Paolo. Se abbiamo acquistato la capacità di prendere le parole sul serio, non ci è permesso di sorvolare su queste parole importanti di Paolo e di lasciare insoluta la questione della Resurrezione. Che cosa dice infatti Paolo? Che tutto il Cristianesimo in generale non avrebbe giustificazione, che l’intera fede cristiana non avrebbe senso, se la Resurrezione non fosse un fatto reale. Questo dice Paolo, dal quale il Cristianesimo ha preso le mosse come fatto storico. Con questo è detto nientedimeno che chi vuole rinunziare alla Resurrezione deve rinunziare al Cristianesimo nel senso di Paolo. Gettiamo ora uno sguardo sopra gli ultimi due millenni e chiediamo agli uomini del presente l’atteggiamento che, conformemente alle condizioni che hanno preparato la civiltà attuale, essi debbono assumere in merito al problema della Resurrezione. Non terrò conto per ora di quelli che addirittura negano del tutto Gesú; è, infatti, straordinariamente facile di venire a capo del problema della Resurrezione, e in ultima analisi il modo piú facile di rispondere è dire che Gesú non è affatto vissuto, che non occorre dunque rompersi la testa sul problema della Resurrezione.

Sepolcro vuoto

Il Sepolcro

…Se anche si deve ammettere che in questo modo si dovrebbero ricercare nelle cerimonie del­l’Iniziazione degli antichi Misteri i prototipi dei processi importanti che ci vengono descritti nei Vangeli, d’altra parte ci risulterà evidente che i grandi insegnamenti della vita del Cristo nei Vangeli sono ovunque accompagnati da singoli particolari, che non vogliono soltanto essere una semplice ripetizione delle cerimonie dell’Iniziazione, ma che ci indicano trattarsi di una descrizione diretta di fatti reali. Si deve pur dire che si riceve veramente un’impressione realistica del Vangelo di Giovanni leggendo il passo seguente (Cap. 20, 1-17): “Il primo giorno della settimana, Maria Maddalena andò al sepolcro, la mattina presto, mentre era ancora buio, e vide che dal sepolcro era stata tolta la pietra.

Allora, di corsa si reca da Simon Pietro e dall’altro discepolo che Gesú amava e dice loro: ‘Hanno portato via dal sepolcro il Signore, e non sappiamo dove l’abbiano messo’. Uscí dunque Pietro con l’altro discepolo e andarono al sepolcro. Correvano tutt’e due insieme, ma quell’altro discepolo corse piú svelto di Pietro e arrivò prima al sepolcro. E, chinatosi, vide le bende per Terra, tuttavia non entrò. Arrivò intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva; egli entrò nella tomba e vide le bende per terra, e il sudario, che era sul capo di Gesú non per terra con le bende, ma ripiegato, in un angolo a parte. Allora entrò dunque anche l’altro discepolo, che era giunto prima al sepolcro, e vide e credette. Infatti, non avevano ancora compreso la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa. Maria invece stava di fuori a piangere, vicino al sepolcro. Ora, mentre piangeva, s’affacciò al sepolcro, e ci vide due angeli vestiti di bianco, seduti l’uno al capo e l’altro ai piedi, dov’era stato posto il corpo di Gesú. Ed essi le chiesero: ‘Donna, perché piangi?’. Lei rispose loro: ‘Perché hanno portato via il mio Signore, e non so dove l’abbiano messo’. Detto questo, si voltò indietro e vide Gesú in piedi, ma non lo riconobbe. Gesú allora le domandò: ‘Donna, perché piangi? Chi cerchi?’ E lei, pensando che fosse il giardiniere, gli disse: ‘Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai messo ed io lo riprenderò!’. Gesú allora la chiamò: ‘Maria!’. Essa, voltandosi, esclamò in ebraico: ‘Rabboni!’, che significa: Maestro! Gesú le disse: ‘Non mi toccare, perché non sono ancora asceso al Padre’. …Chiediamoci quindi di che cosa si erano potuti convincere i discepoli fino allora. Con la massima chiarezza possibile ci viene descritto che i lini sono là, ma che la salma non vi è, non è piú nella tomba. I discepoli di questo soltanto avevano potuto convincersi, e null’altro compresero quando ritornarono a casa. Altrimenti le parole non avrebbero senso. Quanto piú si penetra profondamente nel testo, tanto piú ci si deve dire che i discepoli, riuniti intorno al sepolcro, si convinsero che vi erano i lini, ma che la salma non vi era piú; e rincasarono col pensiero: ‘Dove è andata la salma? Chi l’ha tolta dal sepolcro?’ Ed ora, dalla convinzione che la salma non vi era piú, i Vangeli ci conducono lentamente ai fatti per mezzo dei quali i discepoli si convinsero effettivamente della Resurrezione. Per mezzo di che si convinsero? Per il fatto che, come raccontano i Vangeli, il Cristo apparve loro di tanto in tanto, e che essi poterono dire: “Egli è qui”; a tal punto che Tommaso, chiamato l’Incredulo, poté toccare con mano le ferite. In breve, dai Vangeli si può vedere che i discepoli si convinsero della Resurrezione soltanto per il fatto che piú tardi il Cristo si presentò loro da risuscitato.

Il fatto della sua presenza fu la prova che convinse i discepoli. Se ai discepoli, dopo che gradatamente si erano convinti che il Cristo viveva, sebbene già fosse morto, se ad essi fosse stata chiesta la vera sostanza della loro fede, avrebbero risposto di avere le prove che il Cristo viveva; essi non avrebbero parlato affatto come piú tardi parlò Paolo, dopo aver sperimentato l’evento di Damasco. Chi fa agire su di sé il Vangelo e le Epistole di Paolo noterà quale profonda differenza vi sia fra la nota fondamentale dei Vangeli, riguardo al concetto della Resurrezione, e il concetto che ne ha Paolo. Paolo paragona sí la sua convinzione sulla Resurrezione con quella dei Vangeli perché, dicendo che il Cristo è risuscitato, indica che il Cristo, dopo essere stato crocifisso, dal chiarore dello Spirito comparve vivente a Cefa, ai dodici, poi a cinquecento fratelli in una volta, e infine anche a lui stesso, il nato prematuramente. Cosí comparve anche ai discepoli; a questo accenna Paolo. Le esperienze con il Risorto furono uguali per Paolo e per i discepoli. Ma ciò che egli subito aggiunge, ed è per lui l’evento di Damasco, è la sua teoria mirabile e facile da capire sull’entità del Cristo. Perché dall’evento di Damasco in poi che cosa diventa per lui l’entità del Cristo? Diventa per lui il “secondo Adamo”. Paolo distingue subito il primo Adamo dal secondo Adamo, il Cristo. Egli chiama il primo Adamo il capostipite degli uomini sulla Terra. Ma in che modo? Non occorre cercar lontano la risposta a questa domanda. Lo chiama il capostipite degli uomini sulla Terra in quanto vede in lui il primo uomo dal quale sono discesi tutti gli altri uomini; ciò significa per Paolo quello che ha trasmesso agli uomini il corpo che essi portano quale corpo fisico. Cosí tutti gli uomini avevano ereditato da Adamo il loro corpo fisico. È il corpo che si presenta a noi per primo nella maya esteriore e che è mortale: è il corpo ereditato da Adamo, il corpo corruttibile, il corpo fisico soggetto alla morte. Di questo corpo, adoperando il termine che non è cattivo, gli uomini si sono “rivestiti”. Il secondo Adamo, il Cristo, viene da Paolo considerato come contrapposto a quello, come partecipe interiormente del corpo incorruttibile, del corpo imperituro. Paolo premette che, per mezzo dell’evoluzione cristiana, gli uomini siano gradatamente in condizione di far subentrare il secondo Adamo al primo; di rivestirsi del corpo incorruttibile del secondo Adamo, del Cristo, invece di quello corruttibile del primo Adamo. Paolo dunque, da tutti coloro che si chiamano cristiani, richiede appunto questa convinzione che sembra in opposizione con tutte le antiche concezioni del mondo. Come il primo corpo corruttibile deriva da Adamo, cosí il corpo incorruttibile deve derivare dal secondo Adamo, dal Cristo. Ogni cristiano dovrebbe quindi dirsi che in quanto discende da Adamo ha un corpo corruttibile, come lo aveva Adamo; in quanto si pone in un giusto nesso con il Cristo, riceve dal Cristo, il secondo Adamo, un corpo incorruttibile. Questa concezione risplende per Paolo direttamente dall’evento di Damasco. In altre parole Paolo che cosa vuol dire? Potremmo forse spiegarlo con un semplice disegno schematico:

 

Adamo

 

Se in un determinato momento abbiamo un certo numero di uomini, Paolo li farà risalire tutti, in base all’albero genealogico, al primo Adamo dal quale tutti discendono, e che ha dato loro il corpo corruttibile. Secondo l’idea di Paolo deve ugualmente essere possibile un’altra cosa. Come riguardo alla loro umanità gli uomini possono riconoscere di essere affini, perché tutti discendono da quell’unico uomo primordiale, da Adamo, cosí, sempre nel senso di Paolo, essi dovranno dire che come senza l’opera loro, per virtú delle condizioni fornite dalla riproduzione fisica dell’umanità, quelle linee vanno fatte risalire ad Adamo, cosí deve essere possibile fare nascere, in noi, qualcosa con un’altra possibilità:

Cristo

Come le linee naturali conducono in alto ad Adamo, cosí deve essere possibile tracciare delle linee che non conducono all’Adamo corporeo con il corpo corruttibile, ma che ugualmente conducono a quel corpo che è incorruttibile e che, per virtú del nesso col Cristo, si può ugualmente portare in sé, secondo il concetto di Paolo, cosí come si porta in sé il corpo corruttibile che proviene da Adamo. Niente di piú scomodo, per la coscienza moderna, di questa idea, perché, considerata spassionata­mente, che cosa richiede da noi? Richiede qualcosa che per il pensiero moderno è tremendo. Il pensiero moderno ha discusso a lungo se tutti gli uomini discendano da un unico uomo primordiale; è un’ipotesi ancora sopportabile che tutti gli uomini siano discesi da un unico progenitore esistente una volta sulla Terra, per la coscienza fisica. Paolo però richiede quanto segue. Egli dice: “Se tu vuoi diventare cristiano nel senso giusto, devi pensare che possa nascere e poi vivere in te qualcosa del quale tu debba dire che da esso si possono tracciare delle linee spirituali risalenti da quel che vive in te verso un secondo Adamo, verso il Cristo, proprio verso quel Cristo che è risorto il terzo giorno dal sepolcro; cosí come tutti gli uomini possono tracciare delle linee che risalgono al corpo fisico del primo Adamo”. Da tutti quelli che si dicono cristiani Paolo richiede di far nascere in loro qualcosa che realmente è in loro e che, come il corpo corruttibile risale ad Adamo, riconduca invece a ciò che si è sollevato il terzo giorno dal sepolcro in cui il corpo del Cristo Gesú era stato deposto. Chi non ammette questo non può stabilire alcun nesso con Paolo, non può dire di comprendere Paolo. Se nei riguardi del proprio corpo corruttibile si discende dal primo Adamo, purché si trasformi la propria natura assimilandovi l’essenza del Cristo, si ha la possibilità di avere un secondo capostipite, vale a dire Colui che al terzo giorno, dopo che il cadavere del Cristo Gesú era stato deposto sulla Terra, è risorto dal sepolcro. Ci sia comunque chiaro che questa è una condizione richiesta da Paolo, per quanto possa riuscire incomoda per il pensiero moderno. Da questo principio paolino potremo poi avvicinarci al pensiero moderno, ma non dobbiamo giudicare in altro modo quel che ci si affaccia cosí chiaramente in Paolo, non dobbiamo sofisticare intorno a quello che è espresso cosí chiaramente in Paolo. È certo comodo interpretarlo allegoricamente e pretendere che egli abbia inteso dire chissà che cosa; tutte queste illazioni non hanno però senso. Se vogliamo connettervi un senso, anche se la coscienza moderna volesse considerarlo una superstizione, non ci resta da dire altro che, secondo la descrizione di Paolo, il Cristo è risorto dopo tre giorni. Ma andiamo avanti. Vorrei aggiungere qui ancora l’osservazione che un’affermazione come quella di Paolo, dopo che egli stesso aveva raggiunto il culmine della sua Iniziazione per mezzo dell’evento di Damasco, l’affermazione cioè del secondo Adamo e della sua Resurrezione dal sepolcro, poteva sorgere soltanto in una persona che, per l’intero suo modo di pensare, per il suo abito mentale, era uscita dalla civiltà greca, che aveva proprio radici nella civiltà greca, mal grado appartenesse al popolo ebraico, qualcuno che in un certo senso aveva sacrificato tutto il suo ebraismo alla concezione greca. Se si esamina il problema piú da vicino, che cosa afferma infatti Paolo in sostanza? Di quel che i Greci amavano e apprezzavano, e cioè la forma esteriore del corpo umano di cui essi avevano il sentimento tragico che dovesse terminare quando l’uomo varca la soglia della morte, di tale forma esteriore Paolo diceva che essa si è risollevata trionfante dal sepolcro con la Resurrezione del Cristo.

 Raffaello  «Resurrezione»

Raffaello «Resurrezione»

Se ora vogliamo gettare un ponte fra queste due concezioni del mondo, dobbiamo ricordare che l’eroe greco, in base al suo sentimento di greco, diceva esser meglio vivere da mendicante nel mondo che da re nel regno delle ombre. Egli lo diceva perché il suo sentimento greco era convinto che ciò che il greco amava, la forma esteriore del corpo fisico, andasse per sempre perduta varcando la soglia della morte. Su questo terreno da cui era cresciuta una simile disposizione tragica dell’anima imbevuta di bellezza, sul medesimo terreno si presentò Paolo, il propagatore del Vangelo anzitutto fra i Greci. Né ci allontaniamo dalle sue parole interpretandole nel modo seguente: “Quel che voi maggiormente apprezzate, la forma umana del corpo, non perisce nel tempo, ma il Cristo è risorto, primo fra coloro che verranno risuscitati dai morti! La forma fisica del corpo non va perduta, bensí restituita all’umanità grazie alla Resurrezione del Cristo”. Ciò che i Greci maggiormente apprezzavano venne loro restituito, con la Resurrezione, da Paolo, l’ebreo compenetrato di cultura greca. Soltanto un greco poteva pensare e parlare a quel modo, ma soltanto un greco diventato tale con tutte le premesse che al tempo stesso gli risultavano per la sua discendenza dal l’ebraismo. Soltanto un ebreo diventato greco poteva parlare a quel modo, nessun altro.

Come possiamo avvicinarci a queste cose dal punto di vista della Scienza dello Spirito? Anzitutto arriviamo a capire che Paolo richiede qualcosa che fa uno strappo radicale nel pensiero moderno. Vogliamo ora cercare di avvicinarci nella prospettiva appunto della Scienza dello Spirito a ciò che Paolo richiede. Raccogliamo anzitutto quel che ci risulta dalla Scienza dello Spirito per formarci una rappresentazione di fronte alle affermazioni di Paolo. Dalle verità antroposofiche piú elementari sappiamo che l’uomo è costituito di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io. Se si chiede a qualcuno che si occupa un poco di Scienza dello Spirito, ma non profondamente, se conosce il corpo fisico dell’uomo, egli dirà certamente di conoscerlo benissimo perché lo vede quando un uomo gli si presenta davanti agli occhi. Le altre parti costitutive sono immateriali, invisibili, e non si possono vedere; il corpo fisico umano lo si conosce invece benissimo. Ma il corpo fisico dell’uomo sta veramente dinanzi ai nostri occhi quando con la nostra vista abituale fisica e la nostra intelligenza fisica ci troviamo di fronte a un uomo? Chiedo cioè chi abbia mai veduto un corpo fisico umano senza essere chiaroveggente. Che cosa abbiamo dinanzi agli occhi quando guardiamo soltanto con gli occhi fisici e comprendiamo con l’intelletto fisico? Un essere umano che però è costituito di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io! Quando cioè un uomo ci sta dinanzi, ci si presenta un complesso organico formato di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io. Non si può dire che un corpo fisico ci sta dinanzi, come non si può dire che vi è idrogeno in un bicchier d’acqua che si presenta a qualcuno. L’acqua è composta di idrogeno e di ossigeno, come l’uomo è costituito di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io. L’assieme costituito da corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale ed Io è visibile esteriormente nel mondo fisico, come l’acqua nel bicchiere. L’idrogeno e l’ossigeno però non si vedono, e sbaglierebbe grandemente chi volesse affermare che vede l’idrogeno nell’acqua. Altrettanto si sbaglia chi crede di vedere il corpo fisico, quando vede un uomo nel mondo esteriore. L’osservatore dotato di intelletto e di sensi fisici non vede un corpo fisico umano, ma un essere con quattro parti costitutive; e vede il corpo fisico soltanto in quanto esso è compenetrato dalle altre parti costitutive dell’essere umano. Esso si presenta però trasformato, come l’idrogeno nell’acqua quando è compenetrato dall’ossigeno. L’idrogeno è infatti un gas, e l’os­sigeno anche; abbiamo dunque due gas che riuniti ci danno un liquido. Perché dovrebbe dunque essere difficile capire che l’uomo, quale ci si presenta nel mondo fisico, è molto dissimile dalle singole sue parti costitutive dal corpo fisico, dal corpo eterico, dal corpo astrale e dall’Io, appunto come l’acqua è cosí dissimile dall’idrogeno? Difatti è cosí; dobbiamo perciò dire che l’uomo non deve fidarsi della maya in cui il corpo fisico a tutta prima gli appare. Dobbiamo pensare il corpo fisico in tutt’altro modo, se vogliamo avvicinarci all’essenza del corpo fisico umano. L’osservazione del corpo fisico umano come tale è un difficile problema della chiaroveggenza, uno dei piú difficili. Supponiamo infatti che nel mondo esteriore venga compiuto con l’uomo un esperimento che sia simile alla scomposizione dell’acqua in idrogeno e ossigeno. Nella morte questo esperimento viene compiuto dall’universo. Allora vediamo che l’uomo de­pone il suo corpo fisico. Ma depone veramente il proprio corpo fisico? La domanda sembra davvero ridicola, perché ci sembra ben chiaro che con la morte l’uomo depone il suo corpo fisico. Ma che cosa depone l’uomo con la morte? È qualcosa di cui per lo meno bisogna dire che ormai piú non possiede quanto di piú importante il corpo fisico ha nella vita, e cioè la forma che, dal momento della morte, comincia ad essere distrutta nella parte del corpo fisico che è stata deposta. Abbiamo dinanzi a noi sostanze in decomposizione, e la forma non è piú quella specifica. Quelle che ora vengono deposte sono, in ultima analisi, le sostanze e gli elementi che di solito ritroviamo anche nella natura e che per loro natura non si darebbero una forma umana. Questa forma è però parte essenziale del corpo fisico umano. Per lo sguardo chiaroveggente comune, a tutta prima è davvero come se l’uomo deponesse semplicemente queste sostanze, che vengono poi condotte alla decomposizione o alla cremazione, come se del suo corpo fisico altro non rimanesse. Dopo la morte, la chiaroveggenza comune può penetrare con lo sguardo in quel­l’assieme costituito da Io, corpo astrale e corpo eterico durante il tempo in cui l’uomo ha la visione retrospettiva della sua vita passata. Poi il chiaroveggente, nell’esperienza che continua, vede staccarsi il corpo eterico, vede un estratto di esso accompagnare l’uomo, e vede disciogliersi il rimanente nell’etere cosmico universale in un modo o nell’altro. Sembra effettivamente come se l’uomo avesse deposto con la morte il corpo fisico, con le sue sostanze e forze fisiche, e dopo un paio di giorni anche il corpo eterico. Se il chiaroveggente segue piú oltre l’uomo durante il periodo del Kamaloka, vede come del corpo astrale, a sua volta, l’uomo porti seco un estratto nell’ulteriore sua vita fra morte e nuova nascita, e come il rimanente del corpo astrale venga abbandonato all’astralità generale. Vediamo dunque che corpo fisico, corpo eterico e corpo astrale vengono deposti, e che il corpo fisico sembra esaurito in ciò che abbiamo dinanzi a noi, nelle sostanze e nelle forze esposte alla decomposizione, alla cremazione o in qualsiasi altro modo soggette a disciogliersi negli elementi. Quanto piú la chiaroveggenza dell’uomo si svilupperà, tanto piú egli si renderà chiaro conto che le sostanze e forze fisiche, deposte con il corpo fisico, non sono l’intero corpo fisico, che anzi non darebbero neppure l’intera figura del corpo fisico. A queste sostanze e forze si aggiunge anche qualcosa d’altro a cui, se vogliamo parlarne giustamente, dobbiamo dare il nome di Fantoma dell’uomo. …Il Fantoma appartiene al corpo fisico, è la parte ulteriore del corpo fisico, è piú importante delle sostanze esteriori. …Le sostanze che si decompongono dopo la morte sono essenzialmente ciò che incontriamo anche fuori nella natura e che vengono trattenute dalla forma umana. …Riflettendo profondamente, è credibile che tutto il lavoro compiuto dai grandi spiriti divini attraverso le evoluzioni di Saturno, Sole e Luna abbia creato soltanto ciò che dopo la morte viene abbandonato agli elementi della Terra? Certamente no! Non è affatto questo che si è andato sviluppando attraverso le evoluzioni di Saturno, Sole e Luna. È il Fantoma che cosí si è sviluppato, la forma del corpo fisico! Dobbiamo dunque renderci ben conto che comprendere il corpo fisico non è tanto facile. Soprattutto la comprensione del corpo fisico non va cercata nel mondo dell’illusione, della maya».

 

Mario Iannarelli (7. continua)