Lo spirito germanico non ha portato a termine
ciò che deve creare nel divenire dei mondi.
Esso vive pieno di speranza nel pensiero dell’avvenire;
nel profondo del suo Essere sente con forza
ciò che vi si nasconde e deve ancora maturare.
Come, nella speranza del Nemico che non comprende,
può nascere l’insensato desiderio che esso sparisca?
Questo a lungo gli si rivelerà la Vita,
che nelle radici del suo Essere lo mantiene creatore?
R. Steiner, Parole di Verità ‒ 5 gennaio 1915, O.O. N° 40
Strettamente connesso a questo libero componimento del Dottore è l’altro, Avversione per le giustificazioni, in quanto basato sul motivo di Hölderlin, l’essere la destinanza dello spirito germanico il cuore d’Europa (Europas Herz).
Vincerà quella Forza
dalla sorte del Tempo
destinata al Popolo,
che supportato dallo Spirito
per la salvezza umana
nel cuore dell’Europa
estrae dal conflitto la Luce.
Con il tentativo di immergersi meditativamente nell’essenza del poetare dell’Iniziato solare – che è un poetare sul poetare – pare di percepire una continuità spirituale con Hölderlin, il cui lungo e silente martirio finale, come sappiamo, fu un puro libero sacrificio nel fluire universale della missione dell’Arcangelo germanico: in particolar modo in relazione alla Venuta di Kaspar Hauser, il venturo veniente (U. Hausserman, Friedensfeier. Eine Einführung in Holderlins Christushymnen, Verlag des Ita Wegman Instituts ‒ Festa della pace. Una presentazione degli Inni al Cristo di Hölderlin).
Chiaramente, la missione dell’uomo archetipo tedesco – l’autentico Occidentale, l’uomo del mezzo non quello del sobborgo americanistico a-occidentale ‒ non è affatto conclusa o terminata, come le Tre ombre: Romanesimo, Ebraismo e Pensiero tecnico tragicamente degradato a fanatismo nichilistico-ideologico sotto specie tecnicistico-meccanicistica (R. Steiner, Come ritrovare il Christo?) sembrano auspicare, ancor piú forti del concorso di ulteriori sotto-ombre: quella dell’Arabismo intellettualistico, autentico ostacolo metafisico per i popoli arabi e quella della Chiesa “ortodossa” di stato russa, tradizionale potenza politico-religiosa imperialista zarista o bolscevica, da sempre radicalmente ostile alla Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner e alla missione del popolo del mezzo. Dice al riguardo il Dottore:
Come, nella speranza del Nemico che non comprende,
può nascere l’insensato desiderio che esso sparisca?
Ciò è la quintessenza svelata dall’Iniziato solare dell’intera storia del ’900.
Hölderlin è il Poeta-filosofo della Germania invisibile, della Germania segreta. Solo Hölderlin è in grado di vivificare l’essenza nella sfera delle figurazioni dinamiche sovraessenti.
La missione germanica è per Hölderlin la missione dell’uomo che deve perseverare nel mezzo dell’Essere (in der Mitte des Seins), per prendere in consegna la storia occulta degli Dei e per istituire in tal modo l’abitazione degli uomini nel mondo: il “mondeggiare”, ossia l’abitare sacralmente il suolo. Abitare intimamente, intensamente il suolo significa per l’uomo volare concretamente verso la sfera del Semi-dio. Tra i mortali il sublime (Hölderlin, I Titani).
Il luogo spirituale della poesia di Hölderlin è lo stesso centro dell’Essere, il centro del centro o il fondamento dell’Essere nell’essere, quale ascosa essenza di semidei e di uomini completamente umani: i mortali, ossia coloro che muoiono. I versi di Germanien, in cui il poeta veggente è transpropriato nell’ascolto delle parole rivolte dagli Dei, per mezzo dell’aquila ‒ simbolo dell’evangelista Giovanni ‒ messaggera del Sacro, alla fanciulla Germania, sono le esplorazioni del sentiero ignoto, mai prima percorso.
Wilhelm Michel nel 1923 saluta in Hölderlin il «legislatore del carattere tedesco», la guida spirituale del popolo, il quale con il mito dell’aquila crea la sintesi tra Oriente e Occidente.
Nel 1924, sempre Michel, interpretando l’ode di Hölderlin Ganimede, scrive: «L’azione del sacrificio e la morte-sacrificio di Hölderlin sono opera della nazione. Sono rimaste per un secolo inutilizzate nel tesoro di grazia del popolo».
A che scopo il sacrificio di Hölderlin? Per redimere «la barbarie che tutto calcola»: la metafisica che non può Poetare, il nichilismo. Goethe resta la costellazione centrale, il Sole, non c’è antagonismo con Hölderlin, ma la totalità ideale goethiana non aveva ancora completamente definito i carcinomici confini del nichilismo. Ciò che in Goethe resta esperienza oggettiva, in Hölderlin è già “pensiero rammemorante”, una metodica di compenetrazione nell’idealismo del Figlio, l’Uno tutto.
Nel regno del nichilismo strisciante, Hölderlin è la forza che attira, mirando al centro, al Logos. Ciò che farà vincere lo spirito tedesco sul nichilismo totalitario che stupra e violenta dai sobborghi, è la via misurata e finita di “elevazione ganimedica”: la via verso gli dèi, stasi e tensione massima dello spirito germanico.
Hölderlin annuncia l’apocalisse dell’Io sono.
In tal senso, Hölderlin, con la sua unicità e la sua tragedia, è la Soglia perenne della Germania essenziale: della Germania che non vuol morire, poiché può morire, e ne ha dato ormai innumeri esempi. Qui ci si approssima perciò all’autentica essenzialità dell’Io del Pensare germanico, il cui sacro timore è proprio quello di sorgere nel fondamento.
Il vero atto filosofico è il suicidio (Novalis).
Tornando al poema, l’annuncio dell’aquila, proveniente dall’Indo, è un’autentica incombenza per il popolo che abita il suolo tedesco, una incombenza che si manifesta nell’essere un “tra” (ein Zwischen zu sein), nell’essere un “in mezzo” (eine Mitte) da cui, in cui e per cui viene creata la storia.
Essere in mezzo, essere il e nel Centro, richiama proprio l’immagine finale di Germanien.
Come sottolinea Hellingrath, la conquista germanica – per Hölderlin – è la conquista del mezzo del tempo. Il mezzo del tempo non è l’oggi, ma è l’Arrischiamento oltre la Soglia pietrificata nell’approssimarsi a quel Pensare, a quel Poetare, a quell’Abitare, a quell’Azione in definitiva che irrompe negli abissi dell’Essere. La verità poetica hölderliniana di ciò si ha nell’immagine delle donne tedesche che salvano l’apparire degli dei nella mitezza della luce amica che oltrepassa la notte: l’Evento della storia, di una storia che è saga, mito, non cronologia.
Il Sacro è l’Uno e non lo è, poiché l’Uno-unico è dinamica essenziale ma cosmicamente non unica del Sacro. Al Sacro, grazie al sacrificio mistico, di sangue, dell’Uno, che è per Holderlin l’evento centrale dell’Occidente pagano e christico, dunque del mondo, può quindi aspirare mortalmente l’Io puro nel suo isolamento, il mortale che Decide: ovvero l’Io nel coraggio di sperimentare il dolore dell’espulsione del suo centro, come ammoniva Schelling in Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana, saggio considerato da Heidegger il punto piú elevato dell’intera filosofia occidentale.
È il momento della massima povertà, la nientificazione dell’inessenziale: il culto del pane e del vino.
L’esserci tedesco è cosí l’esserci storico per eccellenza. Non a caso Rudolf Steiner indica nel periodo greco l’imparziale punto centrale all’interno dei sette periodi post-atlantici (R. Steiner, Berlino 13 marzo 1911: Digressioni sul Vangelo di Marco ‒ O.O. N° 124); la Germania, nella visione poetica di Hölderlin, è la Grecia dei nuovi tempi, il cuore dell’Occidente, e Heidegger definiva Schelling ed Hegel «gli ultimi Greci».
Si torna cosí all’esserci come essere nel mezzo, nel centro.
L’esserci germanico non è dunque il torbido biologismo etno-centrico. Il prussianesimo, nella visione di Hölderlin, è troppo poco, è una unilateralità tedesca, ma c’è veramente poco della Germania apocalittica nel pur maestoso passo cadenzato di Junker.
Questa terra, il suo popolo, ha una missione apocalittica, non katechonica, non messianico-politica; la Germania è capace di dare «disarmata, consiglio intorno ai re e ai popoli».
La rivoluzione germanica come rivoluzione Poetica, azione del sacro.
L’essere disarmata della Germania non indica la debolezza né il fuggire la battaglia. Essere disarmata simboleggia la grandezza spirituale, vittoriosa, anche nella sconfitta. Quella grandezza che non necessita di attacco o difesa. È vittoria anche attraverso il semplice esser-Ci, lo stare in sé, che è ad un tempo portare a manifestazione l’ente. Il «consiglio intorno ai re e ai popoli» è l’indicazione del sentiero, ora chiuso, ascoso, poiché gli dèi sono fuggiti, come avverte Schiller; ma è il sentiero che si inizia a svelare proprio nel momento di supremo nascondimento dell’Essere (Dove c’è pericolo, cresce anche ciò che ci salva).
L’esserci dunque, la presenza germanica, anche quando assente – com’è oggi – è il centro occulto che scaturisce dalla originaria latenza, dal passato e dal futuro afferrato da quella Forza creatrice di cui parla Rudolf Steiner. È la fiamma dei Celesti. Scrive il Poeta:
Tra le figlie di Dio la piú sommessa,
che ama in semplicità pura il silenzio,
l’Aquila cerca, la sacerdotessa,
che fissò, quasi ignara, una tempesta
ieri rombare morte sul suo capo.
È una Forza, questa, che irrompe sul fondamento della terra. È una forza terribile. Terrorizzante e amorevole. Si innerva in modo radicale, unico, nella vicinanza della morte, vissuta come sacrificio che pone ognuno nella medesima nullità ontica dalla quale scaturisce l’incondizionata comunione dell’Io con lo spirito dell’esserci tedesco. Il mezzo del tempo nasce quindi nella dimensione mitica, intimamente temporale, quando l’essenza germanica, nella sua libertà e nella sua insistenza, è conquistata lottando.
Dice al riguardo il Dottore: Lo spirito germanico …nel profondo del suo Essere sente con forza ciò che vi si nasconde e deve ancora maturare.
Dunque, ecco, si giunge al punto: l’esser preso tragicamente nella morsa dal serpente di Miðgarðr, per il popolo del mezzo, l’esser preso con il tentato Annientamento, per farne sparire con ciò lo spirito piú profondo. La prova piú acuta e terribile. Questo immane tentativo strategico ha percorso centrale gli anni dal 1914 circa sino al 1990, se vogliamo usare la cronologia che si usa comunemente.
Molto probabilmente – lo possiamo dire oggi ‒ questo piano è fallito.
Certamente il popolo del mezzo è obliato nel suo piú profondo spirito. Certamente lo spirito germanico è oggi incastrato, volendo usare un termine tecnico di arrampicata: ma non è estinto.
Il sinistro e grandioso Piano Morghentau, per quanto si sia concretizzato, ha fallito lo scopo ultimo.
La speranza del Nemico ha fatto naufragio ancora una volta.
Ha finito, proprio in fondo, per frantumarsi contro l’ardente amore del Tutto dello spirito tedesco.
Non possiamo contemplare le tragedie mondiali con gli occhi impalpebrati nella narcosi del mercato o della politica. La Missione di uno spirito quale quello germanico chiude le epoche: è una storia dell’Essere.
Scrive il Poeta.
E a regger grave una felicità,
per amore che t’arde del Tutto, sei diventata forte.
Ciò che per gli altri Spiriti di popolo è una tragedia, per la Germania è una “felicità”.
La missione di spiriti quali Víðarr
(www.larchetipo.com/2010/dic10/esoterismo.pdf)
(www.larchetipo.com/2016/02/inni/il-baluardo/)
è di riuscire a fare di una disgrazia una fortuna.
L’evoluzione del popolo del mezzo indica un’alternanza ritmicizzata di rafforzamento e progressiva estinzione dell’influsso spirituale dell’Arcangelo Víðarr.
Attualmente Víðarr è occultato, ma il Nemico dell’Uomo, la sintesi dinamica in atto degli Avversari, grazie al sacrificio dei mortali nell’esserci tedesco, non ha potuto definitivamente concretizzare “l’insensato desiderio”.
Dal VII secolo si ha l’esserci tedesco, il nuovo inizio greco. Da allora comincia anche l’evoluzione della lingua tedesca. Siamo ora in prossimità della quarta fase di questo primo ritmo. Il cammino è ancora lungo.
Proprio il 20 giugno 1945, poco dopo la tragica “sconfitta”, Martin Heidegger, che anch’egli alla via del Poeta si era riallacciato con profondità di intenti, scriveva a R. Stadelmann: «Noi, i Tedeschi, non possiamo tramontare, perché non siamo ancora mai sorti, e dobbiamo innanzitutto attraversare la notte».
Certo, la Germania che sorge non è la Germania del nichilismo velenoso, del tecno-capitalismo, non può essere la Germania che ha insudiciato e deturpato il concetto del Riformatore: Schuld. E questo va detto senza alcuna indulgenza verso quegli accattoni della finanza e della politica che costruiscono il “consenso” sul sicuro terreno della demonizzazione del laborioso popolo tedesco.
Non è comunque questa la Germania che sorge dopo il messaggio dell’Aquila: è la Germania di Schelling e di Hölderlin. È la Germania sacra, disarmata, serena, pacifica, la Germania che consiglia senza imporre: quella della cerchia della “Nuova comunità” di Rudolf Steiner e Fidus, fondata sugli ineffabili princípi del romanticismo originario, sulla musica wagneriana, sulla mistica di Novalis, Hölderlin e Schelling (Rüdiger Safranski, Romanticismo. Una questione tedesca).
Dice il Dottore che al centro dell’Europa si deve estrarre dal conflitto la luce.
E questo, chi piú del popolo di mezzo lo sta facendo? È un “venerdí santo poetico” l’oceano d’odio planetario che dal 1870 in avanti si riversa costantemente, senza sosta, sul popolo del mezzo. Da questa eroica sopportazione nasce la Vita, ciò che al tempo stesso «nelle radici del suo Essere lo mantiene creatore».
E si vede oggi cosa abbia significato stoltamente credere di poter fare a meno del puro Pensare germanico nel dominio della macchinazione, che non è in sé diabolico, ma lo diventa se non vi è una sfera altrettanta elevata, dalla quale fluiscono il vero Pensare e il vero Poetare: ad accoglierlo.
«Solo alla stirpe tedesca è stato veramente concesso dall’elemento nazionale il riconoscimento di tutta la fecondità della condizione in cui si trova l’uomo conoscente nel momento di dover dire che diverse cose sono giuste» (R. Steiner, conferenza dell’8 dicembre 1918, Esigenze sociali dei tempi nuovi ‒ O.O. N° 186).
Non sfugga al riguardo la centralità stessa dell’Italia nell’essere nella schiera degli Übergehenden, «coloro che passano oltre», che aprono un varco. In Hölderlin il motivo dell’Italia è centrale. Non solo l’aquila che giunge dall’Indo attraversa l’Italia ultima tappa; al Vanini, per esempio, l’“eretico” italiano bruciato a Tolosa nel 1619, Hölderlin tributò costantemente un autentico culto poetico e filosofico.
Ma il cuore del cuore d’Occidente, per Hölderlin, è comunque il Christo. Pur essendo di sostanza divina, Egli non è tanto il dio, quanto il Semi-dio: il Fratello dei venturi, poiché è l’ultimo degli Dei. Il Christo è il venturo originario proprio perché è ultimo tra gli Ultimi dei compienti il rito solare.
È il Fratello di coloro che verranno poiché sapranno attraversare la notte.
Talvolta è visto dal Poeta con accenti che rimandano alla seconda potenza schellinghiana: è allora l’idealismo cosmico del Figlio, nella cui ascosa essenza manifesta traspropriano dinamicamente il mondo finito infinito. Il Christo entra nella poesia di Hölderlin come presenza nella latenza cosmica di un’identità ontologica tra la soglia dell’Essere e quella del Nulla. Il sacro, ulteriore al divino, estingue l’identità ontologica fondata su un dualismo sensorio o meramente rappresentativo. Il sacro, in Hölderlin, è ciò che è oltre gli dèi d’Oriente e d’Occidente. È l’oltrepassamento ed è l’abisso (der Abgrund).
Qui interviene il Christo nella missione di fratellanza: la Sua venuta fu preparata dalla morte di Empedocle. Il Christo agisce quando è ormai tarda sera; l’incombenza della notte terrifica i superstiti, i celesti ed i mortali son tutti sospesi in una sorta di limbo. Predomina la stanchezza mortale. La malinconia sfocia in disperazione. Non v’è piú atto di coraggio che possa schiudere il sentiero se non diviene tragedia. Il Sangue è vocato a sacralizzarsi. Eracle è il primo, l’ordinatore del caos. Dioniso supera la separazione tramite la forza inebriata. Il Christo è l’Ultimo. La notte è ormai nel centro dell’essere. È la suprema destinanza dell’Io, sentinella del nulla, nel regno delle tenebre.
Il pericolo dell’Io o del popolo del mezzo è il sentiero stesso verso il Semi-dio o la tentazione di regredire allo stadio umano o dell’uomo-dio senza Io. La salvezza è indicata dall’immagine dei mortali che muoiono: è l’Aperto arrischiato e dischiuso dal “pensiero che rammemora”. Fluisce allora il linguaggio nell’istante sereno del rutilante silenzio della Parola.
Ha scritto il Poeta ne L’Unico:
Christo però si destina da solo.
Ercole è come i principi, Bacco è spirito di comunione.
Christo però è la fine.
Martin Thaler