La posta dei lettori

Redazione

La posta dei lettori

bustinaSpesso mi viene rivolta questa ambigua domanda e cioè di come Steiner tratti la quantità variabile di popolazione sul pianeta, poiché non sempre corrisponde allo stesso numero di persone nelle varie epoche. Posso contare su una cordiale risposta?

Gaia

 

Innanzi tutto, occorre dire che Rudolf Steiner parla di anime antiche e di anime giovani: dunque al numero iniziale, nelle ère che si sono succedute, si sono aggiunte moltissime anime, nella continua creazione delle Gerarchie. Inoltre, una domanda come quella che è stata posta può sorgere spontanea solo in chi non conosce, o non prende in considerazione, la legge della reincarnazione. Le anime tornano ad incarnarsi durante tutte le epoche storiche, per sperimentare ciò che quel tipo di civiltà rappresenta per l’evoluzione degli individui. Vi sono state epoche di lunghissima durata, in cui le incarnazioni avvenivano con lentezza, cioè molto diradate fra loro. Siamo oggi in un’epoca fondamentale, in cui dal massimo della caduta nella materialità occorre trovare la forza di risollevarsi a una ritrovata spiritualità. Per questa ragione, diceva Massimo Scaligero, tra la fine del precedente millennio e l’inizio del nuovo devono incarnarsi contemporaneamente tutte le anime. Fra esse saranno presenti i grandi Maestri del passato, gli Apostoli, gli Iniziati, i Santi, i quali opereranno per cercare di salvare l’umanità dall’abisso in cui potrebbe, liberamente e volontariamente, precipitare. La conquista della libertà, e di conseguenza dell’Amore – compito precipuo dell’uomo sulla Terra – porta con sé un altissimo rischio, e gli Ostacolatori sanno come distogliere le anime dal giusto cammino, indicando strade apparentemente piú facili e allettanti. Sta a noi, a ognuno di noi individualmente, tra i 7,4 miliardi stimati di persone presenti attualmente sul nostro pianeta, prendere la decisione che aiuterà a salvare o a perdere l’umanità.


 

bustinaCome ricordare quello che riusciamo a raggiungere, anche se è una piccola cosa, durante gli esercizi? Esiste una “memoria spirituale”? E come conquistarla?

Maria Rosaria V.

 

Noi tutti abbiamo potuto notare, a volte, durante una profonda meditazione o in un momento di particolare dedizione alla disciplina interiore, che una certa forza in un dato momento ci illumina, e sentiamo di aver trovato una chiave, un accesso al Mondo spirituale. Poi passa il tempo, pensiamo ad altro, crediamo di poter ritrovare sempre quell’accesso, quel significato, e invece non c’è piú, perché non si trattava di un sistema automatico sempre a disposizione, ma era una intuizione. E quando cerchiamo di recuperare quella intuizione, non la troviamo piú, perché era un dono dello Spirito che ci eravamo meritati, ma che abbiamo perduto. La “memoria spirituale” esiste, ed è la capacità di tener desto quel dono, di conservarlo. Il Divino ci inviale intuizioni, ma non ci aiuta a conservarle: quello è compito nostro. Si tratta di un problema importante, perché tutta la nostra vita si svolge in un continuo sforzo per ritrovare ciò che in un certo momento abbiamo conquistato, che ci sembra acquisito, ma che poi non abbiamo piú. In un particolare momento accade di avere una chiara visione di ciò che dobbiamo fare, ma in seguito quella visione, che era un dono, la perdiamo. Perché ancora non la possedevamo. È stato narrato da chi vi ha partecipato, che quando Rudolf Steiner tenne le Lezioni di classe, che erano racconti spirituali con delle immagini potenti e sfolgoranti, persino sconvolgenti, alcuni cercarono di prendere appunti con carta e matita. Il Dottore però li ammoní di non cercare di fare appello alla memoria fisica: il ricordo doveva riaccendersi nell’anima intatto al momento in cui era necessario che accadesse. Noi possiamo anche appuntare dei nostri pensieri personali, segnando una traccia del cammino che percorriamo e che temiamo di non ricordare, ma il modo di appuntare deve allora essere creativo, piú per immagini che per concetti. Si tratta certo di un mezzo non molto elevato, ma pratico, dato che non possediamo ancora la memoria spirituale, che è quella in cui opera l’Io. La memoria solita invece, quella che utilizziamo abitualmente, per mezzo dell’esercizio mnemonico, è quella in cui dominano gli Ostacolatori. La memoria corporea è il mondo di Lucifero e Arimane: è un mondo morto, in cui non si crea nulla. Accade a volte che il dolore apra uno spiraglio in quella chiusura, ed ecco che ricordiamo quello che già sapevamo, ma che avevamo dimenticato. La via che percorriamo con la disciplina interiore comporta una dose di sacrificio, di dolore e di difficoltà. Non ci dobbiamo aspettare niente di facile in questa direzione, e tutti coloro che promettono la felicità parlando di Spirito ‒ e che oggi abbondano sul web… ‒ sono lo strumento degli Ostacolatori, perché la vera felicità è possibile solo nel contatto con il Logos. Quando raggiungiamo quel contatto, dopo aver superato determinate prove, dopo aver annullato dentro di noi tutti gli inganni della maya, raggiungiamo una perfetta felicità, che non è il contrapposto del dolore, ma è la possibilità di non temere nessun dolore, di non temere piú nulla. A quel punto si attiva in noi la memoria spirituale, che non è il rammentare, che riporta alla mente, ma il ricordare, che riporta al cuore.


 

bustinaVi contatto per avere chiarimenti a proposito della figura di Jahvè nelle opere di Rudolf Steiner. Ho letto due articoli sulla vostra rivista: uno di F. Pavisi, dal titolo “Jahvè e Arimane”, diviso in due parti (L’Archetipo, Aprile-Maggio 2006), e un altro di M. Iannarelli, dal titolo “Sul mistero del Fantoma”, prima parte (L’Archetipo, Settembre 2015). In quello di Pavisi, la fonte steineriana è l’opera La comunione spirituale dell’umanità, O.O. N. 219, 5 conferenze 23-31 dicembre 1922; nell’articolo di Iannarelli, la fonte è costituita da alcune conferenze pasquali di R. Steiner del 1909 (pubblicate poi sulla rivista «Antroposofia» nell’anno 1958), alcuni brani delle quali sono riportati nell’articolo in questione. In base all’articolo di Pavisi, Javhè è un’entità spirituale che opera al servizio del Cristo, per cui tutta la Legge mosaica, e l’impianto liturgico rituale del popolo ebraico è dovuto a Jahvè. Invece, basandosi sul­l’articolo di Iannarelli, l’entità che si rivelò a Mosè nella forma del fuoco che brucia e non consuma e il cui nome era “Io sono l’Io sono”, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, la stessa entità che si mostrò nella forma della folgore a Mosè sul Sinai e da cui scaturirono i comandamenti, Steiner afferma essere il Cristo stesso! Perciò vorrei capire, nell’ottica steineriana, come stanno le cose.

Davide R.

 

La redazione, in questo caso, ha girato la domanda a uno dei due diretti interessati. Questa la risposta:

 

La questione si dovrebbe esaminare da vari punti che, a prima vista, possono davvero generare perplessità e apparenti contraddizioni. Per prima cosa si dovrebbe riflettere sul perché Mosè chieda al dio che gli sta dinanzi il nome… Se fosse stato Jahvè, egli l’avrebbe riconosciuto e non gli avrebbe fatto la domanda! C’è, poi, tutta la storia celeste di queste due Entità: Cristo e Jahvè, che appartengono a ranghi gerarchici completamente differenti. Cristo è il Figlio generato, non creato, del Padre; Jahvè è un Eloha, o Spirito della forma, che appartiene, come massimo e piú potente esponente, ai 7 Elohim che compongono il Pleroma del Cristo. Questo Pleroma ha prima agito interamente dal Sole spirituale, poi, quando la Luna si è distaccata dalla Terra, Jahvè si è insediato in essa con altre entità spirituali (tra cui quella conosciuta come Osiride, o Apollo), e da lí ha agito come “Volto del Cristo”, rispecchiando la luce del Sole verso la Terra ogni notte. Tale azione è stata operata in aiuto degli uomini e del Cristo, e ne ha preparato la venuta sulla Terra. Lo stesso Michele, che prima era al servizio di Jahvè come Spirito notturno, è poi divenuto, con i fatti di Palestina, il massimo servitore del Cristo come Spirito diurno. A queste scheletriche notizie si dovrebbe aggiungerne moltissime altre, ma la cosa migliore è che ogni vero studioso le acquisisca dall’opera del Dottore, specialmente da tutti i cicli della Cristologia. Mosè è stato il primo uomo Iniziato a poter avere un rapporto diretto col Cristo, che gli si è presentato nell’elemento fuoco del Roveto ardente, quando il Cristo stava penetrando nella sfera terrestre, proveniente da quella solare. Ciò fu un evento del tutto singolare, per Mosè, perché tutta l’azione precedente di Jahvè aveva sempre avuto un carattere che Steiner definisce “geologico”, cioè legato all’elemento terroso; invece il Cristo, sin dal­l’inizio, si presenta come il vero dominatore dell’elemento fuoco, e ciò seguiterà fino alle lingue di fuoco della Pentecoste, e dura ancora oggi in tal guisa. Per finire queste brevissime precisazioni: Jahvè è stato lo Spirito della Terra fino al Mistero del Golgotha, quando, con il fluire del sangue del Cristo appeso alla croce, questa ha iniziato un processo di spiritualizzazione che la porterà a divenire il nuovo Sole del nostro cosmo, come “Corpo” del Cristo e della Sua umanità.

 

Mario Iannarelli