Caprera

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La Casa Bianca di Garibaldi

La Casa Bianca di Garibaldi

Alle 18.21 del 2 giugno 1882, nella Casa Bianca, un’antica casupola di pastori dell’isola riadattata a villa rustica, tipo fazenda sudamericana, moriva Giuseppe Garibaldi. Lucidissimo, presente. Pochi istanti prima, un passero si era posato sul davanzale della finestra aperta. Zampettava, pigolando. Qualcuno fece per allontanarlo. Garibaldi mormorò: «Lasciatelo stare, è venuto a prendermi!». Poco dopo, serenamente, spirò.

Il Leone di Caprera, cosí anche denominato, aveva avuto un rapporto di grande familiarità con gli animali, quasi simbiotico. La sua celebre cavalla bianca, cui aveva dato il nome Marsala, gli obbediva al cenno, a un guizzo della mente, per cogitazione telepatica. Ciò gli aveva consentito di muoversi in situazioni di emergenza con rapidità e sincronismo dinamico. Bonariamente, rimproverava uno degli asini che allevava nella sua azienda agricola, un animale tra i piú recalcitranti, chiamandolo Pio IX, il pontefice che aveva osteggiato la Repubblica Romana, il cui fallimento aveva costretto Garibaldi alla fuga da Roma con Anita, morta nella pineta di Ravenna. Una svolta karmica, in tanta rovina di iniziative e di ideali. Arrestato infatti a Follonica, era stato condannato all’esilio in Tunisia. Ma il bey, per non inimicarsi la Francia, amica del papato, rifiutò di accogliere l’esule ‘volontario’. Si cercò un’alternativa sostenibile al momento e il comandante della nave, originario della Maddalena, dirottò il bastimento verso quel porto, in attesa di una località disponibile dove l’esiliato potesse risiedere sotto sorveglianza.

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Alla Maddalena, Garibaldi ebbe modo di conoscere gli isolani, gente fiera, determinata, amante della propria terra e delle sue tradizioni. Fu ospitato con riguardo e condotto in giro per l’arcipelago. Non mancò di mostrare il suo coraggio, salvando dall’annegamento gli occupanti di una barca che si era rovesciata per un fortunale. Venne cosí in contatto con l’isola di Caprera, che lo commosse per la sua somiglianza con la località brasiliana di Laguna, dove aveva conosciuto Anita. Fu allora, che concepí il desiderio di viverci per sempre.

Ma il destino non era di riposarsi e fare l’agricoltore come sperava. Altro compito lo attendeva. Ci fu l’esilio a Tangeri, poi il viaggio a Liverpool, infine il soggiorno a New York, dove lavorò come operaio nella fabbrica di candele gestita da un altro illustre italiano, Pietro Meucci, inventore dell’apparecchio “telettrofono”, poi abilmente usurpato dall’americano Bell, con il nome di telefono. Ma ogni avventura si risolveva in un solo richiamo karmico: fare l’Italia ad ogni costo. Cosí, il ritorno, con il forte ricordo di quell’isola che gli ricordava la sua Anita e allo stesso tempo gli prefigurava il buen retiro dove realizzare quella condizione patriarcale, la piú degna per un eroe tutto dedito all’ideale patriottico. E il karma agí.

Suo fratello Felice, morendo, gli lasciò del denaro, che serví da caparra per acquistare il primo lotto sulla parte nordest di Caprera. Fece del cabotaggio tra la Sardegna e Genova e tutto il denaro andava per un altro pezzo dell’isola. Liquidò anche i suoi confinanti inglesi, i Collins, una coppia con la quale aveva dovuto sostenere una garbata ma strenua contesa, per il fatto che le sue mucche sconfinavano nel terreno dei vicini e i maiali dei vicini nel suo. Ma poi, l’ammirazione che i britannici nutrivano per lo strano libertador, fino a promuovere una sottoscrizione pubblica in suo favore, fecero riconciliare le parti. Alla morte di Mr. Collins, la vedova ritornò in Inghilterra, dopo aver ceduto la proprietà. E cosí Caprera fu tutta di Garibaldi. Il sogno rurale si avverava. La Casa Bianca ospitava i figli avuti da Anita, quelli dalla governante Battistina Ravello e dalla terza moglie, Francesca Armosino. Una colonia, che non mancava di stupire le centinaia di visitatori da ogni parte del mondo. Molti gli ammiratori e le ammiratrici, ma anche anarchici come Bakunin, alla ricerca di segreti e strategie di azione. Venne anche un incaricato di Lincoln, l’anno dopo l’impresa dei Mille, per offrire al generale il comando delle truppe confederate. Ma Garibaldi ricusò. Aveva un conto in sospeso con Roma, che doveva essere, era certo, la capitale dell’Italia riunita. Doveva chiuderlo, quel conto, altrimenti a nulla era servito il suo progetto, e quello dei molti che vi avevano sacrificato la vita. Caprera divenne allora la base da cui ripartire, tutte le volte che un’impresa di libertà lo richiedesse. Lí ora dorme, nella nuda tomba di granito, proprio dietro la Casa. La cavalla Marsala sepolta poco distante.

Elideo Tolliani