È quello strano, anomalo sentimento che si sta sempre piú diffondendo nel mondo via via che ci accorgiamo che il presente è un repertorio di fallimenti in ogni campo delle umane attività, da quelle materiali a quelle spirituali passando per quelle finanziarie. Responsabili? Un po’ tutti, individui e collettività senza distinzione di etnia e religione, ma, diciamocelo pure, noi cosiddetti occidentali, europei massimamente, portiamo addosso un fardello di colpe che, localizzato sulla schiena, ci impedisce di coglierne il volume e la gravità. Quanto alle conseguenze, basta vedere la Tv e leggere i media, ed ecco i barconi dei disperati, che dalla Spagna alla Turchia ci accusano di aver portato all’umanità, insieme al materialismo storico, il colonialismo rapace, la scienza sradicata da ogni valore trascendente e volta alla confezione di armi distruttive come la bomba atomica. Abbiamo imposto l’economia di mercato, la Borsa, i pesi e le misure, il computo dell’ora e quello dell’oro, i decaloghi religiosi e le risoluzioni dell’ONU, le agenzie di rating e di fixing dei metalli, le multinazionali delle sementi e delle commodity, i Fondi monetari, la FED, il FMI, l’Opec, l’Agenzia Spaziale.
Insomma, la cosiddetta civiltà occidentale, che con le sue utopie e filosofie ha provocato due guerre mondiali, sembra ben avviata verso la terza, se insiste nell’antico peccato di ritenersi il sale della terra.
Quanto a noi italiani, privati ormai di ogni sovranità, immemori dei talenti di cui eravamo dotati e che abbiamo svenduto per un materialismo d’accatto e un consumismo da sveglia al collo, ad ogni congiuntura di carattere economico, sociale o culturale, non ci riferiamo al corredo animico di cui saremmo dotati ma cerchiamo paralleli e raffronti con altri popoli, non ci domandiamo come dovremmo comportarci in ossequio alla nostra natura e cultura ma ci allineiamo con i tedeschi, corriamo a chiedere lumi oltreatlantico, per cui cowboy, biscazzieri e usurai rimpannucciati sono i nostri mentori e modelli. Lontane anni luce figure come Cincinnato o Garibaldi, in un’Italia che ha tralignato, svilendo la missione cui è destinata per disegno karmico.
Secondo quanto disse Rudolf Steiner nella conferenza del 18 ottobre 1914 (O.O. N° 287):
«I popoli derivati dalla civiltà latina possedettero ciò che dall’anima senziente, razionale e cosciente feconda l’Io e lo spinge piú addentro nel mondo. …Nelle penisole italica e iberica dovevano venir sviluppati gli impulsi dell’anima senziente nell’Io. Carattere dei popoli (luci e ombre): mescolanza dell’Io con l’anima senziente».
E ancora:
«I popoli che danno il tono alla quinta epoca di civiltà postatlantica rappresentano negli impulsi della loro civiltà le diverse componenti animiche dell’uomo; ad esempio i popoli che abitano la penisola italiana e la spagnola (come popoli, non come individui, come ho detto ripetutamente) accolgono nella loro civiltà tutto ciò che è connesso con l’anima senziente. Il carattere dell’anima senziente vive soprattutto nei popoli che abitano la penisola italiana e quella spagnola. Questi popoli presentano in certo qual modo una speciale prosecuzione di questo processo del capo (indicato nel sigillo di Saturno). Essi mostrano, configurandolo in un modo piú concreto e piú delineato, ciò che vive negli impulsi del sangue e del nervo, del corpo eterico e del corpo astrale, nel senso che ho indicato. Si potrebbe dire che quanto proviene dai tempi piú antichi trovi la sua espressione in questi popoli e nei loro impulsi fondamentali, in modo che le forze che agiscono dal basso verso l’alto acquistino una figura piú chiara. …Volendo considerare la specificità dei popoli della penisola italiana e di quella spagnola, dobbiamo avere chiaro che essi perfezionano gli impulsi del sangue, dei nervi, di ciò che vive nel corpo eterico e nel corpo astrale, in modo piú specifico e concreto per accogliere coscientemente i tempi nuovi: però lo fanno utilizzando le forze del passato. …Questi popoli accolgono tutti i misteri delle forme antiche, cioè i misteri delle antiche scritture artistiche. Dovremmo ritrovare nella civiltà esteriore di questi popoli le caratteristiche di ciò che vive precipuamente nell’anima senziente, cioè una specie di resurrezione di quanto era stato presente nel passato e che essi coltivano in sé».
Naturalmente, questi popoli di stirpe latina hanno ricevuto, insieme al legato della civiltà di Roma ‒ espresso dagli ordinamenti civili, sociali, amministrativi e giuridici ‒ lo stigma del messaggio cristico che l’Urbe imperiale aveva innestato senza difficoltà al sentimento innato di virtus, fides, pietas e humanitas, colonne portanti della condotta pubblica e privata del cives romanus. Per questa particolare condizione animica, si è attivata l’insidia degli Ostacolatori intesa a vanificare l’espletamento di quella missione universale. Impresa il cui testimone doveva poi passare ai popoli europei. Ciò non è avvenuto, o se si è verificato, non ha sortito quei risultati per cui, nel tempo, uomini della provvidenza, laicamente dell’emergenza, come appunto Cincinnato e Garibaldi, si sono sacrificati.
Parlando poi in varie occasioni dei morti, Steiner dice che i grandi mutamenti della Terra sono creati dall’essere umano sotto la direzione e la guida degli esseri superiori. I morti, dice Steiner, lavorano alla trasformazione della natura, nelle cui forze dobbiamo vedere le azioni degli esseri disincarnati. Come può venir migliorata la nostra vita sociale? Può esserlo se chiediamo il consiglio dei morti. Una prassi che però va fatta nel solco della trascendenza e non della medianità piú grossolana o peggio con l’approccio del materialismo scientifico piú deleterio e pagano.
Parlando poi in varie occasioni dei morti, Steiner dice che i grandi mutamenti della Terra sono creati dall’uomo sotto la direzione e la guida degli esseri superiori. I morti, dice Steiner, lavorano alla trasformazione della natura, nelle cui forze dobbiamo vedere le azioni degli esseri disincarnati. Come può venir migliorata la nostra vita sociale? Può esserlo se chiediamo il consiglio dei morti. Una prassi che però va fatta nel solco della trascendenza e non della medianità piú grossolana, che si rivolge ad anime del passato per avere soluzioni pratiche, o peggio con l’approccio del materialismo scientifico piú deleterio e pagano.
La locuzione latina “Parce sepulto” invita a lasciare in pace i morti, poiché non è giusto né saggio richiamare alla memoria anime trapassate per metterle alla sbarra del tribunale della storia e condannarle o esaltarle a seconda del nostro giudizio, spesso di parte, il piú delle volte condizionato da pregiudizi religiosi, etnici o politici. Certo, la tentazione è forte di scoprire i lati oscuri di personalità complesse e affascinanti come Semiramide o Cleopatra. Una tentazione resa ancora piú irresistibile e velleitaria dalle odierne acquisizioni tecnologiche, come l’esame del DNA, che sembra poter chiarire segreti e misteri persino di individualità di un lontanissimo passato.
Cosa non si può fare con l’esame del DNA? Si può individuare un assassino tra decine di migliaia di persone sospettate ma non dichiarate, come scoprire che la regina d’Egitto Nefertiti soffriva d’insonnia, o che a Leonardo da Vinci non piacevano le uova sode ma le preferiva in camicia. Questi risultati sono possibili analizzando i resti mortali dei soggetti indagati, sia la mummia nel caso della regina egizia sia le tracce biologiche dell’autore della Gioconda, monitorata anch’essa per stabilirne la vera identità storica. Insomma, salendo e scendendo per la scala a elica del DNA si definisce la storia umana, facendo parlare, essendo deceduti gli inquisiti, le loro reliquie.
Purtroppo, le risultanze dell’esame del DNA hanno assunto valore probatico definitivo, conferendo a chi lo esegue un potere giuridico assoluto. Il che equivale, stabilendo in modo incontrovertibile la colpevolezza di un soggetto, la sua reclusione a vita o persino la messa a morte nei paesi dove ancora l’esecuzione capitale è prevista.
Non sempre, però, sono disponibili resti anatomici e oggetti materiali da esaminare. Capita allora che, mancando reperti da indagare ma vigendo seri intenti di veridicità, e soprattutto di utilità sociale e culturale, qualcuno ‒ un sociologo, un antropologo o uno storico ‒ evochi lo spirito di un personaggio del passato prossimo o remoto, coinvolgendolo in un’intervista a botta e risposta per ottenere non tanto indiscrezioni e confessioni scabrose riguardanti il passato, quanto per avere soluzioni di problemi dell’attuale condizione umana. E poiché la gran parte dei problemi del presente, come del resto in tutte le epoche passate, per via diretta o trasversale, riguarda l’economia, ecco l’intervista ‘impossibile’ fatta da un assai quotato economista italiano al suo defunto omologo inglese John Maynard Keynes (1883-1946), padre e profeta dell’economia di Stato, ideatore del famigerato PIL, che condiziona da anni tutte le azioni dei governi e delle imprese, nemico acerrimo del liberismo capitalistico, un principio che espose nel suo celebre trattato La fine del laissez-faire (1926), in cui stabiliva l’intervento pubblico nell’economia, suggerimento che permise al mondo di uscire dalla Grande Depressione degli Anni Trenta.
Ma poi al rigoroso modus operandi dell’economia del formicaio è subentrata, con l’euforia della pace, la smania di liberismo degli ultimi decenni, diventata il decalogo della nuova economia globale e che ha condotto dieci anni fa all’esplosione negli USA della bolla speculativa dei subprime, che si è subito estesa a livello globale in una serie di reazioni a catena delle varie economie nazionali, avvelenando il mondo della finanza e degli affari. Una crisi aggravata, specie in Europa, dalla rigida politica monetarista perseguita dall’economia tedesca.
Volendo sintetizzare, il grande J.M. Keynes, per bocca dell’intervistatore, si è limitato a ribadire le teorie che lo resero celebre e che si riducono a massicci interventi dello Stato a favore dell’economia. Per cui si ha l’impressione che il giornalista che ha immaginato l’intervista abbia preso la palla al balzo per sostenere il Fondo Atlante, l’ultima trovata della governance finanziaria globale che, non sapendo piú che pesci pigliare per sanare i deficit di molti istituti praticanti nel tempo l’allegra finanza dei derivati e degli avventati impieghi dei depositi, ha ben pensato di gettare una ciambella statale alle banche in difficoltà per regolare le sofferenze. Naturalmente, i 500 milioni di denaro pubblico non basteranno a colmare il Maelstrom da bad bank.
Per cui, già all’indomani del lancio del Fondo, si apprende che 119mila soci di una delle banche maggiormente toccate dalla bufera finanziaria, tra un’opzione e una sovrallocazione, tra incentivi e un diritto di recesso, passando per un forchettone, rimarranno alla fine con un bel pugno di mosche.
Ma i tempi che stiamo vivendo solo in apparenza hanno le radici dei loro mali nella questione economico-finanziaria. I soldi, la ricchezza, il profitto sono inganni degli Ostacolatori per impedire alle anime umane di perseguire il fine cui sono destinate: la divinizzazione dell’anima umana.
Al punto storico in cui ci troviamo, inutili appaiono ormai le interviste impossibili con i vari Keynes, Galbraith e Ricardo, che hanno elevato il denaro e il suo uso e abuso al grado di divinità assolute.
Quelli che occorrerebbero oggi non sono gli economisti speculativi, ma piuttosto i pater patriae, quegli individui, uomini e donne, che al di sopra di ogni interesse e ambizione hanno posto la patria. Concetto che, oltre al luogo di nascita, città o nazione che sia, comprende le anime che vi agiscono. Cincinnato era senza dubbio uno di questi personaggi, un’icona della devozione e della dedizione di un singolo al bene collettivo. Erano i tempi della repubblica quirite, anno 458 a.C. I Latini premevano alle porte di Roma, una coalizione come mai si era vista prima. Nominato dittatore, ossia uno con i poteri assoluti sui beni e sulle persone, Cincinnato ‒ cosí chiamato perché “cincinnus”, uomo dai capelli ricciuti ‒ lasciò il suo orticello di là dal Tevere, compattò rapidamente un esercito, e con poche enunciazioni programmatiche e ancor piú scarne metafore ideali affrontò Equi e Volsci, li sbaragliò per poi aggregarli alla comunità vittoriosa. Richiesto di tenere la dittatura a vita, ricusò, ritornando al governo del suo campicello trasteverino. A pensare cioè alla sola cosa che veramente gli interessava: i suoi cavoli. Da qui, il celebre detto “Pensare ai cavoli propri”, per dire che, passata l’effimera gloria, quello che importa è la resilienza.
Molti dati biografici e lati del carattere accomunano i due personaggi in questione, Cincinnato e Garibaldi. Entrambi chiamati con il potere assoluto della dittatura a risolvere un’emergenza, entrambi di specchiata onestà e di intemerato coraggio, fino alla sconsideratezza, per cui molto si è discusso sulla loro invulnerabilità sul campo, che i Romani attribuivano al favori dei e Napoleone alla fortuna.
In realtà un occhio di riguardo il Cielo dovette averlo per un uomo destinato a fare di un coacervo di stati e staterelli una nazione. Forse neppure l’interessato era consapevole di godere di un tale favore.
E alla stessa maniera di Cincinnato, anche Garibaldi, compiuta l’impossibile impresa di ‘liberare’ il Sud dai Borboni, s’imbarcò al molo della Nunziatella a Napoli, il 9 novembre del 1860, avendo con sé un sacco di sementi, uno di stoccafisso, tre cavalli e poche centinaia di lire. Lo attendeva, di là dal Tirreno, l’isola di Caprera, un esilio come piaceva e si addiceva a un Telamonio come lui, l’eroe delle Porte Scee, al quale non si dà alcun compenso e trionfo ma l’aspra solitudine. E del resto, tutto quello che realizzò prima e dopo la spedizione dei Mille ruotava intorno al nodo karmico assegnatogli dalle Gerarchie, un compito di cui forse lo stesso esecutore non era pienamente consapevole.
Che fosse tuttavia dedito anima e corpo a tale superiore mandato («Qui si fa l’Italia o si muore!»), lo rivela Rudolf Steiner nella undicesima conferenza sui nessi karmici, tenuta a Dornach il 22 marzo 1924. Leggendola, appare evidente come Steiner ribadisca ancora una volta l’intervento di forze ed entità superiori, lo Spirito immanente, nella materia e nelle imprese umane, piegando il volere e l’agire di chi è destinato a promuoverle e compierle, fino alla completa soluzione del nodo karmico:
«Vorrei anzitutto richiamare l’attenzione sullo speciale interesse che può venir suscitato da determinate personalità. Accennerò a personalità storiche e anche ad altre della vita ordinaria. L’interesse per tali persone può fornire uno stimolo alla ricerca dei rapporti karmici che stanno alla base della loro vita. …Giuseppe Garibaldi …è indubbiamente una delle personalità europee piú interessanti del secolo diciannovesimo, egli esplicò una singolare azione sul decorso del secolo. …Garibaldi partecipò in modo molto significativo alla vita di tutto il diciannovesimo secolo. Nacque nel 1807 ed esplicò un’azione preponderante fin entro la seconda metà del secolo. …Da fanciullo egli mostrò scarsa inclinazione per quello che l’educazione ordinaria offre ai ragazzi, non era in sostanza un bravo scolaro, ma provava il piú vivace interesse per tutto quanto tocca l’umanità. …Sopra ogni cosa però lo interessava il mondo. …Cosí egli crebbe, vivendo sempre fuori nel vasto mondo …e in lui si risvegliò una vivissima impressione di quanto poteva scaturire dal rapporto del suo essere col mondo. …Mentre andava navigando con i suoi marinai …egli dovette sicuramente sperimentare delle impressioni atte a gettarlo in uno stato di grande scoramento, poiché si trattava di persone senza entusiasmo per quella che è vera umanità, per quello che in lui si era presto manifestato in modo geniale e pieno di sentimento. …Ma quando scese a terra e andò a Roma, si direbbe che la sua anima sia stata attraversata da una visione della parte ch’egli avrebbe avuto alla liberazione d’Italia! In seguito a varie circostanze, Garibaldi divenne poi quel che nella prima metà del secolo [Ottocento], era facile diventare, e cioè fanaticamente anticattolico, anticlericale e repubblicano. Egli divenne un uomo che si era chiaramente proposto di fare tutto quanto gli sarebbe stato possibile per il bene dell’umanità; e se lo era veramente proposto!».
Segue poi una cronistoria della vita dell’Eroe dei Due Mondi, vissuta dal protagonista in alternanza tra avventure rischiose e ordinarie vicende quotidiane, ma sempre resa da Steiner con il recondito scopo di evidenziarne il nucleo della karmica necessità. Riferendosi piú oltre nello scritto a certe fortunate circostanze occorse nell’impresa dei Mille, precisa:
«Tali singolari concatenazioni del destino sono importanti. Proprio in simili concatenazioni dobbiamo vedere ciò che conduce a scoprire i nessi karmici. …Sono davvero nessi karmici che si svolgono a lato della libertà umana, cose di cui si può essere sicuri che dipendono dal karma, e sono di grande aiuto allo studio pratico dell’essenza del karma».
Seguono persino notazioni di tipo estetico:
«Garibaldi era quel che si dice un bell’uomo. Aveva bellissimi capelli di un biondo scuro ed era nell’insieme molto attraente. Ricciuto [come Cincinnato!], biondo, piaceva molto alle donne. Bene, già i pochi tratti che ho descritto portano a pensare tutto il bene possibile della donna da lui eletta [Anita] …che fosse la migliore, la piú interessante, la piú devota delle donne. Sembra tuttavia che fosse gelosa! …Che cosa fece Garibaldi quando un giorno questa gelosia prese, a quanto pare, dimensioni piuttosto allarmanti? Si fece radere i suoi bei capelli fino alla radice, si rese calvo! A quel tempo era ancora in America».
Un uomo del destino, dunque, un inviato dal Cielo, un mahdi, un condottiero con tratti sciamanici, uno stratega empirico e geniale, tanti nomi ed epiteti per descrivere soltanto un uomo non del suo tempo e del suo Paese, ma un garante di cause universali e atemporali, un archetipo del ronin globale, capitano di tutte le bandiere e difensore di tutte le istanze di libertà. Un tipo cosí sarebbe necessario oggi piú che mai. Potrebbe risalire la Penisola, trascinando con sé gli italiani desiderosi di risvegliarsi, di ritrovare la propria anima vera, smarrita da qualche parte, barattata per un calo di spread, o per una tripla A di Standard & Poor.
Che tipo di intervista impossibile potrebbe rilasciare un uomo che poco parlava e molto faceva? Rimarrebbe in silenzio, oppure, rivolgendosi all’intervistatore, direbbe quello che gridò a Roma dalla finestra dell’albergo Dragoni a Largo Chigi alla folla che si era radunata, e che gli chiedeva di scendere per essere portato in trionfo: «Romani, siate seri!». Quanto sarebbe utile un uomo cosí! Che non è del passato, e neppure, ahinoi, del presente, ma è l’uomo di un futuro che rimpiangiamo. Un personaggio che gli scienziati, manipolando ad arte le informazioni genetiche del DNA, vorrebbero forse riuscire a ricreare…
Sappiamo infatti che attraverso il DNA è possibile delineare il profilo anatomico e in qualche modo l’indole e il tipo caratteriale di un certo soggetto. Ma ciò non basta a rilevare, quantificare e qualificare le forze eteriche, indipendenti nella loro natura, origine e funzione, che presiedono alla vita fisica e animica di un essere agente nella realtà del mondo creato. Mancando la presenza e l’azione di queste forze nell’organismo vivente, ecco che l’intero suo apparato psicofisico decade nell’inerzia dinamica, e il soffio vitale lo lascia. Quando il Cristo resuscita la figlia di Giairo, e in altri casi di richiamo alla vita, sono proprio quelle forze ad essere riportate nell’involucro biologico dal quale erano uscite, consegnandolo alla morte. Questo, non è possibile, e neppure consentito, agli operatori dei magheggi genetici, che vorrebbero riprodurre caratteristiche psicofisiche di personaggi del passato, che si sono distinti per l’ingegno, il carisma o l’esaltante bellezza, come Garibaldi, Giovanna d’Arco, San Francesco o Elena di Troia.
La risultanza di tanta alchemica applicazione, piú che il clone che si è tentato di realizzare, sarebbe però simile all’Homunculus goethiano di Faust, ottenuto con la collaborazione di Mefistofele, o ad un involucro come il Golem di Meyrink, un robot in carne e ossa operante a comando. Poiché l’uomo è potuto accedere all’albero della Conoscenza ma non a quello della Vita. E in laboratorio non si fanno gli eroi, e neppure gli onesti. L’homo faber degli antichi è il risultato di una infaticabile metallurgia dell’anima nel crogiolo del quotidiano, operazione non sempre edificante o trascendente.
La storia, quella di un’impresa karmica per fare di tante piccole unità geografiche una nazione coesa e consapevole, fu, anzi è sempre, il prodotto dell’agire dell’Io, di quello Spirito che Rudolf Steiner ha colto nell’azione dell’Eroe dei Due Mondi. Quella che gli ha permesso di essere l’uomo giusto al momento giusto, per una giusta causa. L’Io dell’uomo che, attraverso il lavoro sull’astrale, può renderlo un cavaliere senza macchia e senza paura. L’astrale cosí sublimato e santificato, può allora lavorare sull’eterico, l’energia vitale, la fonte del vivente di cui si permea l’involucro fisico, che può trasformarsi infine in sostanza trasfigurata.
Si discute molto, e in ambiti diversi ‒ da quelli economici a quelli della pura socialità ‒ di cambiare i decaloghi e le costituzioni, poiché quelli in vigore presso i popoli e le istituzioni sono carenti, presentano lacune e ambiguità. Modificando, o persino abolendo le leggi vigenti, cambiando integralmente le regole e i canoni, si ritiene esista la possibilità di riportare a regime una società umana smarrita piú che colpevole, disagiata piú che inferma. Ma non è questa la soluzione: l’uomo, per recuperare dignità e valori, deve essere capace di aprirsi allo Spirito che tutto può, che è persino in grado di prendere uno scavezzacollo che bighellonava sui moli di Nizza e farne l’eroe per eccellenza, l’unico in grado di portare a compimento l’impresa di rendere nazione un’Italia divisa. Un individuo predestinato, che al di là della capacità militare e strategica ha fornito lo spunto e l’esempio per fondare la futura società universale. È di quel tipo di individuo ispirato, di quel tipo di società futura, che abbiamo nostalgia.
Leonida I. Elliot