Oggi vedremo concretamente come agisce il karma e faremo luce su quello che accade in quelli che si definiscono i tre mondi. All’infuori di questi tre, vale a dire il mondo fisico, l’astrale e mentale, tutti gli altri mondi sono poco rilevanti per l’evoluzione umana. Quando siamo svegli, siamo nel mondo fisico; sotto un certo aspetto, abbiamo davanti a noi il semplice mondo fisico. Basta che apriamo i nostri sensi, per avere il mondo fisico davanti a noi in tutta la sua realtà. Ma nel momento in cui guardiamo il mondo fisico con interesse, quando l’incontriamo con il nostro sentimento, siamo già in parte nel mondo astrale, e soltanto per una parte siamo realmente in quello fisico. La vita umana ci propone solo come inizio una vita semplicemente nel mondo fisico: ad esempio, quando contempliamo un’opera d’arte senza il desiderio di possederla. Una simile contemplazione di opere d’arte è un atto psichico importante, dal momento che, dimenticando se stessi, vi si opera unicamente come azione mentale. Ora, vivere semplicemente nel mondo fisico dimenticando se stessi è molto raro. L’uomo guarda la natura in quieta contemplazione molto raramente, perché al contempo egli sente molte altre cose. Tuttavia, vivere nella natura fisica facendo astrazione da se stessi è la cosa piú importante, perché è solo questo che permette all’uomo di avere la coscienza di sé; in tutte le altre dimensioni, l’uomo ordinario è ancora attualmente immerso nel mondo dell’inconscio.
Nel mondo fisico, l’uomo non è soltanto cosciente di se stesso, può anche spogliarsi del proprio sé. Ma la sua coscienza di veglia non è tuttavia “spogliata di sé” se non è lui stesso a dimenticarsi. Non è il mondo fisico ad impedirglielo, ma l’interferenza dei mondi astrale e mentale. Ma se dimentica se stesso, non è piú separato, e trova il suo Io sparso all’esterno. Ora, attualmente, l’uomo solo nella vita fisica può sviluppare questa coscienza dell’Io senza separazione. Chiamiamo “Io” la coscienza di sé. L’uomo può diventare cosciente di sé soltanto nel contatto con l’ambiente. È solo quando acquista i sensi per uno dei mondi che diventa cosciente di se stesso in quel mondo. Attualmente, egli ha i sensi solo per il mondo fisico, ma gli altri mondi interferiscono costantemente con la coscienza dell’Io e la offuscano. Quando interferiscono i sentimenti, è il mondo astrale; quando l’uomo pensa, è il mondo mentale che interferisce nella coscienza.
I pensieri della maggior parte della gente non sono altro che il riflesso dell’ambiente. Rari sono i casi in cui l’uomo ha dei pensieri che non dipendono dal suo ambiente. Ha pensieri piú elevati solo se i sensi per il mondo mentale si risvegliano in lui, cosicché egli non pensa soltanto i pensieri, ma li vede attorno a sé in quanto esseri. È allora che ha la coscienza dell’Io del mondo mentale, quella che ha il chelā, l’Iniziato. Quando l’uomo cerca di far sparire attorno a sé dapprima il mondo fisico, poi tutte le pulsioni, le passioni, tutti i moti dell’anima ecc. allora, nella maggior parte delle persone non resta pensiero. Cerchiamo allora di rappresentarci tutto quello che influenza l’uomo nella misura in cui egli vive nello spazio e nel tempo. Evochiamo quindi in noi tutto ciò che è legato al luogo e al tempo in cui viviamo! Tutto quello che l’anima ha continuamente come pensieri dipende dallo spazio e dal tempo. Ora, tutto questo ha un valore effimero. Per questa ragione l’uomo deve lasciare il semplice riflesso di quanto è sensoriale e far vivere in lui un contenuto di pensiero eterno, al fine di sviluppare, poco a poco, dei sensi devachanici. Una frase come questa, estratta da La Luce sul Sentiero: «Prima che gli occhi possano vedere, devono essere divenuti indenni alle lacrime» vale per tutti i tempi e tutti i luoghi. Se si fa vivere in sé una tale frase, allora vive in noi qualcosa che sta al di là dello spazio e del tempo. È un mezzo, una forza per far risvegliare a poco a poco nell’anima i sensi devachanici e svegliare tali sensi a ciò che nell’universo è eterno.
Ecco quale parte umana egli trae dai tre mondi. Ma l’uomo è entrato solo un poco alla volta in questa condizione. Non è sempre stato nel mondo fisico; è diventato fisico e ha acquisito i sensi solo a poco a poco. Prima, egli era sui piani superiori. È disceso verso il mondo fisico dal piano astrale e, ancor prima da quello mentale. Noi distinguiamo due parti del piano mentale: il piano mentale inferiore o rūpa, nel quale tutto è già differenziato, e il piano mentale superiore o arūpa, nel quale tutto è ancora indifferenziato, in germe. L’uomo è disceso dal piano arūpa a quello fisico passando attraverso il piano rūpa e il piano astrale. È soltanto sul piano fisico che l’uomo è diventato cosciente di se stesso. Sul piano astrale egli non è ancora cosciente di sé e sui piani arūpa e rūpa lo è ancor meno. È sul piano fisico che per la prima volta degli oggetti si sono presentati all’uomo dall’esterno, tutt’intorno a lui. Generalmente, quando degli oggetti si presentano ad un essere dall’esterno, è l’inizio della coscienza di sé. Ora, sui piani superiori, la vita era ancora interamente rinchiusa all’interno. Quando l’uomo viveva sul piano astrale, la sola realtà che incontrava era quella che saliva dalla sua vita interiore. Aveva una vera coscienza immaginativa. Anche se era ricca, in realtà non erano che immagini che salivano in lui. Gli attuali sogni ne sono un debole residuo. Per esempio, se un uomo astrale si fosse avvicinato a del sale, il sale avrebbe agito inconsciamente su di lui e in lui sarebbe salita un’immagine. Nella sua interiorità sarebbe apparsa l’immagine del sapore salato. Se fosse andato verso un altro essere umano, che gli fosse stato simpatico, non l’avrebbe visto dall’esterno, ma un sentimento di simpatia sarebbe salito in lui.
Quella vita nell’astrale era una vita in cui si era completamente in se stessi e nell’isolamento. È soltanto sul piano fisico che l’uomo può abbandonare il suo isolamento, perché egli percepisce degli oggetti con gli organi dei sensi e si fonde allora con l’ambiente, il “non io”. È qui che sta l’importanza del piano fisico. Senza aver messo piede sul piano fisico, l’uomo non avrebbe mai abbandonato il suo isolamento e volto i suoi sensi verso l’esterno. È proprio qui che comincia il lavoro per spogliarsi di sé. Tutto quello che non è pura contemplazione delle cose fisiche esteriori appartiene ancora piuttosto all’ego. Bisogna anche abituarsi a vivere spogliati del proprio sé sui piani superiori come si è cominciato a fare sul piano fisico, anche se poco fino ad ora. Gli oggetti del piano fisico obbligano l’uomo a spogliarsi della propria coscienza e a dare qualcosa all’oggetto, che non è “io”. Quanto ai suoi desideri, a ciò che risiede nell’anima, l’uomo si orienta secondo i propri desideri. Sul piano fisico, deve imparare a rinunciare, a spogliare di sé i suoi desideri. È il primo passo.
Il passo successivo è quello di orientarsi non secondo i propri desideri, ma secondo quelli che vengono dall’esterno. Se inoltre, coscientemente e in modo deliberato, l’uomo non si orienta secondo i pensieri che si formano in lui, ma si dedica coscientemente a pensieri estranei, egli si eleva sul piano devachanico. Per questo nei mondi superiori dobbiamo ricercare qualcosa che sia al di fuori di noi e che ci dedichiamo ad esso come ci dedichiamo agli oggetti del mondo fisico. È cosí che si devono considerare le aspirazioni degli Iniziati. Il discepolo in occultismo impara a conoscere le aspirazioni che sono giuste per l’umanità e si orienta secondo esse, come ci si orienta secondo gli oggetti sensibili, perché vi si è esteriormente obbligati. La cultura e l’educazione delle aspirazioni portano al piano astrale. E se ci si spoglia di sé anche nel pensiero e si lasciano passare dalla propria anima i pensieri eterni dei Maestri della saggezza – grazie alla concentrazione e alla meditazione sui pensieri dei Maestri – allora si percepiscono anche i pensieri dell’ambiente intorno. Sul piano astrale, il discepolo in occultismo può già essere un Maestro, ma sul piano mentale possono esserlo solo i piú grandi Maestri.
L’uomo si presenta dapprima a noi per la sua natura fisica. Vive contemporaneamente nei mondi astrale e mentale, ma ha la coscienza di sé solo nel mondo fisico. Deve attraversare tutto il mondo fisico finché non abbia imbevuto la propria coscienza di sé di tutto quello che il mondo fisico può insegnargli. Qui l’uomo dice “io, me” a se stesso, collega il suo Io alle cose attorno a lui e impara ad allargarlo con la contemplazione. Il suo Io si dilata al di fuori e diviene uno con gli oggetti che ha interamente compreso. Se avessimo già compreso tutto il mondo fisico, non ne avremmo assolutamente piú bisogno, lo avremmo in noi. Attualmente, l’uomo non ha in sé che una parte del mondo fisico. All’epoca della Lemuria, quando per l’uomo si verificò la sua prima incarnazione, egli cominciava appena ad orientare il suo Io verso il mondo fisico; non ne sapeva ancora granché. Ma quando arriverà alla sua ultima incarnazione, dovrà aver unito al suo Io il mondo fisico nella sua totalità.
Nel mondo fisico, l’uomo è lasciato a se stesso, nessuno lo guida; in verità, è abbandonato da Dio. Quando uscí dal mondo astrale, gli dèi lo abbandonarono. Doveva imparare a diventare padrone di sé nel mondo fisico. Per questo non può vivere qui che come vive effettivamente: in un moto pendolare fra errore e verità. Deve cercare da sé, a tentoni, il proprio cammino. Ora, la maggior parte delle volte, brancola nel buio. Il suo sguardo è diretto all’esterno, è libero fra le cose, ma anche esposto all’errore. Sul piano astrale, l’uomo non aveva una tale libertà: era spinto, condotto dalle potenze che stavano dietro di lui. Era ancora attaccato a dei fili, come una specie di marionetta manovrata dagli dèi; questi dovevano ancora guidarlo. In quanto l’uomo è un essere fisico, gli dèi continuano ancora oggi a vivere in lui. Qui, libertà e non-libertà sono ancora fortemente mescolate. Le aspirazioni cambiano continuamente. Questo andirivieni di onde di desideri esce dall’interiorià. Sono gli dèi che agiscono nell’uomo.
Sul piano rūpa del mondo mentale, l’uomo è meno libero, e lo è ancora meno sul piano arūpa, il mondo mentale superiore. Sul piano fisico, piú l’uomo impara grazie alla conoscenza a non commettere errori, piú diventa libero.
Nella misura in cui con il proprio lavoro si penetra nel mondo fisico e lo si conosce, ci si rende capaci di far salire sul piano arūpa le cose che si sono imparate nel mondo fisico. Il piano arūpa stesso è senza forma, ma riceve delle forme dalla vita umana. L’uomo riunisce le lezioni imparate sul piano fisico e fa salire al piano arūpa quelle forme che si sono consolidate nell’anima. Per questo nei Misteri della Grecia l’anima era chiamata “ape”, il piano arūpa “arnia” e la terra fisica “campo fiorito”. Questo era insegnato nei Misteri greci.
Cosa dunque ha spinto l’anima a scendere sul piano fisico? Sono le aspirazioni e le brame; non si scenderà mai sul piano fisico inferiore se non per la brama. Prima, l’anima era nel mondo astrale; il mondo astrale è il mondo del desiderio. Tutto quello che nel mondo astrale gli dèi hanno inserito nell’uomo è un puro mondo del desiderio. Prima della Lemuria, predominava in quegli uomini il desiderio del fisico. Allora, l’uomo era totalmente avido di quanto è fisico; c’era in lui una cieca, incosciente avidità del fisico. Quest’avidità viene meno solo se la si soddisfa. Questa avidità del fisico sparisce grazie alle rappresentazioni, alle conoscenze alle quali l’uomo perviene grazie a quanto ha appreso dal mondo fisico.
Dopo la morte, l’anima passa sul piano astrale e da là ai piani rūpa e arūpa. Essa vi depone quanto ha acquisito. Quello che non ha ancora portato dal mondo fisico, quello che resta sconosciuto, è ciò che la spinge a ridiscendere, è ciò che provoca l’avidità di nuove incarnazioni. La durata del suo soggiorno sul piano arūpa dipende dalla dimensione di quanto ha acquisito sul piano fisico. Nell’uomo primitivo questo è molto poco, per questo in lui c’è solo un flebile lampo di luce sul piano arūpa, poi egli ridiscende nel mondo fisico. Colui che qui nel mondo fisico ha tutto appreso, non ha bisogno di uscire dal piano arūpa, non ha piú bisogno di ritornare sul piano fisico, perché ha fatto il suo dovere nel mondo fisico.
Secondo la sua natura astrale, l’uomo appartiene ancora oggi per metà al mondo astrale. L’involucro dell’astrale è per metà aperto, ed egli percepisce il mondo fisico con i sensi. Se arriva a vivere sul piano astrale come fa adesso sul piano fisico, e a farvi delle osservazioni in modo simile, farà salire anche le percezioni del mondo astrale sul piano arūpa. Ma quello che fa salire dal piano astrale si spande dal piano arūpa ancora piú in alto, fino al livello superiore, il piano della buddhi. Nello stesso modo, quello che raggiunge oggi sul piano rūpa con la meditazione e la concentrazione, egli lo porta sul piano arūpa e lo trasmette a piani ancora piú elevati.
Quello che è astrale nell’uomo è per la metà aperto al mondo fisico e per la metà aperto ai mondi superiori. Là dove s’apre al mondo fisico l’uomo si fa condizionare dalle percezioni del mondo sensibile. Dall’altra parte, egli è condizionato dall’alto.
Succede lo stesso per il suo corpo mentale. Anche questo è condizionato in parte dall’esterno, in parte dal mondo interiore, dagli dèi, i deva. Per questa ragione l’uomo deve dormire e sognare.
Adesso possiamo capire anche la natura del sonno e del sogno. Sognare vuol dire volgersi all’interno, verso le forze dei deva. L’uomo sogna quasi tutta la notte, soltanto non se lo ricorda. Durante il sonno, il corpo mentale è costantemente condizionato dai deva. L’uomo non ha ancora la coscienza di sé sui piani superiori, per questo non è cosciente nel sogno. Sul piano astrale, egli comincia a divenirlo. Nel sonno profondo, si trova sul piano mentale. Non ha allora assolutamente alcuna coscienza di se stesso.
È soltanto sul piano fisico che l’uomo veglia. È là che l’Io è presente; l’Io si espande sul piano fisico. L’Io astrale non può ancora svilupparsi sul piano fisico, per questo deve uscire dall’uomo a tratti. L’uomo deve dormire per permettere all’Io astrale di uscire. Gli stati di sogno e di sonno sono una ripetizione dell’evoluzione anteriore. Sul piano astrale l’uomo ha sognato; sul piano mentale ha dormito. Oggi ripete questi stati ogni notte. È soltanto quando ha acquisito dei sensi anche per gli altri piani, che non sogna e non dorme piú, ma percepisce allora delle realtà. Il discepolo in occultismo impara a percepire tali realtà sul piano astrale. Egli ha allora una realtà attorno a sé. Colui che si evolve ancora di piú ha una realtà attorno a sé anche nel sonno profondo. È allora che appare la continuità della coscienza.
Bisogna capire questa serie di concetti sottili e allora si può afferrare il perché l’uomo ridiscende, dopo essere stato sui piani superiori. Quello che non sa ancora, quello che non è ancora stato oggetto della sua conoscenza, quello che i buddisti chiamano avidya, ignoranza, lo spinge a ritornare nell’esistenza fisica. Avidya è la prima delle forze del karma. Secondo l’insegnamento buddista, esistono dodici forze del karma che spingono l’uomo a ridiscendere: le nidāna.
Quando l’uomo discende a poco a poco, appare il modo di intervenire degli effetti karmici. Avidya è il primo effetto. È il polo contrario al fatto che l’uomo arriva sul piano fisico. Il fatto che egli abbordi il piano fisico e là si leghi a qualche cosa provoca una reazione. Un’azione provoca sempre una reazione. Tutte le cose che l’uomo fa nel mondo fisico provocano anche una reazione e quindi agiscono poi in quanto karma. L’azione e la reazione, ecco la tecnica, il meccanismo del karma.
Rudolf Steiner
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner
Berlino, 6 ottobre 1905 ‒ O.O. N° 93a. Traduzione di Angiola Lagarde.