.In questa parte di città qualcuno,
non so per che ragione o stravaganza,
forse per tutelare il patrimonio
arboreo dei giardini comunali,
agli alberi piú vecchi ha dato un numero.
Ma come sempre capita in Italia
e a Roma, caput mundi, specialmente,
il progetto, se tale fu, s’è perso
nei meandri del posso-ma-non-voglio.
Cosí nei parchi nati per far crescere
tra l’erba ben rasata fiori e piante,
ora allignano incuria e vandalismo.
Se però levi l’occhio dai rifiuti,
dalle panchine rotte, dai nasoni
che non danno piú acqua, puoi vedere
i rami del duecentocinquantuno
espandersi nel cielo blu di Sèvres.
È un olmo, un leccio o un tiglio, va’ a saperlo.
Non c’entra la botanica: è un’orchestra
di foglie, ognuna con la risonanza
sua propria, non identica a nessuna
dei milioni di foglie in tutta Roma,
che poi vuol dire il mondo, inimitabile
nel frusciare, nel battere, schioccare,
se rinforza il ponente, vela e plettro.
Cosí nasce la musica del verde,
che ci solleva dolcemente in aria,
sostiene il volo dei pensieri, vibra
in accordo coi palpiti del cuore.
A quale partitura si conformi
la rapsodia, non si sa, e neppure
chi diriga il concerto. Sale occulto
dalle radici l’èmpito sonoro
e permea nervature, tende rachidi,
strumenti vegetali accorda e scioglie,
nell’unisono esteso ramo a ramo.
Potessero le nostre corde tendersi
alla Voce che viene e ci sorprende,
aride, inerti foglie, risvegliando
il nostro desiderio d’armonia.
Fulvio Di Lieto