Una, cento, mille croci son fiorite nel corso di quasi duemila anni di Cristianesimo nel Nagorno Karabakh, a mostrare l’amore intenso e profondo che questo popolo, duro e forte come le rocce delle sue montagne, nutre per il Cristo.
Sono croci cesellate nella pietra, come fossero merletti creati da mani di donna, delicate e gentili.
E quanta delicatezza nelle mani di quegli uomini, quanto amore per il Signore era nei loro cuori! Quanto grande la forza spirituale sottesa alla forza fisica, e certosina la pazienza, per scalpellare quelle croci tipicamente armene!
Sopra di loro volavano le aquile e intorno la visione dell’altopiano e delle montagne che, una sull’altra, si perdevano a vista d’occhio.
“Noi siamo le nostre montagne” è scritto sul monumento che rappresenta i Karabachi ‒ cosí vengono chiamati gli abitanti del Nagorno Karabakh. Il monumento si trova a Stepanakert, capitale della Repubblica, e fu completato nel 1967 da Sargis Baghdasaryan. Costruito in tufo, rappresenta un uomo e una donna anziani, tanto da essere conosciuto anche come “la nonna e il nonno”. È
nello stemma della Repubblica.
Ma loro sono anche quelle aquile che volano alte, dove gli altri uccelli non si avventurano; che guardano il sole, che nessuno può guardare; che rappresentano l’insopprimibile anelito alla libertà che vive nel cuore e nell’anima dei Karabachi, e porta i loro spiriti verso le plaghe celesti, immense, che ammantano di giorno e di notte le montagne.
L’aquila è il simbolo di Giovanni, autore del quarto Vangelo e dell’Apocalisse, e il popolo del Nagorno Karabakh sembra connesso al cristianesimo giovannita, come l’Armenia, alla quale appartengono come etnia.
Cosí come le loro montagne appartengono geologicamente all’Altopiano armeno, che culmina nell’Ararat, sul quale approdò l’Arca di Noè dopo il Diluvio, mentre nel cielo si disegnava per la prima volta l’Arcobaleno, a suggellare la Nuova Alleanza fra l’uomo e Dio.
Geografia e natura
Senza sbocco sul mare, il Nagorno Karabakh (o Karabakh Alto, Montuoso, Superiore) fa parte del Caucaso meridionale. In lingua armena viene chiamato Lemayin Gharabagh, o piú semplicemente Artsack. La forma russa è Nagornyj Karabakh.
Gli Azeri ‒ nome degli abitanti dell’Azerbaijan ‒ lo chiamano “giardino montuoso nero”, o “giardino nero superiore”, perché nero è il colore della sua terra, che ha nutrito e nutre da millenni le foreste, talvolta impenetrabili, che coprono i suoi monti ‒ la cui altezza media è di 950 metri sul livello del mare ‒ le coltivazioni di viti, frutteti e ortaggi nelle pianure alluvionali, dove scorrono fiumi e torrenti che da quei monti discendono.
Viene coltivato il melograno, simbolo delle forze eteriche che si rinnovano, di fecondità, prosperità e di solidarietà, fatto com’è al suo interno da tanti semi, l’uno stretto all’altro. Come la gente del Karabakh, che trova la forza di rinnovarsi, il coraggio di ricostruire dopo ogni distruzione operata dagli eventi storici, la solidarietà per agire tutti insieme per il futuro.
Storia di un popolo
Per gli archeologi questa regione fa parte dell’antica cultura Kura-Araxes, che nacque e si sviluppò tra i due fiumi Kura e Arax.
Prima dell’avvento del Cristianesimo la regione faceva parte dell’Albania caucasica e della Grande Armenia. Nel 95 a.C. fu conquistata da Tigrane II, detto il Grande, sovrano del Regno di Armenia, ma gli Albanesi del Caucaso e gli Armeni dominarono alternativamente quest’area fino all’inizio dei IV secolo d.C. Tra il VII e l’VIII secolo la regione subí l’invasione e il saccheggio da parte degli arabi. Nel IX secolo fu invasa dalle tribú turche. Nel 1913 il Karabakh passò all’Impero russo, e dopo la rivoluzione del 1917 entrò a far parte della Federazione Transcaucasica, che presto si sciolse, dividendosi in Armenia, Azerbaijan e Georgia.
In questa occasione il Nagorno Karabakh fu rivendicato sia dagli Armeni ‒ che all’epoca costituivano il 98% della popolazione ‒ sia dagli Azeri.
Dopo la conquista del potere da parte dei bolscevichi in Russia, nel 1921, per volere di Stalin il Nagorno Karabakh fu assegnato all’Azerbaijan, ma nel 1923 venne creata 1’Oblast ‒ o Distretto ‒ Autonomo del Nagorno Karabakh.
Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, alla fine degli anni Ottanta e agli inizi degli anni Novanta, la questione del Nagorno Karabakh riemerse, e la popolazione armena si mobilitò per unirsi alla madrepatria.
Nel settembre del 1991 il soviet locale, ufficio politico del Partito comunista sovietico, dichiarò la nascita della nuova Repubblica del Nagorno Karabakh, dopo che l’Azerbaijan aveva deciso di uscire dall’Unione sovietica. Fu fatto un referendum e si tennero elezioni democratiche per confermare la nascita della nuova repubblica, ma nel gennaio del 1992 l’Azerbaijan reagí militarmente per cancellare l’esito delle libere elezioni.
Nel 1993 si concluse un accordo di “cessate il fuoco”. E da quel momento sono in corso negoziati di pace sotto l’egida del Gruppo di Minsk, guidato da Russia, Stati Uniti e Francia. Gli scontri tuttavia sono continuati nel corso degli anni, sia pure senza giungere di nuovo a una guerra aperta.
Nel 2010 tuttavia la comunità internazionale rifiuta di riconoscere l’indipendenza dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh e le sue istituzioni, che risiedono nella città di Stepanakert. Di conseguenza, dall’estate di quell’anno si moltiplicano le violazioni del “cessate il fuoco”. Finché si giunge all’aprile scorso, quando l’Azerbaijan inizia una massiccia offensiva in quella che viene definita “Seconda guerra del Nagorno Karabakh”, che causa centinaia di morti. A questo punto intervengono Stai Uniti e Russia con azioni diplomatiche per placare le acque.
L’avvento del Cristianesimo
Già nel I secolo d. C. il Cristianesimo penetrò a opera di un discepolo dell’apostolo Giuda Taddeo, san Dad, che fondò il complesso monastico di Dadivank.
Protetto da una fitta foresta, sorge a 1100 metri di altezza sulla sponda sinistra del fiume Tartar, a 100 chilometri circa dalla capitale Stepanakert.
La cattedrale che fa parte del complesso fu costruita per volontà della principessa Arzu Khatun, moglie del principe Vakhtang, nel 1214. All’epoca Dadivank era dotata di una biblioteca, era un centro spirituale e culturale molto famoso ed era sede del vescovo. Nel XVII secolo tuttavia decadde, perché i Persiani deportarono coloro che abitavano nella zona.
Il monastero di Gandzasar, detto “la montagna del Tesoro”, sorge a 60 chilometri da Dadivank ed è vicino al villaggio di Vank. Fondato nel 1216, ora è sede dell’arcivescovo armeno dell’Artsakh. Protetto da alte mura, nel complesso fu edificata tra il 1216 e il 1238 la cattedrale di San Giovanni Battista. Il tamburo della cupola è istoriato da bassorilievi che rappresentano Adamo ed Eva e la Crocifissione. Nel monastero sono conservate reliquie che apparterrebbero a San Zaccaria, padre di Giovanni Battista.
Il monastero di Amaras, uno dei piú antichi luoghi del Cristianesimo, costruito agli inizi del IV secolo da San Gregorio l’Illuminatore (257 ca.-332 ca.), fu distrutto diverse volte, perché posto in una zona pianeggiante, e sempre ricostruito.
San Gregorio nacque in Armenia, ma faceva parte della famiglia degli Arsacidi, fondatori dell’Impero dei
Parti (247 a.C.- 224/226 d.C.). La Partia era compresa nell’antica Persia. La dinastia del Regno di Armenia era legata a quella arsacide.
Una curiosità: a Napoli c’è una chiesa dedicata a san Gregorio Armeno, nell’omonimo vicolo, famoso perché a Natale vi si vendono presepi completi di personaggi sacri e profani. Durante il corso di tutto l’anno gli artigiani lavorano nelle piccole botteghe del vicolo per preparare il successivo Natale.
Fondamentale nella storia del Cristianesimo armeno, San Gregorio dopo molte vicissitudini fu rinchiuso nelle segrete di un carcere per tredici anni. Secondo la leggenda, fu liberato perché il re d’Armenia, Tiridate III, a causa delle persecuzioni ai cristiani, fu colto da una malattia che nessun medico riusciva a guarire. Alla sorella del re fu rivelato in sogno che il predicatore Gregorio possedeva poteri miracolosi. Per questo il futuro santo fu liberato e guarí il re, che si convertí al Cristianesimo e ne fece la religione di Stato nel 301. Fu cosí che l’Armenia divenne la prima nazione cristiana al mondo.
Infine un cenno a un altro personaggio importante del Cristianesimo armeno, san Mesrop Mashtots (361-440 d.C.), monaco, teologo e linguista. Inventò l’alfabeto armeno, segnando cosí una tappa fondamentale della storia del popolo e della Chiesa, con l’unificazione delle stirpi di origini armene, a quel tempo divise tra il Regno di Armenia, l’Impero Bizantino e l’Impero Persiano.
Mille fortezze
La fortezza piú possente del Nagorno Karabakh è la distesa delle sue montagne che si elevano molto alte sul livello del mare, compatte e verdissime sopra la steppa che conduce al mar Caspio. Pertanto la vita in questo Paese, la cui economia è agricola e fondata sullo sfruttamento delle foreste, è rimasta quasi immutata, e cosí i suoi valori. L’industrializzazione non è riuscita a penetrare a causa delle difficoltà di trasporto.
Ma ci sono nel Karabakh anche fortezze innalzate dagli uomini nel corso del tempo, fra le quali accenniamo alle piú famose.
Presso Tigranakert c’è una fortezza fondata nel I secolo a.C. dal re Tigrane il Grande, mentre il forte di Askeran (“arsenale” in turco), l’antica Mayraberd, fu fondata nel X secolo. Ha un doppio giro di spesse mura e alte torri. Sorge vicino al fiume Karkar a quindici chilometri circa dalla capitale Stepanakert.
Shushi, grande centro culturale, spirituale, artistico, chiamata “la Parigi del Caucaso”, è una fortezza medievale costruita su uno sperone di roccia.
Ma tante sono le fortezze del Karabakh, come canta Antonia Arslan, poetessa italiana di origini armene:
Mille fortezze costruirono gli antenati,
mille voci le avvolsero.
Le ragazze danzavano fra gli archi di pietra,
cantava un menestrello canzoni d’amore.
Ma un vento di morte è sceso dagli altopiani
percorrendo le valli, scivolando sui fiumi,
tempestoso.
Galoppavano fiamme nelle valli felici,
la pietra si raggrinziva come carta al fuoco,
ortiche e genziane fiorirono fra gli archi abbandonati…
Uno splendido libro
Abbiamo raccontato tante cose sul Nagorno Karabakh, ispirate dall’opera di Graziella Vigo Karabakh, il giardino segreto, edito da Marsilio nel 2013, in cui la fotografia diventa arte.
Con il suo obiettivo ha colto le bellezze naturali, le grandi opere architettoniche e le piccole opere d’arte di questo popolo. Non solo: ha colto l’anima dei Karabachi nei loro volti.
Volti di anziani contadini, uomini e donne, in cui le rughe sono state scolpite dalle fatiche quotidiane di un’intera vita, ma tanto belli nella loro onestà, nella forza interiore che esprimono di gente che non si arrende alle sconfitte dell’esistenza.
Volti quasi imberbi di giovani soldati armeni, non ancora ventenni, venuti per difendere «la loro patria, le loro famiglie e tutti coloro che vivono su questa terra», come su Euronews 2016 ha detto Aram Yegoryan sulla guerra nel Nagorno Karabakh.
Volti di bambini dagli occhi neri, grandi e profondi, dalle lunghe ciglia, tipicamente mediorientali, tipicamente mediterranei.
Il popolo di questa terra, debole dal punto di vista militare e di conseguenza debole dal punto di vista politico dinanzi alla diplomazia internazionale, è forte solo del suo coraggio e della sua sete di libertà.
Tenace nel ricostruire case e chiese, nel far rivivere le proprie tradizioni dopo ogni distruzione, non può non essere amato da Colui che si fece debole per offrirsi al sacrificio salvifico per l’umanità.
Dal Cristo questo popolo, semplice e perseverante nella fede e nella fiducia nel futuro, e queste montagne incantevoli e incontaminate come l’Eden, sono amati. Come amata è l’Armenia. Il Signore del Karma non permetterà che “il giardino segreto” diventi un “paradiso perduto”.
Alda Gallerano