Quando da esseri umani abbandoniamo il nostro corpo fisico, dove andiamo, dove ci immergiamo veramente? Alla nostra morte, veloci come un lampo, ci immergiamo in tutte le forze sovrasensibili che plasmano il nostro corpo fisico. Possiamo in tutta tranquillità farci una rappresentazione di come tutte le forze costruttrici che, a partire dal periodo di Saturno, lavorarono al nostro corpo fisico, si dilatino all’infinito preparandoci il luogo nel quale vivremo tra la morte e una nuova nascita. Tutto questo, vorrei dire, non è che condensato nello spazio delimitato dalla nostra pelle tra la nascita e la morte.
Quando cosí ci troviamo fuori del nostro corpo fisico, facciamo soprattutto un’esperienza che è importante per tutta la successiva vita fra morte e nuova nascita. Vi ho già accennato spesso. Questa esperienza è di natura opposta all’esperienza che le corrisponde qui nella vita sul piano fisico. Qui nella vita sul piano fisico, con l’usuale conoscenza che ci è data dai sensi, non possiamo guardare indietro fino al momento della nostra nascita. Nessuno è in grado di ricordare la propria nascita, di guardare a ritroso. Sa solamente di essere nato, prima di tutto perché forse gli è stato detto, e in secondo luogo lo presume perché sono nati anche tutti gli altri, giunti sulla Terra dopo di lui; ma nessuno può avere un’esperienza reale della propria nascita.
Abbiamo l’esatto contrario con l’esperienza corrispondente dopo la morte. Mentre non è mai possibile che la visione diretta della nostra nascita ci stia davanti all’anima nella vita fisica, nell’intera vita tra morte e nuova nascita il momento della morte sta davanti all’anima, se soltanto si guarda ad esso spiritualmente. Di certo deve esserci ben chiaro che il momento della morte viene poi visto dall’altro lato. Se la morte può avere qualcosa di spaventoso è soltanto perché, per cosí dire, qui viene vista come un dissolversi, come una fine. Dall’altro lato, dal lato spirituale, guardando indietro al momento della morte, essa appare di continuo come la vittoria dello Spirito, come il faticoso liberarsi dello Spirito dal corpo fisico. Si presenta allora come l’evento piú grande, piú sublime, piú significativo.
Inoltre con questo evento si accende quella che, dopo la morte, è la nostra coscienza dell’Io. Per tutto il periodo tra morte e rinascita abbiamo una coscienza dell’Io non soltanto simile a quella che abbiamo qui nella vita fisica, ma l’abbiamo persino in un senso molto piú elevato.
Non potremmo però avere tale coscienza dell’Io se non fossimo capaci di guardare indietro incessantemente, se non vedessimo, ma dall’altro lato, dal lato spirituale, il momento nel quale ci siamo strappati con il nostro Spirito dal corpo fisico. Siamo consci di essere un Io solamente perché sappiamo: noi siamo morti, abbiamo liberato il nostro Spirito dal nostro corpo fisico. Se al di là della porta della morte non guardassimo al momento della morte, per la coscienza dell’Io post-mortem accadrebbe ciò che accade qui per la coscienza fisica dell’Io durante il sonno. Come nel sonno non si sa nulla della coscienza fisica dell’Io, cosí dopo la morte non si saprebbe nulla di sé se non si avesse presente l’istante del morire. Lo si ha davanti a sé come uno dei momenti piú sublimi, piú grandiosi.
Vediamo come già in questo caso dobbiamo prendere atto di dover pensare il Mondo spirituale in modo del tutto diverso da come si pensa qui il mondo fisico-sensibile. Se per comodità si vuole restare soltanto con i concetti che si hanno qui per il mondo fisico-sensibile, non si può proprio afferrare il Mondo spirituale in modo preciso. Infatti quel che è piú importante dopo la morte è che il momento del morire viene visto dall’altro lato. Si accende cosí dall’altro lato la nostra coscienza dell’Io. Qui nel mondo fisico abbiamo per cosí dire un lato della coscienza dell’Io; dopo la morte abbiamo l’altro lato della coscienza dell’Io. Poc’anzi ho accennato a dove si trovi in realtà la parte sovrasensibile del nostro corpo fisico dopo la morte, dove dobbiamo cercarla.
Dobbiamo cercarla nel mondo intero, in lontananze che solo possiamo presentire, in rapporti di forze, in organismi di forze, in un cosmo di forze. Tale parte fisica ci prepara il luogo attraverso il quale dobbiamo passare da una morte a una nuova nascita.
È davvero un microcosmo, un intero mondo quello che qui nel nostro corpo fisico, piccolo rispetto al mondo intero, si trova racchiuso nella nostra pelle; in realtà è solo ‘arrotolato’, se posso esprimermi alla buona; poi si srotola e riempie il mondo, ad eccezione di un piccolo spazio che rimane sempre vuoto. Quando viviamo tra morte e rinascita, con le forze che sono alla base del nostro corpo fisico quali forze sovrasensibili, veniamo veramente ad essere in tutto il mondo, salvo che in un unico luogo che rimane vuoto: è lo spazio che occupiamo qui nel mondo fisico all’interno della nostra pelle.
Sempre guardiamo a questo vuoto. Guardiamo noi stessi da fuori e vediamo in un vuoto. Ciò in cui noi guardiamo rimane vuoto, ma rimane vuoto in modo tale che ne riceviamo una sensazione fondamentale. Questo guardare non è un guardare astratto, come quando sul piano fisico si fissa una cosa qualsiasi, ma è un guardare collegato con una possente, interiore esperienza di vita, con una possente esperienza. È collegato con il fatto che grazie alla vista di quel vuoto, sorge in noi un sentimento che ora ci accompagna nel corso di tutta la vita tra morte e nuova nascita, e che costituisce molto di ciò che generalmente chiamiamo vita dell’Aldilà. È la sensazione: nel mondo si trova qualcosa che sempre e di continuo deve essere riempito da te.
Poi si perviene alla sensazione: si è nel mondo per qualcosa per cui possiamo esservi soltanto noi stessi. Si percepisce il proprio posto nel mondo. Si sperimenta di essere, nel mondo, un tassello senza il quale il mondo non potrebbe esistere. Lo si vede, quel vuoto. L’essere nel mondo come qualcosa che appartiene al mondo è quanto viene incontro perché si guarda a un vuoto.
Tutto questo è in relazione con ciò che avviene in seguito del nostro corpo fisico. Naturalmente, servendoci di descrizioni piú elementari, potremo per cosí dire sempre esporre solo in modo schematico quello che in verità nel Mondo spirituale abbisogna di immagini per quanto è reale. Ma dobbiamo prima avere queste immagini per poi innalzarci poco a poco fino alle rappresentazioni che maggiormente penetrano nella realtà del Mondo spirituale.
Sappiamo che poi per alcuni giorni abbiamo una specie di ricordo a ritroso; viene peraltro chiamato ricordo a ritroso solo in senso improprio, a ragione, ma in senso improprio, poiché nel corso di alcuni giorni abbiamo qualcosa come un quadro mnemonico, come un panorama che è tessuto con tutto quanto abbiamo sperimentato nella vita appena trascorsa. Non l’abbiamo però come un ricordo ordinario entro il corpo fisico. Un ricordo nel corpo fisico è tale che lo estraiamo temporalmente dalla memoria. Tale memoria è una forza collegata al corpo fisico; si tratta di qualcosa di pensato quando si estrae temporalmente il ricordo in questo modo. Invece il ricordo a ritroso dopo la morte è tale che tutto quanto si è svolto nella vita è contemporaneamente intorno a noi, come in un panorama, in immagini.
Per giorni viviamo, per cosí dire, in quanto abbiamo sperimentato. In immagini possenti si trova contemporaneamente l’avvenimento che abbiamo appena vissuto appunto nell’ultimo periodo precedente la nostra morte e al tempo stesso ciò che avevamo vissuto nell’infanzia. Un panorama della vita, un quadro della vita ci presenta, in un tessuto intrecciato di etere, ciò che altrimenti si era svolto in una successione temporale. Tutto quanto ora vediamo vive nell’etere.
Prima di tutto percepiamo come vivente quello che allora ci circonda, là tutto vive e tesse. Poi lo percepiamo come spiritualmente risonante, come spiritualmente risplendente e come emanante spiritualmente calore. Questo quadro di vita scompare, come sappiamo, già dopo alcuni giorni. Ma che cosa lo fa in realtà cessare? Che cosa è questo quadro di vita?
Quando appunto si indaga sull’essenza di questo quadro di vita, bisogna dire che in esso è intessuto tutto quanto nella vita abbiamo sperimentato. Ma sperimentato come? Poiché vi abbiamo unito pensieri! Vi è celato tutto quanto avevamo sperimentato pensando, avendo avuto rappresentazioni. Tanto per riferirci a qualcosa di concreto, diciamo di aver vissuto durante la vita con un’altra persona, di aver parlato con l’altra persona. Per il fatto di aver parlato con lei, i suoi pensieri hanno comunicato con i nostri. Abbiamo ricevuto amore da lei, abbiamo lasciato che l’intera sua anima agisse sulla nostra, vissuto tutto questo interiormente. Con-viviamo, appunto, quando viviamo con un’altra persona. Essa vive, e noi viviamo, sperimentiamo qualcosa di lei. Quello che sperimentiamo in lei ci appare ora intessuto nel quadro di vita. È proprio ciò di cui abbiamo ricordo.
Pensiamo ad esempio al momento in cui dieci, vent’anni fa, vivemmo qualcosa con qualcun altro. Pensiamo di ricordarcelo, ma non come ci si ricorda di solito nella vita, col grigio che sfuma nel grigio, bensí come se il ricordo fosse in noi tanto vivo quanto l’esperienza medesima, come se l’amico ci stesse davanti come era allora, quando la vivemmo.
Spesso qui nella vita siamo molto sognanti. Quello che sul piano fisico viviamo con vigore diventa ottuso, si spegne. Quando abbiamo varcato la porta della morte e lo troviamo nel quadro di vita, non è cosí spento, è presente con tutta la freschezza e il vigore con cui era presente durante la vita. Cosí si intesse nel quadro di vita, cosí lo sperimentiamo noi stessi per giorni.
Rudolf Steiner
Tratto da: R. Steiner, L’evento della morte e i fatti del dopo-morte – Conferenza tenuta a Lipsia il 22 febbraio 1916, O.O. N° 168. Libreria Editrice Psiche, Torino 1997