Perché muoiono le civiltà? Sempre per lo stesso motivo: perché l’uomo a un certo punto della sua evoluzione arriva a credere e a pretendere di sostituirsi al Creatore, non tanto contestandone l’autorità, cosa che per ovvie ragioni non ha il potere e la capacità di fare, bensí manomettendo e profanando l’Albero della Vita, agendo cioè contro se stesso. Ma per aiutarlo, con l’infinita pazienza e l’inesauribile misericordia che il Divino manifesta verso le creature umane, liberamente destinate a divenire la Decima Gerarchia angelica, il Creatore assesta colpi di timone alla derivante navicella dell’umanità e la rimette in rotta. Paterne scoppole che, dall’Eden in poi, picchettano la storia umana. Intere civiltà si sono dissolte per riportare in assetto il periclitante bastimento dell’uomo che smarrisce la bussola e attira su di sé tempeste apocalittiche come quella del Diluvio, o del fuoco annichilente di Sodoma, o del magma dei vulcani, quando la febbre della Grande Madre Terra arriva all’apice del parossismo.
Una di queste ricorrenti congiunture avvenne nel Mediterraneo, intorno agli anni 1450 ca a.C. In auge la civiltà minoico-cretese, che aveva il suo epicentro nella grande isola dalle Cento Città, che Anchise indicò quale meta finale e fatale dei Troiani guidati da suo figlio Enea. Il vecchio confondeva Creta con la vera destinazione prescelta dal fato, quell’Italia da cui si era mosso anni prima Dardano, il progenitore della stirpe latina, fondatore di Troia. Civiltà splendida, definita egea poiché, oltre a Creta, comprendeva la costellazione di isole e terre bagnate dal Mare Egeo, che dallo Ionio arrivava ai lidi asiatici. Vi fiorivano popolose città dagli strani idiomi, empori fiabeschi e famosi santuari, nei quali si celebravano culti a divinità solari e misteriche. Divini mandamenti in libri sacri, decaloghi, tavole, sigilli e codici fissavano modi, tempi e luoghi in cui l’uomo aveva la facoltà di comunicare con le forze e le divinità preposte alla creazione e alla conservazione della vita in tutto l’ordine cosmico. E l’uomo vi si atteneva, ne aveva timore e rispetto.
Finché non vennero (o furono mandati?) gli Incursori, e allora nel cuore dell’uomo il sacrilegio e l’idolatria presero il posto della venerazione e del sacro encomio. Cosí in Egitto le folle agitate dai demoni tellurici irruppero nei Sancta sanctorum dei templi per oltraggiarvi i sacerdoti, insozzarvi gli arredi sacri, rubarvi i libri delle formule e procedure misteriche nella insana credulità che quei testi contenessero la chiave dell’immortalità. A Creta, il culto antropomorfico della Grande Madre venne sostituito dalla zoolatria del Dio-Toro, e la colomba, primitivo attributo della dea protettrice della fecondità umana espressa dalla maternità e della fertilità della terra, venne sostituito, nel periodo della decadenza, dal serpente. La ierofania delle divinità solari venne sopraffatta dal culto del Minotauro, l’esito mostruoso dell’unione carnale tra una donna (la regina Pasifae) e un toro, animale sacro al dio.
Ecco allora la nemesi: il vulcano Thera, oggi Santorini (ciò che resta del vulcano) saltò in aria: un boato che produsse uno tsunami che toccò e stravolse le coste dell’Asia Minore, spingendosi fino alle propaggini del Tauro in Turchia e all’interno dell’Egitto. In piú, ceneri e lapilli roventi, nubi infuocate sospinte da venti furiosi portarono morte e distruzione in tutto il Mediterraneo orientale, sconvolgendo la topografia della regione, fino a cancellare l’esistenza di molte isole dell’Egeo e di varie città dell’Asia Minore. L’acqua, il fuoco è il magma a ridestare l’uomo dal suo disordine astrale, dallo smarrimento dell’Io e non ultimo dalla sua sovrana stupidità.
Fu questa mancanza di acume e di buon senso a connotare tutte le rivolte umane contro il divino e in opposizione alle leggi, misure e consonanze regolanti la natura e la materia. La storia ne è debordante. La cosiddetta “primavera araba”, orchestrata dal globalismo finanziario apolide, ha dato il colpo di grazia al progetto, caldeggiato soprattutto dall’Italia e dall’Egitto, garanti esterni la Libia di Gheddafi e la Tunisia, di riportare il Mediterraneo alla sua importanza strategica ed economica cosí come l’aveva avuta, dal Neolitico fino al Mare Nostrum latino, con i Cretesi, i Fenici, Roma e le Repubbliche Marinare. Poi venne Lepanto, il primo scossone alla civiltà mediterranea per mano della nascente talassocrazia atlantica. Non casualmente, l’Inghilterra si defilò, per brexit genetico, alimentato dalla Riforma, dal blocco cristiano cattolico, ispirato e sostenuto da Spagna, Austria, papato e, con differenti impegni e propositi, dalle galee di Amalfi (Cavalieri di Malta), Pisa, Genova e della Serenissima. Un attentato dinamitardo alla chiesa copta del Cairo, l’improvvisa, totale mancanza di farina a Tunisi, altri vari episodi diffusi ad arte per catalizzare i sopiti risentimenti delle masse arabe, ed ecco l’incendio. Per sedare il quale ci sarebbe voluta l’acqua del buonsenso politico e non la benzina del risentimento discorde che forze occulte, prossime e remote, spargevano dal Marocco alla Turchia. Saltarono gli accordi speciali, dai collegamenti aerei e navali allo sfruttamento delle risorse petrolifere, e boicottata l’istituenda Unione dei Paesi Mediterranei che, innestandosi all’Unione degli Stati Africani, promossa e coordinata dalla Libia, sarebbe servita da trait d’union tra l’Africa uscita dal colonialismo e l’Europa in divenire, unendo alle risorse umane e naturali del Continente Nero il know how di una civiltà, l’europea, impegnata a riciclare il suo umanesimo materialistico, incubatrice storica di un’etica di sopraffazione e relativismo, in umanitarismo risolto in fraterna, gratuita oblazione.
Ma la ‘primavera’ non si è trasformata in estate bensí in un glaciale inverno, come avevano del resto preventivato le forze occulte che vedono nell’inevitabile asse paritetico Europa-Africa la minaccia peggiore per i loro piani di sistemazione del mondo secondo comparti e gradi agenti nei loro interessi. E il rinnovato panarabismo, catalizzando le pulsioni di riscatto africane, costituiva una tale minaccia. Andava perciò ‘spuntato’ delle armi economiche e decapitato delle teste pensanti le nuove ideologie.
Teste che erano tuttavia riuscite a rimediare, dall’Iraq al Marocco, i danni causati cento anni fa dall’accordo Sykes-Picot, con il quale Inghilterra e Francia si divisero le spoglie dell’Impero Ottomano. Nasser, Saddam Hussein, Sadat, Burghiba erano riusciti a compattare e disciplinare la galassia delle realtà islamiche nel segno della comune radice ideologica e dottrinale. L’esito della ‘spuntatura’ delle teste arabe pensanti fu la totale esautorazione degli apparati politici e soprattutto militari dei paesi da esse governati, con la conseguente destabilizzazione in chiave anarchica di tutto il Medio Oriente, in particolare della regione costiera del Magreb. Cadeva il vallo dell’antica Gemellae romana, che aveva separato per secoli la civiltà mediterranea dal deserto e dall’ignoto oltre, indicato sulle carte con la frase “hic sunt leones”. E quei leoni in forma umana dilagarono dall’Africa profonda, superarono il deserto e presero il mare verso gli approdi piú vicini, che si dimostravano anche i piú accoglienti. Era saltato il tappo della deterrenza fornita dall’autorità libica, da cui traevano spunti operativi tanto i tunisini quanto l’Egitto e il Marocco, ispirati dalla forte influenza che aveva il Colonnello in seno al Congresso africano. Con la sua cruenta uscita di scena, ha preso corpo e moto il massiccio, inarrestabile flusso di esodati soprattutto dai paesi piú popolosi del Centro Africa, come Senegal, Nigeria, Burkina Faso, Mali, Chad, Sudan e Somalia verso l’Europa. Con una spiccata predilezione per i lidi nostrani della Sicilia, della Calabria e della Sardegna, come del resto avevano fatto in tempi remoti Focesi, Punici, Egei e Cabiri. Il braccio di mare che separa Capo Bon da Trapani lo hanno percorso per secoli anche i pirati barbareschi con irrisorie feluche e i corallari e tonnari siculi sulle paranzelle a vela latina.
Nulla di nuovo quindi sotto il sole del Mediterraneo. Il gurgite vasto di Virgilio soltanto uno spauracchio mitico-letterario. Se minimo è il rischio della traversata per passare in poche ore dal continente nero a quello ormai grigio della civiltà europea, grande e varia è invece la messe di ipotesi formulate dagli esperti, una vera cabala sulle cause antropologiche e geopolitiche di questo biblico svuotamento della fascia centrale dell’Africa. Privilegiate le ipotesi delle perduranti, ataviche faide tribali, che un ottuso, avido colonialismo ha esasperato collegando i conflitti locali ai perversi giochi delle conflittualità politiche globali. E ciò per vieppiú accrescere la dipendenza di realtà sociali e nazionali in formazione dalle istituzioni universali gerenti la finanza, le risorse, gli scambi culturali. Ma queste ipotesi non possono giustificare il traffico di esseri umani tra l’Africa profonda e l’Europa nella misura e nei modi in cui il passaggio di queste bibliche moltitudini avviene. I sedicenti esperti parlano di fuga dalle guerre, dalle epidemie, dalle torture. Ma tali erano le condizioni dei popoli centroafricani già dagli anni delle partenze da Goreme dei vascelli inglesi, francesi e spagnoli sovraccarichi di schiavi destinati al lavoro coatto nelle piantagioni del Nuovo Mondo. I Kunta Kinte del Sei-Settecento non avevano, per ragioni storiche, le motivazioni ideologiche e animiche che guidano le odierne masse di migranti dall’Africa subsahariana alle coste del Mediterraneo. Attribuire la sopportazione dei disagi e dei rischi anche mortali dell’esodo alla fuga da situazioni sociopolitiche insostenibili, cioè a ragioni di pura materialità, stringe il punto di vista alla corta distanza.
Sono in gioco pulsioni animiche ben piú complesse, che un osservatore attento dei moventi karmici della storia umana rileva nella loro vera essenza. Durante l’anno appena trascorso sono morte 5.000 persone nel durissimo viaggio dai paesi centroafricani all’Europa. Prima attraverso le foreste, poi con la traversata del Sahara, infine nelle onde del Mediterraneo. Una dimensione, il mare, di cui molti dei transfughi neppure avevano conoscenza. L’arduo percorso affrontato col miraggio di una terra promessa che i media, specie la TV con film e spot commerciali, assicurano sia alla portata di tutti. Chi ha interesse a spacciare chimere e miraggi per nascondere una realtà quotidiana senza sconti? Ma naturalmente gli stessi soggetti animici che nel 1713 firmarono il Trattato di Utrecht, in Olanda, dando a Inglesi e Olandesi il monopolio della tratta degli schiavi dall’Africa alle Antille e agli Stati americani del Sud Est, come la Florida, la Georgia, la Virginia e l’Alabama. Nelle piantagioni di cotone, tabacco e canna da zucchero i giganti color ebano del Benin, del Togo e del Niger dovettero piegarsi alle legge dell’utilitarismo commerciale e finanziario dei malefici nani di Wall Street. Si calcola che alla fine del Secolo dei Lumi ben 100 milioni di africani venissero razziati dagli Arabi e venduti ai negrieri per la tratta.
Certo, cambiano i sistemi, gli scopi e le destinazioni del commercio di carne umana. L’Africano viene blandito, lusingato, persino finanziato, poi instradato, raccolto, vestito, calzato e cyberizzato per farne poi uso in mansioni pro bono, a costo zero, e soprattutto creando ad arte lo status di clandestinità che espone al ricatto perpetuo chi ne è bollato senza scampo. Che ci sia, per dirla con i complottisti, una lobby dei poteri forti che predica bene ufficialmente l’impegno ad arginare se non a eliminare del tutto l’arrivo in Europa degli esodati di varie provenienze, ma soprattutto dall’Africa, e poi razzola male fornendo loro anche il mezzo di trasporto per traghettare in sicurezza, è provato dall’episodio che ha avuto come protagonista una quotata diplomatica.
La console onoraria francese a Bodrum in Turchia, ha venduto regolarmente gommoni ai migranti che dal porto turco volevano raggiungere le coste e isole greche, e persino, pare, anche le coste pugliesi e calabre. La donna si è giustificata dicendo che gli affari sono affari e lei, si dà il caso, possiede un negozio di nautica. Da come vanno le cose con i migranti si direbbe che quello della console francese a Bodrum sia l’’etica’ che ispira e anima il comportamento di tanti umanitaristi per i quali “gli affari sono affari”.
Gli stessi falsi samaritani che quando si presenta una verace opportunità di risolvere alla radice il problema africano si defilano, quando non ne boicottano la messa in pratica. Il 2 agosto 1960 si riunirono a Parigi duecento scienziati convenuti da tutti i paesi della Terra. All’ordine del giorno la possibilità di fertilizzare tutta la fascia desertica del mondo, le famigerate “terre della fame”, il 30 per cento dell’intera superficie terrestre, una distesa di sabbia e ghiaie modellate dal vento, il reg, che va dal Marocco all’India. Si trattava, dissero gli esperti, di portare in superficie i depositi di acqua fossile giacenti a profondità variabili da poche centinaia di metri a due o tre chilometri di profondità: un vero oceano di acqua che, opportunamente demineralizzata potrebbe riportare ad esempio il Sahara al tempo in cui, al posto delle sabbie e pietraie roventi, c’erano laghi e fiumi, savane e pascoli, con elefanti e giraffe, leoni e coccodrilli, e la temperatura, grazie alla ricca vegetazione, non superava i 26 gradi contro i 45 segnati in seguito. Gli abitanti di quel paradiso avevano dipinto e inciso sulle pareti rupestri e nelle grotte sagome di donne e uomini liberi, con animali aggruppati in mandrie per l’allevamento. Insomma, una terra di gente prospera e felice, illustrata mentre danzava, amava e onorava le divinità.
Ai partecipanti al convegno parigino indetto dall’Unesco venne poi detto che il costo del progetto di estrarre dal ventre della Madre Terra il sangue fossile che avrebbe potuto risanare il deserto sarebbe costato 20 lire al metro cubo. Il ritorno della spesa avrebbe sfamato milioni di africani consentendo di coltivare frutta, cereali e verdure dove le dune e il ghibli permettevano di vivere solo a scorpioni e serpenti. Il progetto di redimere i deserti venne alla fine bocciato per la cifra di 20 lire al metro cubo.
Uno degli intervenuti al congresso avallò la bocciatura dicendo: «Il Sahara non sarà mai un campo di lattughe!».
Ma un piú saggio convenuto al meeting di Parigi profetizzò: «Fino al 2020, l’Italia e le altre nazioni bagnate dal Mediterraneo saranno invase da 128 milioni di africani, se non saranno recuperate le regioni desertiche dell’area subsahariana, consentendo alle popolazioni locali di dissetarsi e di produrre autonomamente il cibo di cui hanno bisogno».
Il convegno dell’Unesco a Parigi del 2 agosto 1960 si concluse con un nulla di fatto per l’irrisoria cifra di 20 lire al metro cubo d’acqua. Evidentemente il pragmatismo scientifico razionale della maggioranza dei partecipanti non se la sentí di avallare una tesi, quella della terra scrigno di acqua praticamente purissima e inesauribile, che sapeva piú di sogno utopico che di solida e sostenibile realtà.
Tuttavia le idee, per quanto ardite, finiscono col fermentarne altre, suscitando l’interesse su un certo argomento di cui si ignoravano i termini e l’esistenza. Il sangue della terra, quello che avrebbe salvato l’umanità, come si era creduto per anni, non era il petrolio, il nero, vischioso, fetido caos della dissoluzione millenaria della materia, ma la pura, cristallina, salutare acqua che, previdente come tutte le madri, la Terra aveva tenuto in serbo per l’eventualità che la follia dei suoi snaturati figli, incauti apprendisti stregoni, la riducesse a un pianeta strinato dalla magia nera degli orrori chimici.
Allora qualcuno si interessò dell’acqua nascosta dalla Madre Terra e si ricordò di chi ne aveva scritto in maniera poetica e profetica. Come Giulio Verne, che nel suo Viaggio al centro della Terra descrive un vasto bacino sotterraneo in cui vivono dinosauri. Fantasia che però ha trovato riscontro nella realtà: si tratta di un immenso strato di rocce imbevute di molecole di H2O. Ebbene gli scienziati hanno scoperto che negli strati profondi del mantello terrestre, tra i 480 e i 650 chilometri di profondità, c’è una fascia piena d’acqua ad altissima pressione. Questo immenso deposito avrebbe, nei millenni di evoluzione del nostro pianeta, scambiato molecole d’acqua con la superficie creando gli oceani. Sono i famosi movimenti convettivi della Terra, ovvero ci sono strati rocciosi che si muovono verso l’alto e altri che sprofondano, costituendo la concausa della deriva dei continenti. Il processo si svolge in senso alternato, con le rocce profonde che cedono molecole d’acqua agli oceani in superficie quando questi ne fanno difetto e al contrario ne assorbono quella in eccesso, come se fossero una spugna regolatrice dei flussi idrici del nostro pianeta.
Gli scienziati ipotizzano che questo meccanismo di regolazione abbia preservato nel tempo l’equilibrio degli oceani e regolato in difetto il fenomeno del riscaldamento globale tendente invece a salire.
Quanto alla profezia dell’invasione di milioni di migranti dall’Africa entro il 2020 i fatti e i dati sembrano giustificarla in pieno. Ma essa è servita forse da stimolo a ricercatori, gruppi di studio privati e governativi per dare credito e seguito al progetto di utilizzare l’oceano di acqua sotto il Sahara per ricreare le condizioni di cui godeva la regione millenni fa.
Se ciò venisse realizzato, non solo l’Africa verrebbe risarcita dei danni causatile per anni dalla predazione coloniale europea ma potrebbe costituire un’opportunità di ripresa socioeconomica a una realtà, quella di una Europa a corto di risorse non soltanto materiali ma piú ancora di una moralità compromessa dal relativismo e dagli idealismi svenduti alle ideologie.
Impegnarsi nel recupero del deserto potrebbe significare sanare l’aridità spirituale di molti che nei derivati e nelle corruttele hanno creduto di trovare i valori barattati per l’oro dei folli. Una follia che sembra aver preso non solo il semplice uomo della strada ‒ che sviluppa complessi di colpa nei riguardi di un fenomeno epocale di portata planetaria e si autoflagella nel rimorso, rendendosi disponibile a qualunque sacrificio, obolo e disagio l’abnorme flusso migratorio possa arrecargli ‒ ma piú ancora essa contagia chi ha l’autorità per trovare eque soluzioni del problema. Come chi propone di destinare i paesi sabini e abruzzesi spopolati dal recente sisma ai migranti, creandovi dei ghetti che recherebbero offesa sia a chi deve cedere lo spazio vitale sia a chi deve accedervi per imposizione legalizzata. Quando poi non si arriva alla bizzarria di Naguib Sawiris, un miliardario egiziano che ha chiesto al governo greco di Tsipras di acquistare due isole disabitate dell’Egeo dove accogliere in pianta stabile i profughi africani e mediorientali: una sorta di repubblica talassocratica da assumere quale futuro modello di sistemazione dei migranti. Ma una soluzione che sradica dal luogo natío non è una buona cosa, poiché insieme ai corpi migrano e si disperdono le anime, identità si annullano, civiltà antiche periscono. I popoli hanno impiegato millenni ad aggregarsi per somiglianze d’anima nel luogo piú consono a realizzare pienamente il progetto della propria specifica, irrinunciabile identità spirituale, ovvero l’Io di popolo.
L’uomo di una sola taglia imposto dalla globalizzazione sta per finire. Si prospetta l’uomo dell’anima cosciente, la sola dimensione nella quale l’individuo realizza il proprio Sé. Tutto il resto è vento, sabbia, miraggio, pretesa del primordiale Nemico di possederci e cosí trionfare.
Leonida I. Elliot