E seu sai ren dir ni faire,
ilh n’ajal grat, que sciensa
m’a donat, et conoissensa,
per qu’eu suis gais e chantaire…
E s’io nulla so dire né fare,
a lei son grato, ché scienza
m’ha donato, e conoscenza,
per ch’io son gaio e cantore…
Con questi versi Peire Vidal (1175-1205), famoso trovatore provenzale, celebra Aliénor o Eleonora d’Aquitania.
Aliénor – che in lingua d’oc significa Alia Aénor, “l’altra Aénor”, dal nome della madre Aénor, figlia del visconte di Châtellerault – nacque a Bordeaux nel 1122. Suo padre fu Guglielmo X, duca di Aquitania, duca di Guascogna e conte di Poitiers.
Aliénor è la forma occitanica del nome francese Elléonore, gli inglesi la chiamano Eleanor ed Ellinor, Shakespeare Elinor.
Primogenita di Guglielmo X, ebbe un fratello che morí bambino e una sorella, Petronilla. Perciò, prima di morire, il padre la designò come erede di tutta la parte che oggi costituisce il Sudovest della Francia, ponendola, in base alla consuetudine, sotto la protezione del re, il capetingio Luigi VI.
Gli avi di Eleonora
Tra i predecessori di questa grande duchessa-regina, molto originale, a dir poco, è la figura del nonno, Guglielmo IX (Guilhem, in occitanico), un personaggio importante dei suoi tempi, essendo un fine politico e uno straordinario guerriero, che partecipò alla I crociata al fianco di Goffredo di Buglione. Di carattere impulsivo e passionale, ebbe conflitti con vicini e vassalli, oltre a essere un impenitente donnaiolo.
Le cronache del tempo riferiscono che a Niort, dopo aver ordinato la fondazione di vari monumenti religiosi, fece costruire una lussuosa “casa di piacere”, della quale fu il primo cliente. Questo suo comportamento provocò scontri con la Chiesa, che culminarono nella scomunica, quando fece rapire, con il consenso di lei, la viscontessa di Châtellerault, Dangerosa, suocera del figlio Guglielmo e nonna di Eleonora. Non contento del rapimento, l’aveva installata nella Torre Maubergeon del castello ducale, dopo aver estromesso dal castello la moglie legittima, Filippa di Tolosa. La viscontessa venne cosí soprannominata “la Maubergeonne”.
Mescolava in sé misticismo e sensualità, al punto che soleva invocare san Giuliano perché lo aiutasse per la felice conclusione delle sue imprese amorose. Fu il primo trovatore e per antonomasia fu chiamato “il Trovatore”. Oltre a canzoni serie, compose, mentre partecipava alla I crociata, anche canzoni oscene.
Questo fu il personaggio, il quale tuttavia, nel corso del tempo e avvicinandosi al momento del giudizio divino, non mancò di emendarsi.
Il padre di Eleonora, Guglielmo X, detto il Tolosano, perché nato a Tolosa nel 1099, non era come il suo predecessore, ma anch’egli ebbe diverbi con la Chiesa per ragioni diverse. Aveva infatti riconosciuto come papa Anacleto II, nato Pietro Pierleoni (Roma 1090 – 1138), un benedettino eletto al soglio pontificio nel 1130, contro Innocenzo II, legittimamente eletto e sostenuto da Bernardo di Chiaravalle.
La posizione del duca scatenò le proteste del clero nei suoi stati e quando Bernardo si recò da Guglielmo per convincerlo a riconoscere l’autorità di Innocenzo II, l’Aquitano rovesciò l’altare sul quale il santo aveva detto messa e poi si scagliò su di lui con tale violenza che Bernardo si salvò fuggendo a gambe levate.
La famiglia di Aquitania era alquanto anticlericale, e lo fu anche Eleonora. Ma, soprattutto, la grande nobiltà mal tollerava le ingerenze della Chiesa nelle sue decisioni, specialmente quella occitana.
Diverso era l’atteggiamento dei Capetingi, che seguivano la politica di Carlomagno, il quale aveva stabilito ottimi rapporti con papa Leone III, che lo aveva incoronato imperatore del Sacro Romano Impero nel giorno di Natale dell’800. Carlomagno divenne cosí il detentore del potere temporale e il difensore della Chiesa, il papa conservò il potere spirituale.
Guglielmo X, alla morte della prima moglie, avvenuta nel 1130, sposò la figlia del conte di Limoges, Emma, ma ne fu tradito apertamente. La delusione che patí fu tale che decise di recarsi in pellegrinaggio a Santiago di Compostella, dove morí. Si disse però che avesse inscenato il suo funerale e si fosse ritirato a Gerusalemme, dove terminò la sua vita in dedizione totale a Dio, tanto che fu chiamato “il Santo”.
Questi furono gli avi piú prossimi di Eleonora, che visse l’infanzia e l’adolescenza tra violenze, colpi di testa e raffinata cultura.
Come il padre, Eleonora amò l’arte, la bella architettura e la letteratura trobadorica, che favorí ospitandone i poeti nelle sue corti.
La giovane duchessa
Prima di partire per Santiago, Guglielmo X affidò le sue figlie al fratellastro Raimondo di Poitiers (ca. 1115-1149), il quale aveva appena qualche anno in piú di Eleonora, e si racconta che passassero molto tempo insieme. Si dice anche che si siano confessati l’amore reciproco e che fu la stessa Eleonora a escludere che diventassero amanti, dal momento che non potevano sposarsi a causa dello stretto vincolo di sangue. La loro evidente affinità elettiva fece nascere maldicenze e pettegolezzi, ai quali sembra che i due giovani non abbiano fatto molto caso, ma segnò l’inizio di quella reputazione che aveva il lezzo dello scandalo e che seguí Eleonora per tutta la vita.
Frattanto il re di Francia, Luigi VI, era molto propenso al matrimonio dell’ereditiera di Aquitania con suo figlio, il futuro Luigi VII, che aveva associato al trono – poiché a quell’epoca la monarchia non era ereditaria, essendo il re primus inter pares – e affrettò le nozze.
Cosí il 22 luglio 1137, nella cattedrale di Sant’Andrea a Bordeaux, Eleonora, di quindici anni, e Luigi, di 16, senza essersi mai visti prima, furono uniti in matrimonio.
La nuova regina di Francia, che con la sorella Petronilla aveva ricevuto dai migliori precettori un’educazione accurata, aveva imparato il latino, la lingua del Nord, cioè la lingua d’oïl, e probabilmente altre lingue. Nei suoi domíni già nell’infanzia e nell’adolescenza aveva frequentato i trovatori. La corte di Poitiers, luogo di frontiera tra la lingua d’oc e la lingua d’oïl, aveva ospitato poeti, bardi armoricani o bretoni insulari, oltre a musulmani venuti dalla Spagna.
Accadde cosí che alla corte parigina invitò i suoi amici letterati e artisti, per alleggerire l’atmosfera di austerità che gravava sulla città e sulla stessa corte. Questo non fu ben visto dai parigini né dalla Chiesa, che esercitava una notevole influenza sulla parte capetingia della Francia, che non era anticlericale come lo erano invece gli Aquitani e in generale i sudditi di Eleonora, di sostrato celtico, che non riuscivano a dimenticare la grande tradizione mitologica irlandese e arturiana.
La giovane regina aveva ereditato dagli avi la sensualità. Lo storico anglosassone Guglielmo di Newbury, che visse nella seconda metà del 1100 ed era molto bene informato, riferisce che Eleonora era “focosa”, e il giovane re fu conquistato dalla bellezza, dal fascino e dalla personalità della sua sposa, tanto da dimostrarsi in seguito molto geloso di lei. Questa sensualità si rivelava nell’amore per la bellezza dovunque e comunque si manifestasse: nell’arte figurativa, letteraria e musicale e in tutto quanto potesse suscitare e favorire la gioia di vivere. Fu cosí che gli abiti divennero raffinati, specialmente quelli femminili. Venivano usate stoffe preziose e colorate, mentre i corpetti, generosamente scollati, si stringevano al busto.
Sulle tavole comparivano cibi molto speziati e si faceva largo uso di frutta secca e zenzeri canditi; il tutto importato dall’Oriente e rivenduto dai mercanti veneziani alle corti e a chi potesse permettersi questi lussi. Le crociate e la creazione di regni cristiani lungo le coste del Mediterraneo orientale avevano fatto molto per favorire il commercio fra Oriente e Occidente.
D’altronde ad una occitana, Parigi, con la sua rude parlata e il suo modo di vivere, privo di bellezza e di gioia, appariva barbara. Cosí, i trovatori cantavano il fin’amore agli uomini del Nord, ai quali interessavano la caccia e la guerra, mentre i trovieri – poeti in lingua d’oïl, quindi essi stessi del Nord della Francia – cantavano le avventure del ciclo arturiano o componimenti allegri e satirici, per divertire il pubblico degli ascoltatori. Eleonora amava e partecipava alle feste popolari, come accadeva in Occitania. Inoltre in quel-l’epoca, il XII secolo, in cui fioriva la casta dei cavalieri, venivano indetti tornei ai quali la regina presiedeva e a lei si rivolgeva l’omaggio degli sfidanti.
La seconda crociata
Durante le feste pasquali del 1146, Bernardo di Chiaravalle tenne, nella basilica di Santa Maria Maddalena a Vèzelay, in Borgogna, un infiammato discorso che invitava la nobiltà francese a partire per una seconda crociata. Luigi VII aderí subito all’idea, e a lui si aggregarono molti nobili, specialmente i cavalieri, figli cadetti di famiglie aristocratiche che vedevano nella crociata una possibilità per conquistare un feudo o quantomeno dei ricchi bottini.
Eleonora decise di accompagnare il marito, e su questa decisione molto si disse. Qualcuno malignamente sostenne che la regina, avendo ormai sedotto tutti i cavalieri del regno, volesse ora sperimentare il suo potere di seduzione sui cavalieri d’Oltremare… Ma la verità è molto probabilmente in ciò che scrisse Guglielmo di Newbury: «Quando questa famosa spedizione stava per partire, il re, animato da furiosa gelosia verso la sua giovanissima moglie, ritenne di non doverla lasciare a nessun patto, ma che conveniva che ella lo accompagnasse alla guerra. Il suo esempio fu seguito da molti altri nobili, che condussero seco le proprie spose: e come queste non potevano fare a meno delle loro cameriste, avvenne che un gran numero di donne vivesse nel campo cristiano che avrebbe dovuto essere casto: da qui lo scandalo che dette il nostro esercito».
L’esercito crociato attraversò tutta l’Europa centrale fino a Bisanzio, dove fu possibile riposare grazie all’invito dell’imperatore Manuele Comneno, personaggio colto ma non irreprensibile, dal momento che cedeva volentieri all’ubriachezza e intratteneva apertamente una relazione con la nipote Teodora. Inoltre, riusciva a mantenere l’integrità del suo impero grazie agli intrighi che tesseva con gli stati musulmani.
Venne perciò il giorno in cui i consiglieri di Luigi VII misero in guardia il re, affinché l’esercito crociato fosse allontanato da Bisanzio. E cosí avvenne, ma in Paflagonia – regione centro-settentrionale dell’Anatolia, affacciata a Nord sul mar Nero – presso Cadmo l’esercito cristiano fu attaccato dai turchi e sbaragliato, mentre re Luigi per poco non venne fatto prigioniero e ucciso.
La disfatta fu dovuta all’imprudenza di Goffredo di Rancon che, al comando dell’avanguardia, si era allontanato troppo in fretta dal resto dell’esercito. Ora Goffredo era un cavaliere di Saintonge, quindi vassallo di Eleonora, e non ci volle molto perché si accusasse la regina di avere lei stessa dato l’ordine di allontanarsi: una calunnia evidente e risibile.
Tuttavia, fu proprio nel corso della seconda crociata che si evidenziò la prima grave frattura nella coppia di Francia. Eleonora già da qualche anno diceva di “avere sposato un monaco e non un uomo”. Inoltre, durante il concilio di Sens (1140), riunito per condannare le tesi, considerate eretiche, del filosofo e teologo Pietro Abelardo, il venerabile Giovanni di Etampes, un vegliardo molto rispettato, dichiarò che era Eleonora la grande aquila che, secondo le profezie di Merlino, avrebbe disteso le sue ali su Francia e Inghilterra.
La sconfitta di Cadmo fu la prova che non era possibile fidarsi delle guide bizantine, perciò l’esercito crociato riparò velocemente via mare nel principato di Antiochia, dove, il 19 marzo 1148, Luigi ed Eleonora vennero accolti da Raimondo di Poitiers, divenuto per matrimonio erede di quello stato crociato.
Infine, dunque, lo zio e la nipote si rividero, e Raimondo cercò, con il pieno appoggio di Eleonora, di convincere Luigi a non proseguire per Gerusalemme prima di essersi impadroniti delle fortezze turche di Hama e Aleppo, che costituivano un grave pericolo per Antiochia e per tutti gli stati cristiani del Medio Oriente. Luigi voleva proseguire a ogni costo per Gerusalemme, dal momento che aveva partecipato alla crociata come fosse un pellegrinaggio verso la città “tre volte santa”, ma Eleonora rifiutò di seguirlo. I toni della discussione salirono, e a questo punto fu chiaro che la seconda crociata era terminata, e con essa anche il matrimonio della coppia regale.
Naturalmente la maldicenza investí ancora una volta Eleonora, accusata di aver intrattenuto ad Antiochia una relazione con Raimondo, l’amore della sua adolescenza. Giovanni di Salisbury, lo storico piú imparziale, scrisse: «La familiarità del principe [Raimondo] con la regina, e i suoi frequenti colloqui con lei, quasi ininterrotti, fecero nascere sospetti nel re».
Era il 1149, ma il divorzio non avvenne subito. Il papa Eugenio III li convinse a riconciliarsi, tanto che nel 1150 nacque una seconda figlia, Alice, ma l’11 marzo 1152 si riuní un sinodo a Beaugency, nella regione del Centro, e con la benedizione papale venne annullato il matrimonio tra Eleonora e Luigi per consanguineità. L’Aquitania e la Guascogna venivano restituite a Eleonora.
Il secondo matrimonio
La duchessa, che si era messa in viaggio verso Poitiers, subí due tentativi di rapimento: da parte del figlio del conte di Champagne e da parte del fratello di Enrico Plantageneto, duca di Normandia, che volevano entrambi impadronirsi dei suoi domíni. Sentendosi in grave pericolo, Eleonora, giunta a Poitiers, inviò a Enrico una lettera, nella quale gli chiedeva di sposarla.
Il duca di Normandia era di undici anni piú giovane di Eleonora, ma la madre di lui vedeva di buon occhio l’unione, perché avrebbe ampliato di molto i possedimenti di Enrico in terra francese. Cosí, sei settimane dopo l’annullamento del precedente matrimonio, il 18 maggio 1152, giorno di Pentecoste, fu celebrato il secondo matrimonio.
Nel 1154 Enrico fu incoronato re d’Inghilterra nell’abbazia di Westminster con il nome di Enrico II, e con lui fu incoronata anche Eleonora.
Sebbene giovane, Enrico era un uomo fuori del comune: virile e mai stanco, amava la caccia e la guerra, ma era anche colto. Conosceva il latino, l’occitano e altre lingue, e per tutta la vita fu un mecenate di artisti, letterati e trovatori, dei quali amava circondarsi. Sotto questo aspetto Eleonora trovò quell’affinità con il secondo marito che le era mancata nel primo matrimonio. Enrico, però, aveva un carattere molto autoritario e delle crisi d’ira di notevole violenza. Non fu fedele alla bellissima moglie, della quale tuttavia subiva il fascino, e che gli diede otto figli.
Il celtismo di Eleonora ed Enrico
A differenza della Francia di Luigi VII, l’Aquitania, il Poitou, l’Angiò, la Guascogna e la Normandia, insomma tutti i territori soggetti all’autorità di Eleonora ed Enrico, non erano devoti al papato romano, ma piuttosto profondamente connessi alla tradizione e alla cultura celtiche. Pertanto, la predilezione di Enrico per il celtismo non ebbe origine da un calcolo politico per mantenere uniti i suoi possedimenti continentali con l’Irlanda e l’Inghilterra.
I Celti, indoeuropei, toccarono il loro apogeo tra la seconda metà del IV secolo e la prima metà del III secolo a.C. In quell’epoca la lingua e la cultura celtiche costituivano l’elemento piú diffuso e caratteristico dell’intera Europa, vasta e ininterrotta area che andava dalle isole britanniche all’Italia settentrionale e dalla penisola iberica fino al bacino del Danubio e all’Anatolia. I Celti costituivano dunque un’unità culturale e linguistica ma non politica.
Particolare in Irlanda era la posizione della donna per via delle Leggi di Brehon. In gaelico brehon significa “druido giudice”, nel senso che ai sacerdoti druidi spettava giudicare gli uomini. Queste Leggi erano antichissime, forse antecedenti all’arrivo dei Celti in Irlanda, e furono tramandate oralmente di generazione in generazione, fino a che, secondo la tradizione, san Patrizio le avrebbe codificate nel V secolo.
Grazie a queste Leggi l’Irlanda conobbe un lunghissimo periodo di democrazia e uguaglianza, in cui il senso di giustizia era elevatissimo. Le donne avevano dignità sociale pari a quella degli uomini, erano considerate idonee per diversi lavori e potevano conquistare onori. Erano druidesse, poetesse, sagge e giuriste.
Brigid, o Brigit, fu il nome di un’antica divinità dell’acqua e del fuoco, musa ispiratrice della poesia e della sapienza. Fu pure il nome di una santa che aiutò a diffondere il cristianesimo in tutta l’Irlanda, e anche il nome di una giurista irlandese, Brigit Brethra o Brigitta dei Giudizi, che visse al tempo di Nostro Signore ed emanò la legge che consentiva alle donne di ereditare terreni in assenza di figli maschi.
Molto spesso le donne diventavano guerriere e marciavano accanto ai loro padri e mariti per difendere la propria terra e la famiglia. Da qui nacque il mito della Donna Onnipotente, una figura che certo non poteva non piacere a Eleonora, che in effetti la incarnò per tutta la sua vita.
Regina dei trovatori e delle “corti d’amore”
Il periodo piú bello per la contessa-regina fu quello che trascorse a Poitiers, verso gli anni 1170, in compagnia del figlio prediletto Riccardo – il futuro Cuor di Leone – della figlia Maria, avuta da Luigi VII e andata sposa al conte di Champagne, Enrico I il Liberale, e Maria di Francia, poetessa e autrice dei lais (novelle in versi), che era presumibilmente sorellastra di Enrico II Plantageneto.
In questo periodo Eleonora chiamò a Poitiers, posta sulla frontiera linguistica del mondo oitanico e occitanico, tutti i migliori letterati, poeti e musicisti del tempo, anche dalla Normandia, dalla Bretagna e dall’Inghilterra. Da qui l’importanza della sua “corte d’amore” per la formazione delle opere letterarie del XII secolo, non solo in lingua d’oïl e d’oc ma anche in lingua bretone e gallese.
Eleonora conobbe molto presto, fin dall’adolescenza, la leggenda di Tristano e Isotta, perché troppo precise e numerose erano le allusioni dei trovatori alla loro passione. Quando poi nel Poitou la contessa-regina si attorniò di nobili dame a lei care, che condividevano la sua opinione circa l’importanza che le donne avrebbero dovuto conquistare nella società, non poté non ricordare che Isotta era stata il modello della donna che liberamente sceglie o liberamente accetta l’uomo da amare; il modello dell’Amore come totalità dell’essere: l’Amore come lei stessa, Eleonora, lo intendeva.
Ma l’Amore lo intende anche come “amor cortese”, il fin’amors, l’amore fine, in contrapposizione al-l’amore grossolano degli uomini, attratti solo dalla caccia e dalla guerra.
Per questo la corte di Poitiers favorí la creazione di opere letterarie ispirate al ciclo arturiano e alle leggende celtiche. Oltre a ciò, si manifestava adorazione per il poeta romano Ovidio e le sue opere, gli Amores e l’Ars amatoria.
Tutto ciò veniva considerato pericoloso dalla Chiesa e dai benpensanti, che temevano la perturbazione dei costumi, e questa è forse una delle cause della “cattiva reputazione” che, comunque, perseguitava Eleonora fin dall’adolescenza.
Il sogno della contessa-regina cosí viene mirabilmente descritto da J. Markale: «Scopo di Eleonora è la costituzione di una società nuova, fondata sul rispetto del giuramento di fedeltà [alla Dama da parte del suo cavaliere] … è una società ideale e l’Utopia non è lontana. Vengono in mente le leggende celtiche sulla Terra delle Fate, dove regna una donna misteriosa che dispone di poteri semidivini, che è l’erede delle antiche divinità solari irradianti sull’universo con tutto il loro potere di incantamento, di attrazione magnetica e di calamitazione. Eleonora non dimenticava mai di essere l’azimant, la calamita dei trovatori, e avrebbe voluto, nella sua corte di Poitiers, sentirsi al centro di un mondo chiuso e perfetto, da cui fosse bandita ogni bruttura e malizia. È il mito dell’isola di Avalon che torna in superficie. Ed è pure il mito che ritroveremo nel secolo successivo, nel vasto romanzo del Lancillotto in prosa, particolarmente nella descrizione dello strano mondo della Dama del Lago: “Ella era regina, la migliore che mai fosse esistita. Era una fanciulla di grande saggezza. Teneva con sé diecimila donne, nella sua terra che non aveva conosciuto l’uomo né le leggi dell’uomo. Tutte le donne vestivano abiti e mantelli di seta e broccato d’oro …tutto l’anno quella terra era fiorita come in pieno mese di maggio”».
La corte del Poitou ospitò i piú celebri letterati e poeti del XII secolo: Bertran de Born, Bernart de Ventadorn – che concepí un amore intenso per Eleonora, a quanto pare ricambiato, e che Enrico allontanò dalla corte – Chrétien de Troyes, Béroul, Thomas d’Inghilterra. Da loro e da altri, chierici anglo-normanni, trovieri e trovatori con le loro poesie, fu fondata la letteratura francese del XII secolo, oltre che quella del Galles.
La lunga vita di Eleonora
Nella sua vita, che durò ottantadue anni, Eleonora fu al centro degli eventi del suo secolo, caratterizzato da profonde trasformazioni di ordine sociale, politico e culturale.
Non ci fu personaggio piú importante di lei, perciò Eleonora divenne il “mito”, la “leggenda” del suo tempo, la regina perfetta, come Ginevra.
Sovrani di un impero che si estendeva dall’Inghilterra ai Pirenei, Enrico II ed Eleonora si dividevano il compito di sorvegliarne la pace e la stabilità. Perciò, quando Enrico risiedeva in Inghilterra, Eleonora dimorava sul continente e vigilava sui domíni suoi e del marito. E se Enrico amava muoversi e agire rapidamente, instancabile com’era, pure la regina era molto attiva e devota al proprio compito, probabilmente mossa anche dall’amore profondo che portava al marito: un amore che non fu mai davvero ricambiato. Per Enrico sua moglie era colei che gli aveva portato una ricchissima dote ed era la madre dei suoi figli. Eleonora ne era consapevole e ne soffriva, ma gli obbediva, e nel tempo lo vide molto poco.
Il 27 dicembre 1166, Eleonora partorí il decimo figlio, Giovanni, l’ottavo e ultimo che diede a Enrico.
Nel 1170, Thomas Becket, che era stato cancelliere del Plantageneto ed era poi diventato arcivescovo di Canterbury, persona la cui integrità era ben nota, fu assassinato sui gradini dell’altare. La morte destò orrore in tutta la cristianità, e la responsabilità fu attribuita a Enrico, poiché il delitto era avvenuto dopo che il sant’uomo era entrato in rotta di collisione con il re, che fu scomunicato.
Intanto Eleonora, che nonostante il passare degli anni conservava il suo fascino, ancora decantato dai contemporanei, non aveva perdonato al marito la relazione con “la bella Rosamunda”, figlia del cavaliere normanno Gualtiero di Clifford. Il Plantageneto, dapprima molto innamorato della giovane, se n’era poi stancato, tanto che Rosamunda fu confinata nel convento di Godstow, dove morí nel 1177. Di questa morte la voce pubblica accusò Eleonora, anche se non ci furono mai certezze. Reale però fu la gelosia di Eleonora, che in seguito cercò di vendicarsi del marito. Infatti cominciò a sobillare i figli contro il padre per questioni ereditarie, avvalendosi dei difetti insiti nel modo d’essere degli Angioini, violenti e privi di scrupoli pur di ottenere il potere e la ricchezza cui ambivano.
Enrico, che nel frattempo si era fatto “eleggere” re sovrano dei re d’Irlanda e poteva contare su un servizio segreto a lui assolutamente fedele e molto efficiente, venne a sapere che i suoi figli si erano recati da Luigi VII, presso il quale li aveva inviati la madre Eleonora per riceverne consigli.
Era il 1173 quando i tre figli maggiori, Enrico il Giovane, associato al trono d’Inghilterra senza poter esercitare la funzione di re, Riccardo e Goffredo, si rifugiarono presso Luigi VII. Contemporaneamente i vassalli d’Aquitania, in particolare i parenti di Eleonora – Raoul di Faye, i Lusignano, i Saint-Maure e i Rancon – si ribellarono all’autorità del re angioino, in aperto accordo con i suoi figli ribelli. Non vi furono piú dubbi che l’anima del complotto fosse Eleonora, perché i figli da lei si lasciavano guidare.
A questo punto Enrico II, con la solita sconcertante rapidità di manovra, condusse l’esercito dalla Normandia nel Poitou e, dopo avere preso la fortezza di Raoul di Faye, che fuggí a Parigi, si diresse verso Poitiers, dove si trovava Eleonora. La regina tentò la fuga, ma venne catturata travestita da uomo. Da quel momento visse come prigioniera, passando da un castello all’altro per sedici anni, fino alla morte del marito. Le venne tolta ogni autorità, e i figli non tentarono di liberarla.
Enrico II, intanto, conduceva una vita dissoluta, si ammalò e invecchiò precocemente. Nel luglio 1189, ad appena cinquantasei anni, morí e fu sepolto nell’abbazia di Fontevrault. Fra tutti i suoi figli il re prediligeva Giovanni, il piú giovane, e prima di morire si fece mostrare dal conte Guglielmo il Marescalco l’elenco di coloro che l’avevano tradito: in testa figurava proprio Giovanni, che degli Angioini aveva tutti i difetti ma nessun pregio.
Riccardo, appena ricevuta la notizia della morte del padre, mandò dei messi in Inghilterra con l’ordine di liberare immediatamente Eleonora. Sembrò che il tempo non fosse trascorso per lei e per il figlio tanto amato, perché il profondo accordo tra i due era immutato, e cosí la regina, piena di energia e di volontà di azione, girò instancabilmente l’Inghilterra e aprí le prigioni ai tanti che Enrico II aveva recluso, per preparare l’incoronazione del figlio.
Ma Riccardo non amava l’Inghilterra, e vi si recò solo per riceverne la corona il 3 settembre del 1189. Il suo sogno era organizzare la terza crociata, per riconquistare Gerusalemme, che era caduta di nuovo nelle mani dei musulmani. Nel 1191 partí per la Terra Santa, dove riprese Acri, Giaffa e Ascalona, ma su Gerusalemme regnava il Saladino (Salāh al-Dīn), grande condottiero di origine curda. Perciò Riccardo decise di tornare in Inghilterra, ma fu preso prigioniero dal duca d’Austria, Leopoldo V, con il quale aveva avuto delle controversie. Fu chiesto un riscatto altissimo, di cinquantamila marchi d’argento, ma Eleonora riuscí con molta fatica a pagarlo e a liberare il figlio, il 4 febbraio 1194. Tutta l’Europa ne fu stupita.
Dopo questa impresa, però, Eleonora sentí la stanchezza di una vita, nella quale aveva dovuto sempre lottare, e dopo aver fatto riconciliare Giovanni – che aveva tramato contro il fratello durante la sua assenza –con Riccardo – che aveva tutti i pregi dei Plantageneti senza averne i difetti – si ritirò a Fontevrault per riposare e pregare. Tuttavia né Riccardo né lei si facevano illusioni circa la lealtà di Giovanni.
Il problema di Riccardo Cuor di Leone era soprattutto il nuovo re di Francia, Filippo Augusto (1165-1223), che ambiva ai domíni continentali dei Plantageneti per fare della Francia un regno sempre piú centralizzato. Riccardo dovette molto combattere, fino a che, durante l’assedio al castello di Chalus, di proprietà del conte di Limoges, fu colpito da una freccia alla spalla. La ferita s’infettò ed egli fece chiamare sua madre. Agli inizi di aprile del 1199 il re d’Inghilterra, a quarantun anni, dopo aver perdonato tutti i suoi nemici, morí tra le braccia di Eleonora. Il suo cuore fu posto nella cattedrale di Rouen e il suo corpo nell’abbazia di Fontevrault.
La regina e duchessa, alla quale i grandi personaggi dell’epoca porgevano le condoglianze, si trovò allora nella condizione di dover fare una difficile scelta: chi doveva succedere a Riccardo? E la scelta cadde su Giovanni, anche se tutti e lei stessa sapevano che, oltre agli altri difetti, era “mezzo pazzo”. Forse Eleonora contava sul fatto di saperlo controllare e dirigere, per evitare che perdesse l’impero plantageneto. Di nuovo ne percorse i domíni, per assicurare la fedeltà dei vassalli a Giovanni, ma fece anche delle azioni di grande astuzia politica. Si assicurò l’appoggio dei borghesi, concedendo le carte di franchigia alle città che volevano costituirsi in Comuni, in cambio del service d’ost: in caso di guerra i Comuni avrebbero dovuto pagare gli equipaggiamenti militari e garantire truppe abbondanti. Inoltre, prestò l’omaggio feudale a Filippo Augusto, riconoscendosi personalmente vassalla del re di Francia per Normandia, Angiò, Poitou e Aquitania. In questo modo Giovanni divenne suo vassallo, non piú del re di Francia, per cui Eleonora assunse la funzione di una sorta di cuscinetto: avrebbe trattato lei con Filippo Augusto, come titolare delle quattro regioni plantagenete, non piú l’inaffidabile Giovanni.
Stanca, Eleonora tornò a Fontevrault, continuando a dare al figlio tutto l’appoggio che poteva mediante le sue arti diplomatiche. Furono i suoi ultimi anni di vita, ma si disse che in quel periodo la capitale “pensante” dell’impero plantageneto fu Fontevrault. Il comportamento di Giovanni peggiorò. Inoltre non faceva nulla per conquistarsi la fedeltà dei suoi vassalli, ma tutto per inimicarseli. Finché, nella primavera del 1202, dei vassalli si recarono presso Filippo Augusto per lamentarsi della violenza, dell’arroganza e del disprezzo con cui venivano trattati da Giovanni. Il re di Francia intimò al re d’Inghilterra di presentarsi dinanzi alla sua corte per difendersi dalle accuse, ma Giovanni fece finta di niente e il 28 aprile fu dichiarato “fellone”. A questo punto Filippo Augusto poteva intervenire legalmente nelle terre dei Plantageneti e la guerra iniziò subito.
Seguirono altre vicende, in seguito alle quali Giovanni finí per perdere tutte le terre sul continente. Sua madre, forse per il dolore, morí il 31 marzo o il 1° aprile 1204. Si è detto che l’aver donato il trono al figlio minore fu il piú tragico errore politico che Eleonora abbia commesso. Nonostante questo, la regina madre resta il personaggio piú grande del suo tempo, che dominò, assecondandone con intelligenza i cambiamenti e, nel caso della letteratura, della poesia e dell’arte, determinandoli.
La “Regina dei Trovatori”, nella sua lunga vita, non dimenticò mai di essere una “grande aristocratica” con l’obbligo di svolgere tutti i doveri che il suo status comportava, ma fu anche una donna che amò molto e per amore soffrí, come tutte le donne del mondo, a qualunque classe sociale appartengano, che siano ricche o povere, belle o dotate di scarsa avvenenza.
Senza Eleonora e senza Enrico non sarebbero nati la letteratura e i poemi del ciclo arturiano, ai quali sono strettamente connesse le opere del ciclo del Graal. Ma fu soprattutto Eleonora a dare l’impulso all’ ’“amor cortese”, fondamento dei cicli suddetti. Dalla Francia poi, in cui tanta bellezza era fiorita, lo stimolo passò alla Germania, dove Wolfram von Eschenbach compose il Parzival , fino all’Italia, nella quale si formò, tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV, quel movimento poetico che Dante chiamò il “dolce stil novo” e giungerà fino a Petrarca.
Alda Gallerano