Soros non è simpatico, è un apolide
magiaro, che fa i soldi con i soldi,
e già nel nome porta una menzione
di quel certo demonio innominabile.
È un esempio perfetto del teorema
che vuole il Male farsi monopolio
di chi possiede l’oro e i derivati
di questa incorruttibile materia
che corrompe se eletta a dio rotondo.
Ossia potere in ogni forma e peso
sulle vicende umane in tutto il mondo,
per cui se manca il grano in Tunisia,
se scoppiano iridate primavere,
se in Venezuela aumenta l’inflazione,
se nel Burkina Faso è siccità,
se arrivano i barconi a centinaia,
dietro c’è lui, il plurimiliardario,
coi suoi giochi di Borsa, i suoi maneggi
delle risorse planetarie, un despota
che non ammette intralci al suo operare.
Pure, a vederlo, non lo si direbbe
il factotum di tante prepotenze,
per essere un’icona del possesso
gli manca proprio il fisico del ruolo:
quasi uno gnomo, dicono impacciato,
dimesso nel vestire, un funzionario
del catasto, un travet perso nel mucchio,
lontano dall’immagine mediatica
che lo vuole intrigante demiurgo.
Ma ci piace assegnarlo a quelle forze
oscure, alla paranza dell’occulto
che a partire dall’Eden non fa altro
che orchestrare l’umana perdizione.
Comodo ritrovato, un espediente
per farci eterne vittime indifese,
alla mercé di questo o quel Maligno
tirapiedi di Satana e Lucifero.
E se fossimo noi, gli imperdonabili
colpevoli del male che ci affligge?
Se tramassimo al nostro fallimento
per viltà, per superbia, per accidia
nella libera scelta che fu data
all’uomo postulante del divino?
Allora l’usuraio trafficante,
consigliori del subdolo Anticristo,
altro non è che quello che vogliamo
noi stessi, da noi stessi partorito,
sconfitta miserevole dell’Io.
Quanto al mostro in questione, ch’egli sia
quindi un povero diavolo lo prova
il fatto che abbia chiesto di comprare
l’Alitalia, per riportarla al top,
risanandone i conti. Impresa che
neppure il Padreterno affronterebbe.
Il cronista