Elementi fondamentali dell’esoterismo

Antroposofia

Elementi fondamentali dell’esoterismo

MorteDopo lo studio del karma e della reincarnazione, tratteremo ora il problema della morte, una questione particolare nel quadro d’insieme.

La domanda “perché l’essere umano muore?” occupa continuamente l’umanità. Ma non si può rispondere cosí facilmente, perché quello che chiamiamo oggi morire è in relazione con il fatto che ci troviamo a una precisa tappa del­la nostra evoluzione. Per prima cosa sappiamo che viviamo nei tre mondi – fisico, astrale e mentale – e che la nostra esistenza si alterna in questi mondi. Abbiamo in noi un fulcro centrale che chiamiamo monade [l’Io]. Manteniamo questo centro essenziale attraverso i tre mondi. Vive in noi nel mondo fisico, ma anche in quello astrale e del Devachan; salvo che nei tre mondi questo fulcro ha un aspetto sempre differente. Il rivestimento della nostra essenza varia a seconda che essa si trovi nel mondo fisico, astrale o nel Devachan.

Facciamo astrazione dalla morte e immaginiamo l’uomo nel mondo fisico, rivestito di una certa materia. In seguito egli entra nel mondo astrale e nel Devachan, ma con un altro aspetto. Supponiamo che nei tre mondi l’uomo sia cosciente al punto da percepire tutte le cose intorno. Senza i sensi e la percezione, l’uomo non sarebbe cosciente neanche nel mondo fisico. Attualmente, se l’uomo fosse cosciente in maniera uguale nei tre mondi, non ci sarebbe la morte; ci sarebbero solo delle metamorfosi. L’uomo passerebbe, cosciente, da un mondo all’altro. Questo passaggio non sarebbe per lui una morte, e per coloro che resterebbero sarebbe tutt’al piú una partenza per un viaggio. Ora, l’uomo arriva solo poco a poco alla continuità della coscienza in questi tre mondi. Quando passa dal mondo fisico agli altri mondi, risente dapprima come un oscuramento della sua coscienza. Ridiventa chiaramente cosciente solo quando ritorna nel mondo fisico. Gli esseri che conservano la coscienza, non conoscono la morte. Mettiamoci adesso d’accordo sulla maniera con la quale l’uomo è arrivato ad avere l’attuale coscienza fisica e come arriverà a un’altra coscienza.

Dobbiamo assolutamente riconoscere l’uomo come una dualità, come composto da due esseri: la monade e il rivestimento della monade. Domandiamoci come sono nati. Dove viveva l’uomo astrale prima di essere diventato quello che è attualmente? E dove viveva la monade? Tutti e due sono passati per stadi di evoluzione differenti, sono arrivati a potersi unire solo poco a poco.

Tre corpiQuando studiamo l’uomo fisico-astrale, siamo proiettati in tempi lontani, dove egli era solo un archetipo astrale, una forma astrale. L’uomo astrale che esisteva all’origine era una forma che non era come il corpo astrale attuale, bensí un’entità molto piú vasta. Si può immaginare questo corpo astrale di una volta nel senso che la Terra era allora come un grande pallone astrale composto di uomini astrali. A quell’epoca, tutte le forze della natura e le entità che oggi ci circondano erano ancora all’interno dell’uomo. L’uomo viveva come disciolto nell’esistenza astrale. Tutte le piante, gli animali ecc., le passioni, gli istinti animali vivevano ancora nell’uomo astrale.

Quello che il leone e tutti i mammiferi hanno oggi in loro era tutto mescolato con il corpo astrale dell’uomo. Il corpo astrale dell’uomo aveva in sé tutte le entità che sono adesso ripartite su questa Terra. La Terra astrale era composta da tutti i corpi astrali degli uomini. Immaginatela come una grande mora, circondata da un’atmosfera spirituale nella quale vivevano le entità del Devachan.

Quest’atmosfera ‒ si potrebbe chiamarla aria astrale – che circondava la Terra astrale del­l’epoca, era di una sostanza un po’ piú fine del corpo astrale umano. In quest’aria astrale vivevano delle entità spirituali, inferiori e superiori, fra le quali le monadi umane, del tutto separate dai corpi astrali umani. Questo era lo stato della Terra a quell’epoca. Le monadi, che esistevano già nell’aria astrale, non potevano unirsi ai corpi astrali degli uomini, perché questi erano ancora troppo selvaggi. Bisognava prima di tutto far uscire da loro gli istinti e le passioni. Il corpo astrale umano apparve poco a poco sotto una forma piú pura grazie ad una secrezione di certe sostanze e forze che conteneva. Le secrezioni restavano tuttavia delle forme astrali a parte, delle entità con un corpo astrale ancora ben piú denso, con istinti, pulsioni, passioni piú selvagge.

Da allora ci furono dunque due corpi astrali: un corpo astrale umano meno selvaggio e un corpo astrale selvaggio molto denso. Distinguiamo rigorosamente i due: il corpo astrale umano e tutto quello che viveva attorno a lui. Il corpo astrale umano diventava sempre piú sottile, piú nobile, e secerneva sempre e ancora degli elementi che diventavano sempre piú densi. Quando questi elementi ebbero raggiunto la densità fisica, diventarono il regno animale, vegetale e minerale. Grazie a questo processo di densificazione, certi istinti e forze eliminati si distinsero sotto la forma delle differenti specie animali.

UroboroSi effettuava dunque una continua purificazione dei corpi astrali e questo ebbe necessariamente una conseguenza sulla Terra. Perché, per il fatto che grazie a questa purificazione l’uomo aveva allora accanto a lui quello che una volta aveva in sé, egli entrò in contatto con questi esseri, e quello che una volta aveva in lui, agí da allora dall’esterno. È un processo eterno, che si ritrova con la separazione dei sessi che agiscono in seguito dal­l’esterno, l’uno sull’altro. All’inizio, il mondo intero era di un solo tessuto che ci includeva; fu solo in seguito che il mondo agí su di noi dall’esterno. Il serpente che si morde la coda è il simbolo archetipo di questo ritorno in sé dall’altra parte.

Nel corpo astrale purificato sorgono allora delle immagini del mondo che lo circonda. Supponiamo per esempio che l’uomo abbia scartato dieci forme differenti che ormai lo circondano. Prima erano in lui, poi sono attorno a lui. Nel corpo astrale purificato sorgono allora i riflessi del mondo che lo circonda, cioè quelle forme che si trovano all’esterno. Questi riflessi diventano in lui una nuova forza, agiscono in lui e trasformano il corpo astrale che diventa nobile e purificato. Per esempio, ha espulso la ferocia: essa è diventata adesso un’immagine riflessa all’esterno di lui e agisce su di lui come una forza formatrice. Il corpo astrale è costruito da queste immagini che erano una volta in lui e che egli ha rigettato. Esse edificano in lui un nuovo corpo. Una volta l’uomo aveva il macrocosmo in lui, poi ha staccato da se stesso il macrocosmo e questo ha formato in lui il microcosmo, un condensato di se stesso.

Troviamo dunque l’essere umano ad un certo stadio sotto una sembianza che gli è stata data da tutto ciò che lo circonda. I riflessi agiscono sul suo corpo astrale nel senso che lo differenziano e lo dividono. Il suo corpo astrale è stato diviso dai riflessi, e l’uomo l’ha ricostruito a nuovo partendo dai frammenti, per cui è diventato allora un organismo strutturato. La massa astrale comune è stata differenziata negli organi come il cuore ecc. Dapprima, tutto era astrale poi l’uomo fisico si è condensato. Per questo fatto le forme umane sono diventate sempre di piú idonee a densificarsi e a diventare un organismo piú complicato e piú vario che è un riflesso di tutto l’ambiente.

Quello che è diventato il piú denso è il corpo fisico; il corpo eterico è meno denso e il corpo astrale è il piú sottile. Per l’essenziale sono i riflessi del mondo esteriore, un microcosmo in seno al macrocosmo. Il corpo astrale è diventato sempre piú sottile, cosicché ad un certo momento dell’evoluzione terrestre l’uomo ha avuto un corpo astrale evoluto. Diventando sempre piú sottile, il corpo astrale si è avvicinato alla materia astrale sottile attorno a lui.

Nel frattempo, nella regione superiore, si sono svolti i processi evolutivi opposti. La monade è scesa dalle supreme regioni del Devachan fino nella regione astrale e, durante questa discesa, si è densificata. Le due parti si vengono quindi incontro. Da un lato, l’uomo si eleva fino al corpo astrale, dall’altra la monade gli viene incontro scendendo verso il mondo astrale. Era il tempo dell’èra della Lemuria. I due poterono allora fecondarsi. La monade si è rivestita di materia del Devachan, poi di materia aerea astrale. In basso, abbiamo la materia fisica, poi la materia eterica, in seguito di nuovo la materia astrale. È in questo modo che le due materie astrali si fecondano e si fondono. Quello che viene dall’alto contiene la monade. Essa s’installa nella materia astrale come in un letto.

corpo quadripartitoLa discesa dell’anima si effettua in questo modo. Ma affinché si possa fare, la monade deve sviluppare una sete di conoscenza delle zone inferiori. Bisogna presupporre questa sete. Una monade può imparare a conoscere le regioni inferiori soltanto se s’incarna nel corpo umano e guarda attraverso esso nel mondo circostante. A partire da allora l’uo­mo è quadripartito: ha un corpo fisico, un corpo eterico, un corpo astrale e quarto un Io, la monade. Una volta che esiste il corpo quadripartito, la monade può percepire l’ambiente circostante attraverso esso, e un contatto si crea fra la monade e tutto quello che esiste attorno ad essa. La sete della monade si trova in una certa misura estinta.

Abbiamo visto che tutto il corpo umano si compone, si è composto, di parti che devono la loro origine al fatto che la massa, indivisa all’origine, si è separata in organi quando il corpo astrale ha rigettato diverse cose, e che, grazie a quelle secrezioni che lo circondavano e che si riflettevano in lui, erano sorte in lui delle immagini. Quelle immagini sono diventate in lui delle forze, e hanno formato il suo corpo eterico. In altre parole, il suo corpo eterico è stato strutturato da queste molteplici immagini. In questo corpo eterico, che è fatto di differenti parti, ogni parte si densifica a sua volta in se stessa, formando il corpo fisico articolato. Ognuno di questi nuclei fisici, che gli organi sviluppano in seguito, forma allo stesso tempo una specie di centro nell’etere.

Gli spazi fra i centri sono riempiti di semplice massa eterica. Immaginiamo il corpo composto cosí di dieci parti. Queste dieci parti che prendiamo come schema mantengono l’unità del corpo per la loro affinità; sono il riflesso di tutto il resto della natura e tutto dipende dall’inten­sità della loro affinità. Fra di loro ci sono diversi gradi di affinità. Il corpo resta insieme finché le parti tengono; quando i gradi di affinità spariscono, le parti si separano e il corpo si disintegra. Visto che nel corso dell’evoluzione terrestre abbiamo espulso le forme piú diverse, le parti si mantengono insieme nel corpo eterico solo in una certa misura. La natura umana è il riflesso delle entità espulse.

Nella misura in cui questi esseri conducono un’esistenza a parte, anche le parti del corpo fisico conducono un’esistenza a parte. Quando l’affinità delle forze è diminuita fino all’esauri­mento, la nostra vita arriva al suo termine; la durata della nostra vita è condizionata dalla misura nella quale le entità tutt’intorno a noi si accordano.

L’evoluzione dell’uomo superiore consiste nel fatto che l’uomo lavora dapprima sul suo corpo astrale. Vi incorpora ideali, entusiasmo eccetera, combatte i suoi istinti. L’uomo mette armonia nelle differenti parti del suo corpo astrale a partire dal momento in cui sostituisce le sue pulsioni con degli ideali, i suoi istinti con dei doveri, e sviluppa entusiasmo al posto dei suoi desideri.

Questo lavoro è iniziato con l’entrata della monade, e il corpo astrale diventa allora sempre piú immortale. Da allora, il corpo astrale non muore piú, ma perdura nella misura in cui fa regnare la pace, quando la pace può manifestarsi di fronte alle forze distruttrici. A partire dal momento in cui entra, la monade porta la pace dapprima nel corpo astrale. Allora gli istinti cominciano ad intendersi fra loro. In quello che era un caos si stabilisce l’armonia e si crea una forma astrale che perdura, che resta in vita. All’inizio, la pace non è portata al corpo fisico né a quello eterico, ma soltanto, e parzialmente, al corpo astrale. In altri mondi ciò perdura dapprima solo per poco tempo, ma piú si è pacificati, piú dura il periodo del Devachan.

Quando l’uomo è diventato un chela, comincia a pacificare anche il corpo eterico. Allora anche il corpo eterico perdura. I Maestri pacificano anche il corpo fisico, che per questa ragione perdura. Si tratta di armonizzare i differenti corpi che consistono in parti che si combattono fra di loro, e di trasformarli in corpi eterni.

L’uomo ha formato il suo corpo fisico separando da lui i regni della natura, che si sono allora riflessi in lui. È in questo modo che ci furono in lui delle parti differenti. Stando cosí le cose egli compie delle azioni, e grazie ad esse entra di nuovo in contatto con l’ambiente. Egli pone cosí all’esterno gli effetti dei suoi atti. Integra i suoi atti all’ambiente e diventa poco a poco il riflesso di questi suoi atti. Una volta entrata nel corpo umano, la monade comincia a compiere delle azioni che sono integrate all’ambiente e vi si riflettono. Nella misura in cui essa comincia a pacificare, comincia anche a ricevere i riflessi delle sue proprie azioni.

A questo punto creiamo continuamente un regno nuovo intorno a noi: gli effetti prodotti dai nostri propri atti. A sua volta, questo costruisce qualche cosa in noi. Come una volta, partendo dai riflessi, abbiamo staccato il corpo eterico che è rimasto indietro, nello stesso modo integriamo allora all’esistenza della monade l’effetto prodotto dai nostri atti. Questo è chiamato: fondare il nostro karma. Per questo mezzo tutto ciò resterà nella monade. All’inizio, il corpo astrale si era purificato rigettando tutto quello che era in esso. Adesso l’uomo crea, con i suoi atti, un nuovo regno, che estrae per cosí dire dal nulla, almeno in certe circostanze.

La nuova relazione, che una volta non esisteva, è qualcosa di nuovo, ha carattere d’immagine che si riflette nella monade e che forma in essa un nuovo fulcro interiore, che nasce dal riflesso delle azioni, il riflesso del karma. Nella misura in cui la monade continua sempre a lavorare, questo fulcro essenziale s’ingrandisce sempre di piú. Guardiamo la monade dopo qualche tempo: essa avrà instaurato l’armonia, da una parte fra le forze che si combattono e dall’altra fra gli effetti prodotti dalle sue azioni. I due aspetti si legano per far nascere una forma comune.

Supponiamo adesso che la veste terrestre si stacchi dall’uomo e che resti la monade. Essa conserva gli effetti prodotti dalle sue azioni. Si pone la questione di sapere qual è la natura di questi effetti. Se quest’ultima è tale che la monade possa essere attiva nei mondi in cui soggiorna, allora l’uomo può restarvi a lungo, altrimenti brevemente. In seguito egli dovrà riavere la sete [che la monade ha del mondo fisico] e rivestirsi nuovamente di un corpo fisico.

La vita umana consiste nell’avvolgersi continuamente di quello che ci circonda: involuzione-evoluzione. Riceviamo delle forme di immagini e modelliamo in conseguenza il nostro corpo. Ciò che la monade ha compiuto, l’uomo lo riprende come karma, in modo che lui stesso sarà sempre il risultato del proprio karma.

Nel Vedanta s’insegna che le differenti parti dell’uomo sono dissolte e sparse in tutte le direzioni del vento; quello che allora resta di lui è il suo karma. È l’elemento eterno che l’uomo ha fatto da sé, che egli ha dapprima ricevuto sotto forma d’immagine del suo ambiente. L’uomo è immortale; basta che voglia dare ai suoi atti una forma tale che abbiano una esistenza duratura. Quello che acquistiamo con i nostri sforzi, attingendolo dall’esterno, è in noi immortale. Siamo diventati quelli che siamo grazie all’Universo, e grazie alla fecondazione da parte della monade cominciamo a costruire in noi lo specchio di un nuovo universo. La monade ha vivificato in noi i riflessi. Da allora, le immagini possono agire dall’esterno e gli effetti prodotti da queste immagini potranno a loro volta riflettersi.

Nasce una nuova vita interiore. Trasformiamo continuamente il nostro ambiente con le nostre azioni. Ne risultano nuovi riflessi che diventano allora karma. È una nuova vita che zampilla nell’interiorità. Ecco perché, per evolvere, a partire da un certo momento dobbiamo uscire da noi stessi al fine di creare in modo altruistico delle condizioni armoniose nel nostro ambiente. Ciò presuppone in noi un’armonizzazione dei riflessi. Il nostro compito è di rendere armonioso il mondo che ci circonda. Se nel mondo siamo dei distruttori, le devastazioni si riflettono in noi: se stabiliamo l’armonia nel mondo, le armonie si riflettono in noi.

Quanto al piú alto grado di perfezione che avremo posto al di fuori di noi, che avremo creato attorno a noi, lo porteremo con noi. Per questo i Rosacroce dicevano: «Da’ al mondo una forma tale che esso contenga la saggezza, la bellezza e la forza; allora la saggezza, la bellezza e la forza si rifletteranno in te. Se hai consacrato il tuo tempo a fare questo, tu stesso partirai da questa Terra con il riflesso della saggezza, della bellezza e della forza. La saggezza è il riflesso del manas, la bellezza, la pietà, la bontà sono il riflesso della budhi, la forza è il riflesso dell’atman.

ArmoniaDapprima, quando favoriamo la saggezza, sviluppiamo attorno a noi un regno della saggezza. Poi, in ogni campo, sviluppiamo un regno della bellezza. Allora la saggezza diventa visibile e la budhi si riflette in noi. Alla fine, conferiamo all’insieme un’esistenza fisica, la saggezza all’interno, la bellezza all’esterno.

Se abbiamo la forza di realizzare tutto questo, abbiamo l’atman, il potere di trasmutare tutto questo nella realtà. È cosí che stabiliamo in noi i tre regni: manas, buddhi e atman.

L’uomo non avanza sulla Terra grazie a una contemplazione oziosa, ma incorporando alla Terra la saggezza, la bellezza e la forza. Con il lavoro del nostro Io superiore trasformiamo i corpi deperibili che ci sono stati dati dagli Dei e ci creiamo noi stessi dei corpi eterni.

Il chela che nobilita il suo corpo eterico [in modo che perduri] rinuncia poco a poco ai maha-raja. Il Maestro il cui corpo fisico permane ugual­mente, può rinunciare ai lipika. Egli è al di sopra del karma. Questo è quello che dobbiamo designare come progresso dell’uomo nella sua interiorità. Dobbiamo cercare di entrare in quello che è piú in alto di noi, al di fuori di noi. Per questo il nostro Io superiore non è da cercare in noi, ma nelle individualità che si sono elevate piú in alto.

 

Rudolf Steiner


Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.

Berlino, 24 ottobre 1905 ‒ O.O. N° 93a. Traduzione di Angiola Lagarde.