Un mare sconfinato, un’acqua plumbea
e fonda; sopra, un cielo senza voli.
Tutto era inerte, l’unica mozione
l’Alito trascorrente, un rifluire
di eteriche sostanze inconoscibili.
Poi la Voce ordinò: «Sia fatta luce!»
e la luce schiarí l’immensità.
Ma non era la vita, non ancora,
l’improvviso bagliore, non scandiva
l’alternanza di nascere e morire,
la carezza amorevole, il ferire.
Non rilevava accenni del vivente
quel chiarore che illuminava il mondo
in divenire. Tutto cospirava
che l’Amore plasmasse un alter ego
del Creatore, e solo quando l’estro
divino, senza vincolo materico,
trasse dal fango un corpo e vi insufflò
il seme dello Spirito, nel grumo
di creta e limo ecco prodursi un battito,
un fervore seguito da una stasi,
sonorità alternante col silenzio,
arsi e tesi, misura d’armonia.
Si contraeva e si espandeva il Verbo,
giusto correlativo del pensiero.
Cosí nasceva il tempo, quando il cuore
umano prese a battere all’unisono
col mistero del cosmo, sincronia,
nel pulsare del sangue con l’astrale
ordine e ritmo, eternità dell’attimo.
Cosí terminerà, quando il mancare
di linfa nei precordi spegnerà
il battito da cui prese l’avvio
l’ora dell’uomo, la sua cronistoria.
Salviamo il cuore, duttile metronomo
oscillante al registro portentoso
del creato. Salviamo il tempo, docile
trenodía di momenti, reliquiario
di sorrisi, di gesti, di passioni
segnati sul quadrante della vita.
Fulvio Di Lieto