Il 5 luglio è morto Salvatore,
Meloni per l’anagrafe, Doddore
per gli amici, sovrano dello scoglio
di Malu Entu, un’isoletta sarda
al largo di Oristano. Una repubblica
che anticipava la Sardegna Libera,
il sogno di un novello Garibaldi
che Doddore imitava per i baffi
e per la volontà di dare vita
a una patria sovrana in libertà,
sganciata da interessi globalisti
e legata ai costumi e alla morale
di un popolo superstite al Diluvio
geologico, e al piú tristo geopolitico
che ha distrutto l’Italia e il mondo intero.
È morto per digiuno, senza bere
‒ in un Paese dove si banchetta
da mane a sera in crapula robusta ‒
per un principio, un ideale. E adesso
ci si chiede il perché, lo scopo e l’utile
di tanto sacrificio, e si finisce
col dire che Doddore era esaltato,
fuori dal tempo e dalla realtà,
un indipendentista arruffapopolo.
Ma un referendum che volesse intendere
quanti Meloni conta lo stivale,
gente pronta a secedere e fondare
un feudo a parte ed autoproclamarsene
padrone a pieno titolo e sovrano,
uno sarebbe il risultato: un “sí”
senza riserve e dubbi, un plebiscito,
e Doddore sarebbe, oltre che martire,
un segno di coerenza e lealtà
in una società che vuol cambiare,
e costi quel che costi rifondare
un’Italia fraterna, senza eccessi,
in cui primeggi la virtú e il decoro,
una nazione che non ha bisogno
di martiri ed eroi per sopravvivere.
Ma questo è un Bel Paese che blandisce
gli invasori economici e punisce
gli evasori che vogliono secederne,
non sentendolo piú come nazione
da sostenere con tributi e tasse,
soldi che poi finiscono oltremare
a rimpinguare le finanze offshore
delle varie tortughe e filibuste.
Il problema è che servono gli schiavi
a basso costo o gratis, ricattabili,
mentre i sudditi veri sono il gregge
da mungere e tosare, e guai se latita,
sottraendosi al torchio delle imposte,
eleggendosi a regno motu proprio.
Finisce come il povero Doddore,
per la Sardegna un padre della patria,
per l’Italia bandito ed evasore.
Il cronista