La legge sulla tortura approvata di recente dal parlamento sanziona gli abusi corporali commessi nei riguardi di persone fisiche, con la deliberata intenzione di procurare disagio e dolore ai destinatari della violenza. Ma come valuta il giudice, in termini di reato di tortura, il suonatore dí sassofono che, poco prima dell’apertura, si piazza davanti al negozio, al supermercato, alla farmacia o all’albergo pieno di turisti, e inanella con il suo strumento solfeggi e giri disarmonici rompitimpani per l’intera giornata, dalla prima mattina alla tarda serata, con brevi pause per caffè, snack e visite ai WC dei bar? La legge non contempla questo né altri simili abusi, e il cittadino deve arrangiarsi sviluppando un’imperturbabilità di tipo Zen o la francescana misericordia che enuncia: «tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto». Vero è che al tempo del Serafico non c’erano i sassofoni, ma anche uno strimpellatore di mandola o un flautista improvvisato poteva mettere a dura prova la pazienza di tutti.
Questo in città, durante i mesi lavorativi e scolastici, quando i rumori ossessivi, sgradevoli, stridenti, strazianti scandiscono la vita attiva dei cittadini. Poi vengono le vacanze, al mare o in montagna. E qui balere, campeggi, sagre e feste paesane, imbonitori e spacciatori di ogni genere di articoli esasperano il diapason della voce umana, degli altoparlanti, dei versi usuali e sonorità sconosciute: dallo Jodel trentino allo scetavajasse napoletano al marranzano siculo, denominato anche, paradossalmente, “scacciapensieri”, insomma tutto un repertorio di suoni e voci da insonnia.
Al dunque, deve la legge considerare e frenare tali esuberanti espressioni popolari o lasciar correre, glissare, per il bene del turismo vacanziero? E poi, ci sono le campane, la squilla, che specie in montagna chiama a raccolta le anime. E la partita in diretta con l’urlo del goal.
Lo spirito e la materia per una volta complici nel suggerire il “laissez faine, laissez passer”, e amen.
Soluzioni possibili e praticabili? Otto ore di aereo da Roma o Milano e vi trovate in Messico, naturalmente non dove suonano i mariachi e sparano i mortaretti scacciadiavoli durante una festa. No, lasciate le città vocianti e i pueblos, di grande umanità ma caciaroni, e raggiungete la Zona del Silenzio, una fetta di territorio che dicono risalga al pleistocene. Qui, non ci sono i rumori, non perché non li facciano, ma perché una ignota forza magnetica del suolo fa sí che ogni voce o suono non si propaghi nell’atmosfera ma venga assorbita dal terreno e resa totalmente in sordina, per cui un silenzio primigenio, inalterabile, grava sulla valle deserta conferendole la natura del vacuum cosmico.
Leggende e miti conferiscono alla zona il suo carattere magico di “porta per l’oltre”, trovandosi alla stessa latitudine del Triangolo delle Bermude, tra il 26° e il 28° parallelo. Questa e altre peculiarità della flora e della fauna, oltre a strane presenze di misteriosi esseri, la rendono un’area di rispetto per i nativi, che non vi si recano volentieri. Anche perché non ha campo radio e il magnetismo del suolo attrae meteoriti piú di qualunque altra regione del mondo.
Grazie ai provvedimenti restrittivi del governo, che vieta ricerche e scavi, la valle conserva la sua precipua caratteristica di luogo dove il silenzio è garantito.
Elideo Tolliani