Subito dopo, la pubblicità - Restate con noi

Considerazioni

Subito dopo, la pubblicità - Restate con noi

È diventato un tormentone, un tic nervoso che mi punzecchia da parecchio tempo, indiscreto e fastidioso come una zanzara: vorrei prendere l’intero comparto dell’informazione, nelle sue molteplici branche (stampa, emittenti, giornalisti, tecnici, e in senso lato, gli addetti alla comunicazione, diffusione e gestione delle notizie di qualunque genere e settore) e usarlo a parametro di una specifica ricerca; svelare alcune contraddizioni che in modo piú o meno evidente costellano le giornate, e qualche volta pure le notti insonni di questa torbida estate.

Partiamo dal basso; penso sia un’esperienza frequente per quanti, sia pure a spizzico, seguono notiziari, talk show, rubriche, tavole rotonde e docufiction. C’è un tema, c’è un conduttore, ci sono ospiti, interviste, balletti e cose del genere. Naturalmente, per ottenere l’audience migliore, il tema deve essere bello tosto, di forte attualità: piú sarà incisivo, drammatico, piú impatterà il nostro sistema nervoso, piú la trasmissione verrà considerata un successo; lo share volerà alto; il giornalista in capo avrà lodi, onori, nonché manina estesa sugli ingaggi futuri.

Giletti conduttoreMa non è questo il punto. Qualcosa si nasconde dietro la macchina del sistema generale. Qualcosa che ‒ una volta intravisto ‒ lascia profondi dubbi sulla serietà e sull’impegno deontologico professato, con fierezza corporativistica, dai giornalisti. Il diritto di cronaca e di informazione (cosí si propone e sostiene) pare troppo spesso travolto e affondato dall’arroganza intellettuale degli stessi proponenti, adoperino essi la penna, il PC, o prestino allo schermo l’immagine inflazionata di un mezzo busto conduttore sempre sorridente, animatore garbato dell’ennesimo show cultural-cronacense.

All’inizio, questa analisi sembrerà poco credibile, ma scrutando la situazione in corso, tra mondo dell’informazione – stampa, radioTV, e giornalisti da una parte, e pubblico destinatario dall’altra ‒ sono convinto che almeno in parte si vedrà la falla aperta del sistema, e attraverso questa uno scorcio del “retrobottega” la cui visione è normalmente vietata all’utenza tele-igienizzata.

Parlo della pubblicità, della pura e semplice pubblicità, la cosí detta vecchia réclame, che una volta si dava come spunto gaio, divertente, e che oggi interviene a gamba tesa, sgarbata e volgare, per propinarci valanghe di suggerimenti mai richiesti, che sono giocoforza subire se si vuole continuare con il servizio o con la notizia in corso.

Emerge un circolo a fosche tinte che, proiettato sul maxischermo della vita sociale e politica del paese, forma con quest’ultimo un abbinamento preoccupante, onde si lascia capire come il fatto non consista tanto nella semplice seccatura di una pubblicità invadente e dispettosa, puntigliosamente voluta e perseguita da sponsor avidi e rapaci, ma fa intravedere la possibilità di una interconnessione tra siffatto paradigma commerciale e la diffusa mentalità politica odierna mediante la quale una classe di inetti ha potuto proporsi al governo del paese e alla guida della cosa pubblica.

Gli ingredienti del test, nel campo delle democrazie parlamentari, sono schematici: il popolo è sovrano e sceglie la classe politica che dirige il paese; la classe politica va a comporre il Parlamento, secondo l’influenza del consenso ricevuto, e a sua volta esprime poi il governo. Fin qui tutto liscio. Solo che non funziona, perché al di là delle teorie le cose vanno per àltero itínere. Da molto tempo la gente non è interessata all’intima vita della nazione; non vi partecipa che in minima parte; preferisce delegare o assentarsi. La classe politica, che dovrebbe rappresentare il meglio degli emersi, è formata per lo piú da avventurieri privi di scrupoli e morale, capaci di qualsiasi efferatezza pur di accaparrarsi il posto (o la sedia) del potere; e quanto potrà uscire da questa bolgia di lotte furibonde per la presa del castello, sarà – nel migliore dei casi ‒ un governicchio insipido e scolorito, che si prova ad accontentare tutti e tutto, ma che ovviamente sulla ribalta internazionale viene preso e valutato per quel che effettivamente è: un ennesimo pasticcio all’italiana.

Che c’entra il governo con la pubblicità? C’entra, eccome! C’è un popolo di consumatori, che ha necessità di acquistare i prodotti; ci sono le industrie e case produttrici che vogliono vendere e che devono (a qualunque costo) ottenere profitti; ci sono infine i mass-media e gli studi pubblicitari che facendosi pagare profumatamente devono invogliare una collettività già stordita e deviata di suo, incanalandone le sensazioni subliminali dentro gli schemi di una disponibilità psicologica all’acquisto esasperato. Eccitare “i bassi geni dietro il fasto occulti” (povero Parini!) e farne scaturire il prurito irrefrenabile a possedere quel prodotto, quella marca e quella griffe, è il fine in cui essi cercano merito e profitto.

Il risultato dell’iniqua spirale è analogo tra commercio e politica: porta a uno smarrimento esistenziale della Ma.N.O. (Massa Non Organizzata) dovuto non a quel che vogliamo, ma a quello che ci viene fatto credere di volere, usando ogni mezzo lecito e illecito, dalla semplice sopraffazione dei meno preparati, al vero e proprio sopruso di stampo criminale per i piú tenaci e resistenti all’ingabbiamento dottrinale; avvenga esso per direttiva politico-societaria o sulle note flautate di spot e gag commerciali.

Ho un’esperienza pratica, compiuta personalmente per lungo tempo: quella assicurativa. Nessuno può negare che le assicurazioni rappresentino un aspetto importante del nostro stare civilmente assieme; la famosa espressione di Winston Churchill ‒ che avrebbe voluto assicurati ogni edificio, ogni famiglia – per quel che vale, si spertica a tesserne le lodi. Ma nel nostro paese la situazione assicurativa ‒ e dico del rapporto tra imprese, agenti/venditori e pubblico destinatario dell’offerta ‒ era, ai miei tempi, ancora decisamente lontana da una concezione edificante del mercato. Da parte dei padroni delle ferriere esso veniva, volutamente, lasciato sgombro da regole e garanzie, anche elementari, atte a mantenere integra la responsabilità sociale della posta in gioco.

Polizza incomprensibileÈ vero che prima viene la domanda a cui segue l’offerta, ma allora la domanda era sporta da muti e la richiesta veniva accolta da sordi. Solo oggi – dopo decenni di strazio assicurativo che ha concesso a personaggi squalificati, corrotti e incapaci, di assumere posizioni preminenti e prestigiose, per sé e per i propri famigliari, a scapito della collettività clientelare e della qualità del prodotto smerciato, e soltanto su costrizione degli impegni assunti in sede U.E. – siamo dovuti correre ai ripari, mettendo qua e là, nei contratti di assicurazione, delle clausole di salvaguardia; limando certi eccessi, stringendo misure temporali spudoratamente a vantaggio degli estensori e smussando patti leonini dei clausolari, che sono scritti, come del resto si fa con le leggi, in un linguaggio volutamente ambiguo, oscuro, contorto e pomposo, da venir compreso solo dagli analisti criptici che si sono mangiati l’anima per pensarlo e redigerlo.

Nulla di nuovo, credo, se al settore assicurativo aggiungiamo anche quello bancario; mi pare che proprio in questi ultimi tempi siano venute a galla alcune bolle sommerse, che dimostrano ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, di come ci siamo fregati e abbrutiti con le nostre mani, solo perché ci piace molto pensare in un modo e agire in un altro. Il rispetto per il nostro ego è talmente enorme e soverchiante da diventare la regola assolvitrice e il paravento di qualunque fantasiosa malefatta.

tosaturaCome si vede da queste brevi informali riflessioni, siamo percepiti dai gestori dei mercati allo stesso modo con il quale i pubblici amministratori percepiscono gli elettori: ovvero semplice carburante per il motore politico e ingenui consumatori cui deve venir fatta aumentare a dismisura la brama d’acquisto, secondo i canoni del­l’allevamento del pecorame: crescere, pascolare, tosare.

Viene da chiedersi dov’è finito l’individuo, la persona singola, che prima di essere un elettore, un consumatore, un fruitore del prodotto finito, è un essere umano dotato di corpo, anima e Spirito.

Subito dopo, ci si dovrebbe anche chiedere: “Dove l’abbiamo fatto finire noi questo individuo?” permettendo, delegando, concedendo tutto, pur di poter coprire la nullità dei nostri tracciati esistenziali, con il fasto dei prodotti, delle marche lussuose, dei capricci alla moda, cosí decantati dalle Fate Morgane della pubblicità.

Perché un conto è creare benessere, crescita e sviluppo in un certo modo; un’altra è sopraffare, violentare e saccheggiare, per poi, mutata la maschera, porgere ai depredati una mano amica; la stessa mano che fino a poco prima aveva razziato e compiuto i soprusi.

Allora diventa comprensibile che il vortice iniquo, al di là della commercializzazione selvaggia, al di là dei giochi di potere, delle banche e delle assicurazioni, è il modello che ha ispirato l’intera globalizzazione del sistema di cui stiamo appena pagando le prime conseguenze.

I nostri attuali problemi non sono gli eventi cui andiamo incontro, ma la rappresentazione svolazzante di pubblicità, che siamo indotti ad assumere, degli stessi eventi; ad essa il compito di celare la strumentalizzazione messa in atto, per trasformare uno tsunami qualunque in una fonte di nuovo guadagno per i professionisti del profitto.

MappamondoÈ vero, ci sono anche le ONLUS; ma cosa ci stanno a fare le Organizzazioni Senza Scopo Di Lucro in un mondo dove oramai tutto è diventato oggetto di speculazione, di scambio, di mercimonio? Dove il “do ut des” è la prima regola di condotta che si apprende in casa come in strada?

Mi è giunta una notizia, non personalmente appurata, che dopo la Seconda Guerra Mondiale le carte geografiche del continente europeo portavano stampigliata, di traverso ai paesi dell’Est piú vicini a noi, la dicitura: “Zone riservate agli esperimenti sociali”. Quando la cosa si è diffusa, in alcuni circoli c’è stato un brivido di orrore per una simile madornalità. Questo accadeva settant’anni fa. Ma oggi? Beh, oggi potremmo mettere un cartello sull’intero mappamondo e dire: “Pianeta riservato agli esperimenti finanziari e commerciali”. E forse, alcuni circoli a parte, nessuno rabbrividirebbe.

La pubblicità ci conosce bene; nel sapere informatico- hackeristico ci sguazza. Ha avuto secoli di tempo per poterci studiare con grande attenzione, osservando da vicino i nostri comportamenti, le nostre reazioni e soprattutto le nostre debolezze; a volte affrettando il processo di certi eventi, a volte ritardandolo, sempre nell’intento di provocare in noi una spinta che possa venir teleguidata, manipolata e incanalata in una precisa direzione.

L’ambizione piú grande del Potere è quella di possedere l’esclusiva, oltre al movimento irriflesso dei corpi, oltre allo stato d’agitazione perpetuo delle anime, anche sulle forze dello Spirito. Ma il Potere sa di non avere accesso a quella zona cosí intima dell’individuo, perché l’Eternità non potrà mai essere conquista del perituro. Non gli resta allora che l’assedio continuo; deve agire in modo tale che il corpo infiacchisca, subisca la corrosione nel tempo e nelle cattive abitudini, e l’anima lentamente si arrenda alla propria supposta fiacchezza, sí da non riuscire piú nemmeno a intravedere la commedia che sta recitandosi addosso; una formula ipocondriaca di moralismo che la porterà allo stato di servitú, inconcepito, non rivelato per tale, anzi, nei casi meglio riusciti di annientamento dell’individuale, si colmerà questo stato di torpore interiore con una piú vigorosa passione per i ritmi biologici ossessivi, forsennati, coltivati in compiaciuta, progressiva perseveranza.

A questo punto non è difficile vedere, dietro i grandi problemi collettivi (temi e argomenti focali di tutti i litigi verbali e non solo, che con sempre maggior frequenza accadono nei palazzi dei colletti inamidati, come nei Bar dello Sport di città, quartieri e periferie) quel che invero alimenta e sostiene lo scontro tra nazioni, paesi, civiltà e religioni.

Non è il Debito Pubblico, non è la Disoccupazione, non sono i flussi continui dei migranti; non la Criminalità, la Malavita, la Corruzione; nemmeno lo Scioglimento della Banchisa Polare, il Buco dell’Ozono, o la lotta contro i giganti della farmaceutica, che cospirano “per qualche vaccino in piú”. Le forme dell’aberrazione e della follia si riducono alla matrice: manca l’Uomo, manca lo Spirito individuale; manca la responsabilità che egli nascendo si è assunto, riguardo al compito di portare alla terra, alla natura e al creato quel contributo che da lui si attendono.

Manca. E se manca, possiamo organizzare tutti i G7, G8,G9… fino al G200 che vogliamo, che tanto serviranno solo come campo di addestramento per le Forze (cosí chiamate) dell’Ordine e quelle del Disordine, o dei Black Pinòks, il cui unico movente è quello di poter spaccare le lastre del Paese dei Balocchi, e le vetrate dei Paesi dei Pastrocchi, facendolo nel modo meno punibile che si possa immaginare.

ZombiPerché mai la Pubblicità dovrebbe essere il mezzo piú espressivo di un sistema iniquo, ipocrita e decrepito, il quale, ben intenzionato a non cambiare nulla dalla radice, continua, imperterrito e minaccioso, a creare forme diversive, dalle piú idiote alle piú sofisticate, pur di non venire scoperto e individuato per quello che è? Fossi un mistico, direi che il Principe di questo Mondo ha preso il sopravvento e sta comandando incontrastato una pseudo-umanità di zombi, capaci di lasciar commettere un genocidio pur di non perdersi una partita di Champions.

Ma come cultore della Scienza dello Spirito so di non potermela cavare cosí. Non mi sono mai piaciuti i piagnistei sul latte versato, o i rimorsi convenzionali che fanno togliere dal taschino il fazzoletto di seta e con esso asciugarsi gli occhi affinché tutti, proprio tutti, possano constatare lo strazio esibito. Alquanto buffonesco e vergognoso ma fa accedere alla domanda che consegue: “Che razza di discepolo dello Spirito sono io, se non so far altro che piangere, lamentarmi e protestare, come se di quel che mi affligge io non fossi in qualche modo causa?”.

L’establishment della Galassia Pubblicità, nel suo complesso apparato dirigente e con un indotto che ne sta alla pari, forma un potere, misconosciuto ma estremamente rivelatore per il modo con il quale i “pubblicioni” studiano, soppesano e manipolano la psicologia degli utenti, abitanti le terre da colonizzare.

Anni or sono, nella sua bellissima “tetralogia galattica” (diventata poi pentalogia, o addirittura esalogia) Isaac Asimov aveva avanzato una teoria interessante: la “psicostoriografia”. Tale studio sosteneva un fatto molto semplice, avente tuttavia conseguenze incredibili: premesso che il comportamento del singolo resta imprevedibile, il comportamento della moltitudine diviene sempre piú prevedibile nella misura in cui si allarga il numero di base.

È evidente che qualunque forma di potere protesa a manovrare gli individui deve far tesoro di questo principio, e la pubblicità è in assoluto la forma piú immediata di applicazione, diciamo, psicostoriografica, tanto per dare soddisfazione all’autore, fisico e romanziere, che l’ha ideata.

La pubblicità entra nelle nostre case, e questo sarebbe il meno, ma entra nei nostri cuori e nei nostri cervelli, senza che nessuno possa farci nulla. Siamo tutti rivolti ai problemi salienti e drammatici della vita della famiglia, della città e della nazione; non abbiamo né il tempo né la voglia di creare un serio sbarramento alla morchia pubblicitaria che letteralmente ci invade giorno dopo giorno: dalla stampa ai volantini, ai mezzi di comunicazione TV, radio, telefoni cellulari, e rete informatica. Ne abbiamo le scatole piene ma non ce ne possiamo occupare perché… perché nutriamo la sonnacchiosa convinzione che in fondo la cosa non sia del tutto importante.

«La pubblicità? ‒ ti dicono ‒ basta non guardarla, non ascoltarla! La eviti, la butti e sei libero!».

A queste parole, credo che nell’inferno da cui il potere pubblicitario scatena e riversa su di noi la sua immonda sozzura, echeggino risatacce orribili rivolte alla nostra dabbenaggine.

Possiamo essere fortificati e prevenuti contro forme settoriali di vizi degenerati e morbosità diffuse; siamo pure capaci di combatterle e formare organizzazioni, anche di volontariato, per debellare determinate aberrazioni che chiaramente minacciano la società, i costumi e la civile convivenza. Ma non abbiamo alcuna preparazione per scorgere il demoniaco spuntar fuori dalla pubblicità, dalle musichine cantilenanti, dai volti ílari e gioiosi che si prestano per sostenerle, dagli ammiccamenti continui, dalle battutine a doppio senso che tendono a farti scivolare al ribasso, salvo …ooops! a raddrizzarti di colpo, con il sorrisino compiaciuto che ti mormora al­l’orecchio: «Vedi, non è successo niente!».

FelicitàNon riusciamo neppure con la piú buona volontà a fermare la marea sommergente di schifezza, perché ce la presentano con lo sciroppo e con le vitamine, di cui il nostro corpo – cosí supponiamo ‒ ha tanto bisogno! Con il freddo vi fanno male le articolazioni? (Tutti in coro: «Sííííí»). Con il caldo vi sentite spossati e fuori forma? (Tutti in coro: «Síííí»). E allora? Vedete che avete bisogno di noi e dei nostri prodotti?

Non si può avversare chi ti avversa facendoti dire continuamente di sí!

La Pubblicità non solo è maestra di psicologia di massa, ma è anche la Perfetta Grande Illusione che ci suggerisce un sogno da fare ad occhi aperti (ma non troppo aperti): la convinzione di essere venuti al mondo per star bene ed essere felici!

La pubblicità, con gli incredibili strumenti del potere, è la Madame di questa Grande Illusione, grazie alla quale non ci accontentiamo di comportarci da robot lavoratori-consuma­tori, ma, convinti di agire per il bene (il bene di chi?), accettiamo il Diktat della forza maggiore; di conseguenza sprofondiamo in azioni scellerate e degeneri, fino a uccidere e massacrare il nostro prossimo, sbandierando l’ideale di liberarlo dal giogo di un iniquo status quo, per riabilitarlo e integrarlo nella realtà di quanti ne sanno di piú e quindi, a rigor di logica, devono anche avere ragione di fare quel che fanno.

Come ipotizzato nella fantascienza di Asimov, la psicostoriografia diviene valida nella misura in cui si applichi a masse incrementali. Del pari la pubblicità, per stimolare, deve diffondersi su numeri critici iperestesi; perciò i toni con i quali essa si esprime, blandendo, suggerendo, suadendo confidenzialmente, scavando negli strati meno limpidi delle coscienze depresse e inaridite, sono sempre toni “morbidi”, il cui contenuto micidiale è altamente impercepibile, in quanto non appare, non è evidente, non risulta all’indagine approfondita. Ma tuttavia penetra la moltitudine e vi si deposita.

Il tanto vale per le polveri sottili nell’aria quanto per i conservanti nei generi alimentari: non c’è pericolo, dicono, il pericolo vero è la disoccupazione, i migranti, il morbillo e la corruzione. Tossine, conservanti e cancerogeni vari possono mettersi in fila e aspettare il loro turno nel grado di rischiosità.

Se la malafede che induce all’espansione consumistica fosse chiara e lampante, qualcuno, forse parecchi, salterebbero su e denuncerebbero, coram populo, il danno che si sta consumando dietro le quinte della parvente innocenza pubblicitaria. Ma questo non succede, farlo sarebbe addirittura sciocco e controproducente.

Provate a recarvi in un Commissariato di Polizia, o in un Comando di Carabinieri, e dichiarate di voler sporgere denuncia contro una società di cosmetici, perché tra stampa, radio e tv, nell’ultimo mese avete ricevuto 286 tra offerte, inviti all’acquisto e intermezzi mediatici; il che è ravvisabile come un disturbo del diritto alla privacy, o come stalking, o magari come tentativo di raggiro (teniamo magari questo caso per ultimo, perché il concetto di raggiro spesso si abbina al correlativo d’incapace, il che non deporrebbe a nostro favore).

Oppure, come in effetti mi è accaduto, avendo tempo addietro cambiato il gestore telefonico per un altro, ricevo ogni giorno degli SMS da parte della vecchia società che mi “scongiura” di ritornare sulla mia decisione, offrendomi cose folli in GIGA, Bonus e Cotillon! Il tutto condito con la musica di colonne sonore tratte da film famosi!

Ma torniamo alla psicostoriografia in quanto visione di un mondo asservito ai poteri dai quali nasce il mostro della propaganda pubblicitaria. Si denuncia da solo il motivo per il quale la stessa non ecceda in scostumatezze (potrebbe farlo sicuramente, non gliene mancano mezzi e prestatori o prestatrici di servizio…) ma preferisca piuttosto alludere in modo soft e martellare in senso quantitativo senza avvalersi di effetti speciali che oltrepassino i limiti della decenza. Infatti, una tale caduta di stile attirerebbe sicuramente alcuni sprovveduti, ma farebbe perdere un numero ancor maggiore di customer che per un tenace residuo di ipersensibilità moralistica potrebbero non gradire l’espediente e rimanerne stomacati.

Il segreto quindi sta tutto nel numero di base su cui applicare la metodologia del dominio e offrire a questo una produzione medio-mediocre, poco meno che scadente. Per avere un numero di base cospicuo (il quantum ottimale) devi offrire luci e suoni soffusi, adombranti e mielati, che dicano senza dire, che propongano senza proporre, che suggeriscano senza indurre; ma che ovviamente, proprio per questo, dicono, propongono e inducono come non mai. Quel che importa è che la massa possa ingoiare tutto senza eccessivo malcontento; cosa questa che mi pare sia già in lungo corso di accadimento.

Quando manifesto con qualcuno queste idee, mi sento rimproverare di essermi fatto un quadro dell’umano piuttosto avvilente; estremamente debole, instabile e – secondo corrente opinione di terzi ‒ neppure realistico, perché l’uomo d’oggi è molto meno sprovveduto di quel che appaia a prima vista. Purtroppo io possiedo soltanto la prima vista; mi mancano la seconda, la terza e quelle successive. Quando mi si aprirà il Terzo Occhio (ammessa e non concessa la gratifica) rivedrò le mie posizioni e se sarà il caso le correggerò.

L’essere umano attuale presenta certamente tratti e aspetti di furbizia e perspicacia inimmaginabili nei tempi passati, ma se queste sue “doti” gli servono per fare quel che sta facendo della sua anima e del suo rapporto con il mondo, allora io non sono affatto dispiaciuto di sentirmi definire arretrato, cinico, e malgiudicante.

Giudicare – sia chiaro – è sempre sbagliato, ma ci sono dei casi in cui può venire concessa la facoltà, come attenuante per i meno abilitati.

Concludo la mia tirata sulla pubblicità con due riflessioni: tempo fa conobbi una ragazzina (vivace, simpatica, veramente affabile) che abitava nei piani piú alti di un palazzo d’epoca in centro città. Allora l’ascensore non era ancora stato istallato, e la bambina rientrando da scuola, doveva farsi quattro piani di scale, portando a spalla lo zainetto pieno di libri e dizionari, cui non di rado si aggiungeva pure il tabellone da disegno. Un giorno la signora, abitante del terzo piano, andò a lamentarsi con i genitori della ragazzina, perché, diceva lei, ogni giorno rientrando a casa, la scolaretta dava una sonora strimpellata al campanello dell’abitazione, poi se ne scappava via, infilando di corsa l’ultima rampa.

Interrogata al riguardo, la bambina confessò candidamente il misfatto: «Quando arrivo al terzo (piano) non ce la faccio piú; allora suono alla signora XY, cosí questo mi dà la forza per scappare e fare le ultime scale».

La birichinata diverte e ci fa sorridere, tutto qui. Ma ai Maghi Neri della Pubblicità non sfuggono, anche da questo piccolissimo racconto, le zone d’ansia, le fobie e le inventive di riparo che la nostra psiche di volta in volta riesce a escogitare, per costruirsi un accettabile rapporto con il mondo.

È qui che essi sanno intervenire attraverso la Pubblicità; basti pensare all’intuizione che si nasconde dietro due elementarissime abitudini (tanto piccole quanto cattive) del commercio spicciolo: il “prendi due e paghi uno” e l’analogo “prezzo ridotto a euro 99,99”, laddove di regola la cifra tonda viene sminuita di un centesimo affinché le allodole vi si specchino meglio, quella delle unità viene evidenziata e quella delle decine, dopo la virgola, rimpicciolita ad arte.

Ammettiamo che questi fatti siano talmente minimi da risultare ingiudicabili, ma se si pone attenzione all’intendimento che li sottende, allora non è difficile ravvisare la disonestà incallita e imperterrita con la quale sono stati voluti e realizzati. Questo ovviamente senza che alcuna Autorità o sentenza o regola di reciproco rispetto intervenga a sanare la situazione. Stato, Magistratura e Municipalità hanno cose ben piú importanti di cui occuparsi.

Mi ha profondamente colpito un’intervista fatta di recente in carcere a Marcello Dell’Utri, e in particolare una sua dichiarazione sui passatempi di quanti come lui scontano la reclusione. «Non guardo molto la Tv, ma devo dire che se c’è una cosa che mi piace è la Pubblicità. È sempre bella, perché è gaia, simpatica, fresca, ti propone una visione piú serena e rosea di quel che la vita è. Insomma, io credo che la pubblicità sia un bel messaggio per il futuro!».

Sono qui costretto a ripetere con il Pasquino del film di Magni, “Nell’Anno Del Signore”: «Ecco: se ci avevo un dubbio, mo’ me s’è chiarito! (Video)».

Nulla di strano, quindi, se dai nostri monitor facce note e sempre sorridenti di conduttori e presentatori, in media ogni sette minuti (per adesso) interrompano senza il minimo imbarazzo il corso del programma, per dare spazio al tormentone pubblicitario. Nessun tentativo di scuse, ma addirittura, coniati appositi slogan improntati alla piú ipocrita delle carinerie, te la spacciano con sconcertante subdola bonarietà: «Ed ora, ecco qui alcuni consigli per i vostri acquisti!».

Cosa dovremmo pensare noi, se durante una conferenza incentrata su temi elevati, su quelli che ci stanno massimamente a cuore, tanto per capirci, il relatore di turno ad un certo punto ci dicesse: «Siamo ora giunti ad un momento cruciale del nostro incontro; quale futuro riserva l’uomo a se stesso, alla terra, alla vita? Quale futuro questa umanità vuole per i propri figli? È quello che saprete fra poco, subito dopo la pubblicità. Restate con noi!».

 

Angelo Lombroni