“Sogno lucido” è un termine coniato
da un olandese a inizio Novecento,
uno psichiatra, Frederik van Eeden,
secondo il quale il sogno detto lucido
non è quello che fanno gli ubriachi
o i fumatori d’oppio, obnubilati
nei sensi, fatti preda dell’inconscio
turbato da passioni incontrollabili.
È invece fredda consapevolezza
di trovarsi in un luogo ultraterreno
in cui la trascendenza non è sogno
ma concreta tangibile realtà.
Incontri con presenze edificanti,
consolazioni animiche, misteri
svelati, cognizioni sorprendenti
rese chiare alla mente e praticabili.
Un territorio in cui si avventurarono
a suo tempo Naropa ed Aristotele,
l’uno frequentatore del respiro
cosmico, lo spirito dei Veda,
l’altro della coscienza razionale
dell’essere che cerca la sua via
usando la materia e sublimandola.
Ecco allora gli insonni luminari
della celebre Stanford University
che col metodo psicofisiologico
aggiungono allo stato di coscienza
tra veglia e sonno, il cosiddetto rem,
l’onirica coscienza percettiva.
Naturalmente senza riferirsi
al filosofo greco o al guru vedico,
e tanto meno al fisico olandese,
per adottarne regole e valori,
ma bellamente utilizzando tecniche
della tecnologia piú materiale,
per ottenere la capacità
di sognatore, stimolando il cranio
a corrente alternata, con l’ausilio
delle interfacce psiconeuronali
che collegano l’interiorità
del lustro onironauta con l’esterno,
per cui chi sogna può mandare ordini
al suo PC o prepararsi un tè.
E il mercanteggio non finisce qui:
pochi dollari sono sufficienti
per acquistare dei dispositivi
e indurre sogni lucidi a comando
usando caschi da encefalogramma
che nella fase rem mandano stimoli
luminosi o sonori alla corteccia
prefrontale o dorsolaterale
per l’incubo cosciente garantito.
E quella che sarebbe un’esperienza
metafisica, un salto nel divino,
diventa un’occasione della scienza
per allestire un altro mercatino.
Il cronista