Delirio d'impotenza

Socialità

Delirio d'impotenza

È il rovescio della medaglia dell’orgoglio umano, il famigerato peccato originale della creatura che, volendo farsi creatore, si avvale della collaborazione di malfidi Consigliori, con i ben noti risultati.

Eva e Adamo sono, a sentire le ultime correzioni dottrinali della Chiesa di Roma, degli esempi affabulanti a uso delle anime semplici, che si smarrirebbero nell’affrontare i piú ardui teoremi di fede.

Il castello di Neuschwanstein

Il castello di Neuschwanstein

La storia umana è invece affollata di personaggi reali, documentati e famosi, affetti da delirio di onnipotenza, e qui l’elenco andrebbe – per tenerci sia ai testi sacri che a quelli profani – da Nemrod, con la sua Torre di Babele, l’Etemenanki, costruita per raggiungere il cielo degli dèi, a Ludwig di Baviera, che esaurendo le casse dello Stato costruí il fiabesco Neuschwanstein, allora wagneriano delirio di onnipotenza pangermanica, oggi gallina dalle uova d’oro per il bilancio del Land bavarese e fonte di ispirazioni fotoscenografiche per film di fantasia, puzzle e scatole di cioccolatini.

Gli esempi di questi deliri di onnipotenza si manifestano però in luoghi e periodi storici in cui hanno agito dei poteri assoluti. I turisti che in questa torrida estate hanno percorso il mondo in generale e l’Europa in particolare, hanno potuto verificare come monumenti, residenze, strutture pubbliche e istituzioni culturali e sociali si distinguano per la loro imponenza, ricchezza e funzionalità proprio dove un assolutismo dinastico o politico ha governato quel luogo, che fosse nazione, regno o comunità. Oggi in nessuna parte del mondo esiste un governo che possa vantare il potere di un Re Sole, di uno Zar, di una regina Vittoria d’Inghilterra o Isabella di Spagna, per non dimenticare i sovrani dei popoli asiatici, africani e mesoamericani. Per loro parlano i sontuosi edifici, i castelli, le fortezze, i templi, le opere d’arte. I loro deliri di onnipotenza si sostanziavano in realizzazioni che in definitiva avevano un solo scopo, non nell’immediato ma nel lungo periodo: marcare la loro presenza nella storia dell’umanità e tramandare ai posteri il loro nome e quello della loro discendenza. In breve: un passaporto per l’eternità.

Poiché questo è il proposito, l’aspettativa di ogni uomo: durare oltre il tempo, che equivale a non morire. Un sogno vagheggiato dal primo giorno della vicenda umana, tenuto desto dalle mille profezie, prospettato dai Misteri e dalle Scritture. Al potere assoluto esercitato da un solo individuo, o da un’oligarchia nell’ambito di un solo stato, di un regno o di un Paese, si è venuto però sostituendo nel tempo, per mezzo di un malinteso ecumenismo, un supergoverno mondiale collegato a diverse realtà locali e transnazionali, che ha finito con l’esautorare del tutto le identità nazionali.

Si parla quindi, e a ragione, di un’impotenza diffusa, capillare, che impedisce agli uomini di agire in libertà di autodeterminazione. Mancando tale libertà di azione, il destino dell’uomo è di sottostare a questo supergoverno mondiale, riconoscendo nei fatti la propria impotenza a fare checchessia, poiché i giochi sono fatti, e l’individuo, quale che sia la sua posizione all’interno di una comunità o di una nazione, dovrà prenderne atto e comportarsi di conseguenza. Questa sua acquiescenza fa sí che il governo sovranazionale abbia mano libera nell’imporre un’omogeneità culturale e morale ai popoli del pianeta, con un risultante relativismo delle norme etiche. Da ciò deriverà un diffuso sincretismo religioso, per cui verranno istituite dottrine a sfondo panteista, neoidolatriche, che si ravviveranno nella pratica di un malinteso ambientalismo e animalismo, con inevitabili eccessi di forma.

Un risultato che potrebbe svanire nell’insignificanza delle vicende umane se Massimo Scaligero, nel suo Yoga, Meditazione e Magia, non ne rilevasse i deleteri effetti sull’evoluzione spirituale umana. Effetti che, ovviamente, il razionalismo scientifico tende a omologare con le sue artate speculazioni: «L’uomo trasmette al corpo eterico la corruzione del corpo astrale, poiché mediante la responsabilità del pensiero ha la possibilità di un’azione in profondità, anche se indiretta, sulle forze eteriche, secondo una magia inferiore, o secondo un patto dal quale viene inconsciamente dominato. Si prepara in tal modo un guasto della razza umana, onde un tipo, per cosí dire “animalizzato”, in quanto destituito di Io, seppur dotato di intelligenza, di “anima” e del raffinato dialettismo necessario alla sua etica, va eliminando in tutti i campi, anche in quello spiritualistico, l’“uomo spirituale”».

Il quale uomo potenzialmente spirituale, calato nella dimensione della materialità, vagheggia il suo sogno di immortalità, che non essendo piú emanazione di un Io superiore ma di un astrale infermo, lo vede purtroppo vanificato dalle Cassandre della scienza positiva che, quando un’abnormità climatica, un fenomeno geologico inspiegabile, si verificano, danno la stura ai loro presagi di Vernichtung der Erde, di morte della Terra e dell’uomo, con cifre e algoritmi. Il determinismo piú vieto ha rispolverato la neopitagorica teoria dell’ecpirosi, la deflagrazione finale dell’universo, umanità compresa. Sempre piú assillanti ci tormentano gli incubi.

Nel summit sul clima che si è tenuto a Oslo a metà luglio scorso, quando già si notavano le prime avvisaglie dell’ondata di caldo anomalo, l’astrofisico Stephen Hawking, riferendosi alla siccità, diretta e maggiore conseguenza del caldo eccezionale, nel suo delirio di onnipotenza scientista, ha detto: «Non prendetela sottogamba. È il sintomo di una malattia che costringerà gli uomini a lasciare la Terra verso altri pianeti. Entro cento anni l’uomo dovrà colonizzare la Luna, Marte o qualche altro pianeta che le sonde spaziali scopriranno». Ora, è scontato che nessuno voglia coscientemente prendere sottogamba l’eccesso di calore e la minaccia di siccità che esso comporta, questo però non giustifica un disinteresse ad aggiustare le cose sulla Terra in nome di una inevitabile diaspora planetaria, data la sconsiderata attuale gestione del territorio e delle risorse in esso contenute.

Ma l’emergenza siccità non si è limitata a ideare meccanicistici progetti campati in aria, con il poco credibile invio di moduli spaziali per sondare le opportunità di un futuro prossimo esodo in massa dalla Terra. Le parole di Hawking hanno animato nell’ambiente scientifico e mediatico un acceso dibattito sul problema dei guasti climatici che hanno finora toccato il pianeta e sugli sviluppi in senso peggiorativo che essi potrebbero avere. La parola catastrofe è circolata tra gli addetti e non. A ciò si sono scomodati filosofi come Aristotele, Talete, Feuerbach, Engels e Marx, astronomi come Tolomeo e poeti come Ungaretti e T.S. Eliot, integrati tutti questi dall’illu­minato parere degli esperti del clima. In un’insolita totale concordanza di teorie, gli esperti hanno preconizzato la fine del nostro pianeta per morte termica, vale a dire in seguito a una globale strinatura dell’assetto geologico che renderebbe la Terra una caldera spenta di sassi e polverume rugginoso.

Fontane chiuse a San PietroTenere i nervi a posto con i referti di simili profezie non è facile. Per cui ne è seguita una paranoia piú o meno controllata. Il pericolo siccità ha contagiato gli ambiti piú disparati, fino a toccare il Sacro Soglio di Pietro. Nella scia dei razionamenti adottati dai comuni limitrofi a Roma, e in previsione di quelli prospettati dalla sindaca Raggi per la stessa capitale – causa, hanno ipotizzato i tecnici, il calo del livello idrico del lago di Bracciano – anche il Vaticano ha deciso di chiudere il getto delle sue celebri fontane, gratificazione visiva e ristoro di pellegrini e turisti. La peste della crisi idrica si è quindi estesa a macchia d’olio a Roma e dintorni. Crisi aggravata dalle esplosioni d’incendi boschivi che hanno colpito il litorale, dal Circeo all’Argentario, con i picchi del fenomeno nella pineta di Castel Fusano a Ostia. Si è parlato di riserve d’acqua agli sgoccioli, di “ultimi giorni liquidi a Roma”, la Città Eterna, che tale rischia di non poter ormai piú essere, se la materia che l’ha resa celebre nel mondo da sempre, la sua acqua, venisse, come si prevede, a mancare.

In tal senso, alle paranoie importanti, che hanno cioè contagiato le istituzioni piú eminenti sia nel­l’ambito religioso che laico, si sono aggiunte quelle che hanno coinvolto soggetti di varia umanità, individui che temendo l’avverarsi dei tetri logaritmi confezionati da Hawking e compagni, si sono dati a intemperanze da ultima spiaggia, nel significato letterale del termine.Nudo nel fontanone Un immigrato africano, lo scorso 30 luglio, si è immerso nudo nella fontana del­l’Acqua Paola, altrimenti detta, nella toponomastica quirite, il Fontanone del Gianicolo, dove ha sguazzato come se si trovasse in uno dei fiumi della sua terra d’origine. Si era anche munito di un secchio con il quale si faceva abluzioni suppletive, integrate da energici massaggi muscolari. Insomma, uno spettacolo estemporaneo al quale nessuno si è sentito di porre fine, dato il buonismo imperante che ci fa ingoiare questo e altri rospi che diuturnamente esaltano la nostra esistenza.

Ma forse la gente non è intervenuta perché avverte che siamo alla resa dei conti di questa civiltà che al sustine et abstine degli Stoici, sopporta e astieniti dai beni materiali, ha preferito il cogliere l’attimo degli Epicurei, il carpe diem. E allora, che senso ha proteggere dall’incuria e dal vandalismo il prodotto artistico di una civiltà che ha fallito in tutti i campi, dal prosaico sostentamento materiale al piú inemendabile vuoto spirituale.

In fondo, l’immigrato, illuso da chi trama rovine e sabotaggi, ha creduto di trovare al suo approdo il “Paese dei Baiocchi” e non trovandolo cerca indennizzi e risarcimenti in azioni dimostrative che sfiorano lo sfregio e lo scempio, e in cuor suo vorrebbe che si avverassero gli anatemi evoluzionisti di Hawking e compagni di tregenda, per cui Roma sarebbe ridotta e un ammasso di pietre calcinate, fumanti, nere come l’inferno, esalanti l’odore di dissoluzione e morte che hanno le città consumate da un incendio. Come appariva Roma la mattina del 20 luglio del 64 d.C., regnando Nerone.

Roma, alla data della catastrofe, era un impero che andava dalla Scozia alla Namibia e dalla Lusitania alla Persia e persino oltre l’Indo. Augusto volle calcolare il numero dei sudditi con un censimento. Questi soggetti pagavano tributi, che dallo stesso Vangelo sappiamo cospicui, che però garantivano, oltre alla protezione militare, la libera circolazione di persone e merci all’interno del territorio governato da Roma, anche grazie a una eccellente e capillare rete di strade. E poiché, come il detto recitava, “tutte le strade portavano a Roma”, da ogni angolo dell’Impero individui di razze e culture diverse convenivano nell’Urbe per opportunità di lavoro, di affari e di studio. Alla data dell’incendio, Roma contava circa un milione e trecentomila abitanti. Tale massa di gente si accalcava in una superficie che rappresentava la metà di quella a disposizione dei romani di oggi: un groviglio di vicoli e viuzze tortuose, rumorose e intasate di veicoli a traino animale o umano, con tutta la grande confusione e promiscuità che ciò comportava. Razze e religioni diverse si contendevano lo spazio per procurarsi allievi di scuole e accademie, e per fare proseliti dei culti, specie orientali, che andavano sempre piú diffondendosi nella capitale dell’impero. Un fenomeno, questo, tipico dei colonialismi di ogni epoca e luogo, ma che a Roma si presentava con caratteri particolarmente marcati e originali, anche perché l’Urbe era nata nel segno di un eccelso fato e di un volere divino, e tale convinzione improntava ogni azione, nel pubblico come nel privato, degli individui e delle istituzioni, fino a stabilirne la condizione elettiva nella storia del mondo con espedienti magici, letterari e retorici di volta in volta adeguati al caso.

Pietro Bardellino «Enea, la Sibilla e Anchise»

Pietro Bardellino «Enea, la Sibilla e Anchise»

Questo radicato convincimento giustificava quindi il suo dominio sui popoli con una profezia. Nel Sesto libro dell’Eneide, dopo la discesa nell’Averno, Enea viene condotto dalla Sibilla all’Elisio, dove incontra il padre Anchise, che gli parla della fatale“missione di Roma” con questi alati versi:

 

Ma voi, Romani miei, reggete il mondo

con l’impeto e con l’armi, e l’arti vostre

sien l’esser giusti in pace, invitti in guerra:

perdonare a’ soggetti, accor gli umíli,

debellare i superbi…

 

Quella frase “accor gli umíli” era il lasciapassare, lo ius soli, per qualunque cittadino dell’im­pero volesse venire a Roma per viverci, trafficare, studiare e altro. Per cui la varietà umana e culturale era sí stimolante, ma creava quella promi­scuità moralmente articolata che solo un governo forte può gestire. Accogliere e disciplinare flussi umani indiscriminati, e in qualche modo incontrollabili, è lo scotto che hanno dovuto pagare i colonialismi e gli imperialismi di ogni epoca. Ne sanno qualcosa inglesi, francesi, spagnoli, e in misura minore belgi e olandesi. Noi italiani dalle nostre imprese di conquista e colonizzazione abbiamo ricavato solo dispiaceri e rimesse di molti averi. L’ultimo pegno, immeritato, lo stiamo pagando con i barconi africani che portano sul nostro territorio gli sfruttati e vessati dalle imprese coloniali di nazioni e imperi europei, uomini e donne che da noi si aspettano indennizzi e risarcimenti che andrebbero invece richiesti alle summenzionate entità nazionali, sole beneficiarie delle predazioni territoriali, culturali e religiose realizzate con espropri ai danni dei popoli ‘liberati’.

Ma dobbiamo farcene una ragione, altrimenti qualche buonista potrebbe farci passare dalla ragione al torto. Cosí ci ripaghiamo di tante amarezze e delusioni storiche. Quanto agli oltraggi e ai vandalismi che gli ‘umíli’ compiono, queste rappresentano le pietre d’intralcio sul cammino che la civiltà umana sta percorrendo per realizzare la metamorfosi della creatura animalizzata nell’essere angelico della Decima Gerarchia. Lungo percorso, duro lavoro di tutti i coloro che seguono una Via spirituale, mai come oggi messi alla prova. L’’umíle’ che incendiò Roma, era il gestore di un termopolio che fece rovesciare l’olio bollente della frittura sul fuoco del fornello, innescando il processo di propagazione dell’incendio che distrusse tutta la Roma classica, fatta eccezione del Colosseo che non esisteva ancora. Il fuoco compiva la sua opera catartica, una nemesi per bilanciare quanto di degradato Roma stava covando nelle anime dei suoi abitanti, dalla Corte all’ultimo abitante della Suburra. L’incendio durò sette giorni. Quando alla fine venne domato, Roma somigliava alla città di Dresda, annichilita dalle bombe al fosforo angloamericane, o a Hiroshima dopo che Little Boy era sceso dal cielo sprigionando il fuoco di mille incendi chiuso in un tubo non piú grande di un porta­ombrelli.

Roma, in quei giorni di primo agosto del 64 d.C. cosí si presentava a chi voleva assistere alla fine di un mito. Quello che restava della parte piú nobile e sacra dell’Urbe quadrata era un ammasso di macerie combuste, maleodoranti di rovina e di morte. Occorreva sgombrarle al piú presto, non solo per l’estetica e l’igiene, ma per allontanare il malaugurio che le cose disastrate comportano.

Macerie ancora ad AmatriceNe sanno qualcosa ad Amatrice. È ormai trascorso piú di un anno dal terremoto del 24 agosto 2016 e le rovine del sisma, vale a dire la quasi totalità della città vecchia, sono state sgombrate dell’8% soltanto, e non per cattiva volontà o insipienza operativa del sin­daco Pirozzi e della giunta in carica al municipio.

Il fatto è che la democrazia ha spuntato i poteri decisionali delle varie autorità frammentandoli in decine di passaggi di competenza, di consulenza, di appartenenza al partito, alla congrega, all’accademia, alla lobby, al cartello, al parentado. E poi, esulando dai confini comunali, regionali e nazionali, bisogna vedere cosa ne pensano la UE, la BCE, la FED, la CONSOB, l’ONU, gli USA, la Regina, le Pari Opportunità, le ONG e le ONLUS, i Circoli del Tennis e degli Scacchi, e via via sparpagliandosi in salita e in discesa, per linee orizzontali e verticali.

E intanto che i vari pareri vengono vagliati, gli algoritmi elaborati e le opzioni considerate, le macerie stanno sempre lí, spettrali documenti dell’impotenza non del luogo specifico che le mostra, bensí dell’universale consesso di una civiltà che si titilla con dati e coefficienti, che nulla di efficiente hanno da offrire per rimuovere le rovine dallo scenario di una battaglia perduta.

Non la guerra finale, però. L’uomo, quale che sia, villano o Cesare, ha in sé la scintilla divina che suscita in lui la volontà e l’estro per poter trionfare in una contesa che lo dava sconfitto in partenza. Nerone risolse il problema delle macerie della città bruciata caricandole sui tanti battelli che discendevano il Tevere vuoti per raggiungere il porto di Ostia dove imbarcavano le tante merci provenienti dalle città marittime dell’impero. Le macerie venivano poi deposte nelle paludi dell’area portuense. Ma Nerone era lo Stato nella sua assolutezza: legioni, erario, clero e ministeri. Ogni ordine un fatto.

Il sindaco Pirozzi di Amatrice tanto non può. Ma anche i suoi omologhi dei vari centri del potere. La democrazia ha svuotato ogni autorità, facendone uno zombie che abbaia invano alla luna.

L’ONU, ad esempio, tuona contro questo e contro quello. Ma non può impedire che partano i missili di Kim Jong-Un o che arrivino sempre piú numerosi e carichi i barconi dall’Africa. L’uomo disorientato e indifeso non sa a chi rivolgersi per aiuto e consiglio. E poiché appare ormai evidente che le istituzioni geopolitiche internazionali preposte alla soluzione dei problemi latitano, la soluzione sarà soltanto interiore.

Una nuova strategia di potenza, di liberazione e crescita interiore, ci viene offerta dallo Spirito, conferma ancora Scaligero, se sapremo cogliere il giusto orientamento rispetto al karma individuale e collettivo: «Una perenne conoscenza dell’uomo insegna che egli si libera nella misura in cui riconosce la funzione degli ostacoli che sbarrano il suo cammino: questi sono il segno delle forze che egli deve evocare in se medesimo. Egli necessita di tali ostacoli, in funzione di quelle forze. Ciò di cui necessita, è il suo destino: l’elemento insostituibile, il principio inafferrabile dalle ideologie, afferrabile solo dalla conoscenza autonoma, i.e. dalla volontà libera. Con le difficoltà del proprio destino, l’individuo soltanto, in quanto essere libero, ha rapporto, dall’intimo della propria coscienza, essendo la relazione con se medesimo e la proiezione del proprio essere storico. Si può dire che la struttura del suo essere animico-spirituale si manifesta mediante la necessità di una prassi matematicamente conseguente: il proprio compimento nella serie degli avvenimenti esteriori, la cui forma non è casuale ma determinata da ordine interiore: il trascendente che si fa manifesto: il karma come veicolo dello Spirito. Un simile processo interiore del “destino”, per svolgersi secondo la direzione del principio da cui muove, esige l’iniziativa della conoscenza e l’atto della libertà: il meccanicismo politico-sociale si comporta come se recasse tale principio, e afferra la collettività con procedimento non diverso da quello dei regimi teocratici o autocratici del passato, che avevano una giustificazione metafisica in sé, nel clima religioso dell’epoca e in rapporto al tipo mentale umano. La pianificazione politico-sociale organizza d’autorità il destino collettivo: gli impulsi coscienti che oggi dovrebbero orientare la Storia, deviano nel pensiero riflesso, convergendo in una sorta di meccanismo impersonale contrastante il processo creativo della coscienza»

Muoia SansoneIl delirio d’onnipotenza che ha connotato i regimi autocratici del passato, la maggioranza, ha ceduto il passo al delirio d’impotenza che caratterizza ormai tutti i governi istituzionali del mondo, dai parlamenti cosiddetti democratici ai regimi che ancora si baloccano con dittature e culti della personalità. Deliri centrifughi, cupio dissolvi, ultime spiagge, sindromi da “muoia Sansone con tutti i Filistei!” muovono ormai le azioni degli uomini, che abbiano o meno accesso alla stanza dei bottoni. Qui, il pulsante della “Vernichtung der Erde”, la distruzione della terra, la morte nucleare, titilla l’uomo stanco di decidere tra male o bene, nero o bianco, angelo o demone, poeta o pirata, donna o virago. Forte è la tentazione del nulla. Ma quanto piú erta è la salita, piú vicina è la meta. E superato il crinale del dubbio, ecco farsi luce.

Una radianza che non conosce ombre né tra­monto viene conquistata dal pensiero libero dai sensi. Si instaura un mondo dove l’uomo è consapevole dell’alto compito assegnatogli dalle Gerarchie, da svolgere nel posto e nel ruolo che il karma gli ha riservato.

Solo cosí la Terra, governata dallo Spirito, rifiorirà. E il delirio d’impotenza, che oggi vanifica ogni nostro anelito alla libertà, alla giustizia, alla fraternità, sublimato dalla pietà per il vivente, diverrà forza d’amore.

Allora le leggi, le potenze, le opere umane, di questa forza vivranno.

 

Ovidio Tufelli