Ostia è oggi una città tranquilla. Declassata da comune autonomo a Decimo Municipio dell’Urbe, gode del titolo di Lido di Roma. A tal punto ne gode, da vivere in una totale osmosi con la Capitale fino ad assimilarne certi presunti umori mafiosi, ragion per cui dopo il declassamento è arrivato il commissariamento. Ciò ha impresso nel modus vivendi dei suoi cittadini quel certo tratto guardingo per cui “una parola è poca, due son troppe”, e soprattutto induce a “non alzare polvere” in ossequio all’atavica filosofia che ha consentito ai popoli italici di sopravvivere a dispetto di barbari e terremoti.
Ma quel giorno di luglio dell’anno 849, gli ostiensi ruppero la prassi del quieto vivere e si agitarono. Nel marzo di quello stesso anno era giunta voce che i sultani del Maghreb stavano allestendo una grande flotta a Capo Teulada in Sardegna, con la chiara intenzione di ripetere, con una portata piú vasta ed effetti piú devastanti, il saccheggio di Roma avvenuto tre anni prima. In particolare si erano accaniti sulle basiliche di San Pietro e San Paolo Fuori le Mura. Per questo il papa Leone IV aveva ordinato di rinforzare le mura della città, di recintare le maggiori basiliche e sbarrare il corso del Tevere con catene di ferro. Naturalmente i saraceni erano talmente sicuri di forzare il blocco fluviale e avere ragione delle difese murarie che si accingevano a ripetere la loro impresa per assestare il colpo di grazia a Roma e alla cristianità. Notizie davano per certo l’allestimento della flotta araba e la sua imminente partenza da Capo Teulada. Era dunque prevedibile da un giorno all’altro lo sbarco a Ostia delle svelte e silenziose feluche con il loro carico di scuri masticatori di hashish. Ma questa volta a contrastarli in mare e impedirne lo sbarco arrivarono i grandi vascelli della Lega Campana: i ducati di Napoli, Amalfi, Sorrento e Gaeta si erano costituiti in una Lega cristiana e avevano inviato navi da guerra, soldati e i migliori marinai e capitani per governare i bastimenti. Il comando della Lega Campana era affidato al console Cesario, secondogenito del duca di Napoli. Ostia armò una milizia per le operazioni di terra, e cosí fecero quelli di Anzio, di Civitavecchia e di altri paesi dell’interno che inviarono contingenti, poiché in gioco non c’era solo Roma ma la cristianità.
Quando si avvertí l’approssimarsi della flotta araba, il papa celebrò una messa solenne nella chiesa di Santa Aurea, una fanciulla martirizzata sotto il regno di Claudio. Benedicendo la flotta e i combattenti, papa Leone, poi fatto santo, recitò la preghiera, invocazione dell’aiuto divino: «Onnipotente Dio, che con la tua mano facesti camminare l’apostolo Pietro sul mare, cosí che non affogasse, e che salvasti l’apostolo Paolo nei tre naufragi, sii a noi propizio e ascoltaci: per i meriti dei due stessi apostoli, fortifica il braccio dei campioni cristiani che stanno per difendere una giusta causa, affinché per la vittoria navale sia il tuo nome glorificato in ogni tempo e presso tutte le genti. Per i meriti di Gesú Cristo, Salvatore Nostro. Amen».
Lo scontro deflagrò violento, furioso, senza quartiere, da una parte i vascelli della Lega Campana, con il rinforzo degli equipaggi romani e laziali, dall’altra le veloci, leggere, sfinate imbarcazioni saracene. Abbordaggi, speronamenti, mischie e corpo a corpo feroci. L’esito della battaglia si mostrava quanto mai incerto, anche per la determinazione dei saraceni alla vittoria finale che avrebbe significato per l’Islam la supremazia marittima e quella della loro fede. E come sul Mare di Galilea un vento improvviso e violento scatenando la tempesta aveva messo alla prova la fede degli apostoli, un libeccio inatteso si levò dal Tirreno, irruento, infido. Gli arabi non conoscevano quel vento capriccioso, mentre era assai familiare ai naviganti napoletani. Inoltre i primi, coi loro navigli leggeri, non ne ressero la violenza, mentre le galee pesanti della Lega si opposero alle raffiche manovrando con successo nella buriana. Il vento, dunque, assicurò la vittoria ai cristiani.
Si parlò di abilità marinara della Lega, di valore dei combattenti, si pensò a un miracolo. Secoli piú tardi, il 7 ottobre 1571, a Lepanto i cristiani batterono i Turchi, escludendo per sempre la mezzaluna islamica dai giochi politici riguardanti il Mediterraneo. Una grande battaglia anche quella. Ostia ne era stata in qualche modo la prova generale, forse piú determinante dell’altra ai fini delle implicazioni psicologiche. Forte permase infatti nel tempo la suggestione dell’evento nell’arte. Chi visita i Musei Vaticani, può ammirare, nelle Stanze di Raffaello, l’affresco che ritrae, con suprema maestria pittorica, le fasi dello scontro navale di Ostia. L’opera venne commissionata al genio urbinate, nel 1514, da papa Leone X, grato ai valorosi marinai della Lega Campana.
Elideo Tolliani