Come noi esprimiamo in suoni, in parole ed in gesti il nostro pensiero e i nostri sentimenti, che cosí entrano nel mondo sensibile; cosí tutto il nostro stesso corpo non è che una espressione creata nel mondo materiale da una essenza individuata e cosciente che esiste dietro l’apparenza umana ed è il vero centro e la vera forza di essa. Sarebbe però inutile cercare un parallelismo fra gli organi e le funzioni del corpo materiale in relazione all’essenza interiore dell’uomo, inquantoché essi sono determinati da condizioni proprie alla vita animale e dai loro rapporti con il mondo esterno; e rappresentano cosí una deviazione, anche se necessaria a certi fini dell’esistenza. Quindi non possiamo risalire direttamente dalla funzione di un organo, quale è nota alla coscienza comune, al suo valore come significato e come espressione dell’Uomo interiore.
Quando si diceva ancora che il centro della coscienza era nel “cuore”, risuonava una eco della Verità, espressa in sapienza intuitiva. Quando si provò che tale centro è invece nel cervello, la vera conoscenza tacque e ad essa si sostituí l’illusione sensoria.
L’osservazione degli organi non ci dirà sull’essenza interiore dell’uomo di piú di quanto l’osservazione delle lettere di una frase possa esprimere, a chi non sappia leggere il senso che vi è contenuto. La sola possibilità di conoscenza è nello sprofondarsi nella propria interiorità e da là seguire le vie misteriose che vanno verso il corpo materiale.
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Il primo passo sta nel formarsi un «ambiente interiore» in cui gli organi del nostro corpo sottile (espressione provvisoria ed alquanto impropria, benché utile) possano essere destati a coscienza, allo stesso modo che la sensazione dei nostri organi fisici è risvegliata dalle impressioni del mondo esterno. Varie vie conducono a questo scopo, ed io accennerò soltanto ad una di quelle che mi sembrano fra le migliori e le piú sicure.
Premetto che lo stesso mondo “esterno” essendo come noi siamo ‒ espressione, cioè, di occulte potenze spirituali ‒ possiamo metterci con le cose esterne in un rapporto che trascende quello ordinario dei sensi e da cui il nostro ente interno è costretto a palesarsi.
Noi dobbiamo cercare di avvertire accanto ad ogni impressione sensoria una impressione che la accompagna sempre e che è di un genere tutto diverso ‒ una risonanza in noi della natura intima, sovrasensibile delle cose ‒ e che ci penetra dentro silenziosamente.
Ogni cosa vivente o senza vita ci porge in tal modo uno specifico messaggio occulto. Se cerchiamo di cogliere nel nostro intimo ciò che avviene quando concentriamo la nostra attenzione su due percezioni diverse (quelle, per esempio, suscitate rispettivamente da un animale e da una pianta) astraendo a poco a poco dall’imagine sensoria e da tutti gli elementi che vi si accompagnano, realizziamo due impressioni distinte e “sottili”; impressioni che sembrano sorgere dall’interno e che, a differenza di quanto avviene per il lato sensibile delle percezioni, non sono proiettabili di fuori come qualità inerenti all’oggetto, ma vivono da per se stesse.
Questo distaccarci dalle impressioni sensorie nelle impressioni sensorie ‒ questo separarvi il “sottile” dal “denso”, per usare i termini ermetici ‒ o anche il “reale” dall’ “irreale”, per usare i termini indiani ‒ si consegue sentendo lontana e al disopra di noi la nostra testa, quasi che essa fosse esteriore a noi. Allora la sensazione comune cadrà per il nostro centro cosciente, e si sostituirà ad essa l’altra corrispondente.
Questi esercizi vanno ripetuti regolarmente, e mediante concentrazione di intensità e durata progressiva si realizzerà a poco a poco un ordine di differenze precise e direttamente riconoscibili, le quali corrispondono a quelle delle impressioni e delle imagini che provengono dai sensi, ma sono di natura completamente diversa benché abbiano un carattere altrettanto oggettivo.
È difficile dire di piú in parole, solo chi ha avuto qualche esperienza sa come questo rinnovato, risvegliato modo di conoscenza sia accompagnato da un senso di certezza e di comprensione diretta piú forte e piú completo di quello che può venire da qualunque impressione sensoria.
Lo stesso possiamo fare per i nostri pensieri, sempre mediante l’esercizio dell’allontanarsi dalla testa; e diventeremo, allora, a poco a poco, capaci di afferrare il pensiero prima ancora che risuoni nella sua formulazione cerebrale, e di servircene. Anche qui, giungeremo alla percezione di un ordine nuovo di differenze, che si sostituisce all’abituale. È come se ogni pensiero corrispondesse ad una nota musicale speciale di una infinita gamma di tonalità, ed ognuna perfettamente e direttamente riconoscibile. Come riprova, dopo la realizzazione di una certa successione di note-pensieri si può, ad un dato momento, tornare nella testa e formulare discorsivamente l’ordine di pensieri corrispondente, prima non vissuto come pensiero. Però talvolta si arriva a profondità tali, che l’enunciazione è quasi impossibile, inquantoché il campo delle esperienze si allarga e il suo contenuto non ha piú relazione con la nostra vita normale e con i problemi che ci sorgono da essa.
Una pratica analoga può prendere per oggetto sia i contenuti emotivi della nostra coscienza, sia i vari impulsi. Non voglio soffermarmi su questo. Il senso è lo stesso: è un rapido e sottile star attento sulla soglia dell’Io, che coglie e ferma a mezz’aria le percezioni e cosí realizza una conoscenza degli elementi che si sostituisce alla conoscenza ordinaria, tutta provvisoria, grossolana e sensuale. Del resto qui non espongo un trattato metodico di occultismo; cerco piuttosto di suscitare in qualcuno il ricordo di certe forme di attività interiore che si manifestano spesso in modo sporadico e spontaneo; e quindi di far convergere l’attenzione su di esse per aiutarli a riconoscerle e a svilupparle.
Cosí dirò piuttosto di un senso di sé che sulla base di tali forme di attività viene a sostituirsi a quello corporeo.
Intanto il corpo stesso ci sembra lontano, esteriore, mentre le impressioni che nel modo descritto nascono dagli oggetti esterni sembrano sorgere e vivere in noi, come parte di noi.
È un annullamento del senso dello spazio, mentre resta una attività di successione, un senso diverso, interiore, ritmico del tempo.
Mettendoci in rapporto con il nostro corpo, poi ci sentiamo in esso liberi e mobili. È il cosiddetto senso del corpo sottile che nasce.
Qui vi è un pericolo, in cui i piú cadono: bisogna sfuggire ad un senso di beatitudine e di grandezza (ci si potrebbe riferire a ciò che James chiama “senso cosmico” nella nota opera Le varie forme dell’esperienza religiosa) che oscura la coscienza nel torpore di un’estasi. Bisogna conservare invece il senso dell’Io e la vita attiva della coscienza che si mantiene superiore e distinta nell’esperienza delle varie modalità di percezione sottile che ho esposto.
Cosí pure un qualunque senso di soddisfazione e di orgoglio ci ripiomba nel corpo, e la realizzazione si altera, la visione si oscura.
Il corpo sottile ci dà il possesso, ma la voluttà del possedere è un attributo del corpo animale e dei sensi, con cui essi vengono di nuovo ad imprigionarci nel loro regno.
Leo
Tratto da UR 1927, Tilopa ‒ Roma 1980.